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FEDERALISMO E CRESCITA IN ITALIA

5.1. Premessa: federalismo e crescita

Il legame tra federalismo e crescita regionale è un tema poco analizzato in letteratura e poco affrontato nel dibattito politico, anche se, in realtà, è di primaria importanza.

Il federalismo è descritto in molti casi come “un gioco a somma zero” dove se qualcuno guadagna qualcun altro necessariamente perde e di conseguenza l’attenzione viene posta, in modo particolare, alle tematiche della redistribuzione e dell’equità.

Se, invece, adottiamo una prospettiva differente, una prospettiva di sviluppo, allora il federalismo può rappresentare un’occasione per generare crescita. Dobbiamo, quindi, approfondire le direttrici attraverso le quali tale crescita può svilupparsi e, di conseguenza, dal punto di vista dell’analisi va attuata una cross- fertilation tra due settori che solitamente rimangono divisi in letteratura: gli studi sul federalismo e gli studi sulla crescita, attraverso le sue determinanti a livello regionale.

Nei paragrafi successivi proponiamo diverse riflessioni sul rapporto federalismo-crescita, attraverso la presentazione di alcuni contributi su questo tema, in particolar modo sulla realtà italiana.

Il nostro Paese ha intrapreso la strada del federalismo e le iniziative legislative in questa direzione sono state assunte nel periodo storico di maggiore rallentamento-declino economico dell’Italia. Di fronte a questa decisione molti opinionisti e studiosi si posti la domanda se lo Stato Italiano possa permettersi di imboccare questa strada. Su questo quesito diversi economisti importanti si sono espressi in senso negativo ritenendo che una riforma istituzionale di questo livello sia un lusso che comporta un onere finanziario-economico insostenibile

con una crescita del PIL italiano prossima allo zero o negativa. A sostegno di questo filone pessimista sull’applicazione di un modello federalista in Italia, si cita anche l’esistenza di forti differenze a livello di reddito e sviluppo fra le differenti regioni italiane che rendono immane lo sforzo per tenere assieme realtà così diverse.

Paradossalmente queste due argomentazioni sostenute dal filone “pessimista” possono essere utilizzate anche in senso contrario cioè per dimostrare il bisogno di adottare, proprio in questo periodo storico, un modello organizzativo istituzionale strutturato su una maggiore decentralizzazione.

Se analizziamo la questione dell’ampiezza dei differenziali di sviluppo possiamo notare che pur non sapendo cosa accadrebbe in un paese federalista, possiamo invece osservare cos’è successo in Italia con una struttura centralista: il centralismo e l’intervento straordinario del Mezzogiorno (finanziato in modo preponderante dal Centro-Nord in misura pari a molti punti percentuali del PIL italiano)143 non hanno attenuato, in nessun modo, negli ultimi cinquant’anni, il divario tra Italia Meridionale e Italia Settentrionale.

In considerazione di ciò vogliamo valutare se la riforma federalista possa rappresentare una scossa che risvegli nel paese le potenzialità e di conseguenza la capacità di generare crescita. Questa possibilità dipende da molti fattori, ma l’aspetto determinante da sviscerare è: cosa si intende per federalismo.

In teoria, con federalismo di intende un assetto istituzionale maggiormente decentrato che permetta un’autonomia maggiore nell’individuazione dei servizi pubblici da produrre e nella individuazione dei livelli da fornire e che produca una maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali nel finanziamento di questi servizi pubblici. Purtroppo, nel nostro Paese, il dibattito politico- culturale della riforma fiscale si è concentrato quasi totalmente sulla problematica redistributiva attraverso la disputa tra chi immagina di poter trattenere nelle zone di origine una maggior quota del gettito fiscale riscosso in loco e chi tenta di enfatizzare il meccanismo di perequazione affinchè le risorse loro destinate non diminuiscano. In questo solco si inserisce perfettamente la

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Legge 42/2009 (delega per l’attuazione del federalismo) che enfatizza maggiormente il criterio della perequazione rispetto alla valorizzazione dell’autonomia regionale.

Brosio e Piperno sostengono che:144 “[…] la rilevanza data dalla legge al

finanziamento attraverso compartecipazioni piuttosto che contributi autonomi e alle garanzie sul LEP e sul finanziamento delle funzioni fondamentali degli enti locali […]lascia trasparire una prevalenza del modello orientato alla solidarietà e alla redistribuzione,[…] e un federalismo interamente guidato dal fabbisogno e dalla perequazione è insostenibile a causa delle scarse risorse pubbliche a disposizione e, anche, alla luce delle proiezioni demografiche dei prossimi decenni.”

L’altra possibilità è intendere, invece, il federalismo come fattore di sviluppo regionale e di crescita nazionale. Di conseguenza si deve sviscerare la legge delega per l’attuazione del federalismo fiscale in una logica di sviluppo uscendo dall’impostazione di una semplice logica di redistribuzione, “a somma zero”.

L’attuazione della Legge 42, infatti, lascia spazi, anche a semplici modificazioni indirizzate allo sviluppo, semplicemente incrementando in modo sostanziale l’importanza dell’autonomia tributaria degli enti locali.

Nei paragrafi successivi andiamo a strutturare questo rapporto tra federalismo e crescita. Nel primo paragrafo, che è soprattutto teorico si analizzano i sistemi federali e/o decentralizzati e si studiano i vantaggi che possono produrre sotto i diversi profili in particolar modo sotto il profilo dello sviluppo.

Nel secondo paragrafo vengono analizzate le determinanti della crescita regionale, mentre nel terzo paragrafo si illustra la distribuzione della spesa pubblica attuale in Italia tra le varie regioni e enti locali.

Nel quarto paragrafo riprendiamo in sintesi i meccanismi delineati dalla Legge delega 42 del 2009 (già analizzati nel capitolo quattro) e infine, nel quinto e ultimo paragrafo proviamo a interpretare, attraverso il confronto tra le due opzioni principali, la legge delega in una logica di sviluppo e cerchiamo di

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analizzare le implicazioni per le regioni sviluppate ma soprattutto per le regioni del Sud.