6. SEX RATIO IN PSICOPATOLOGIA
6.3 DISTURBI NEUROLOGICI E NEURODEGENERATIVI
6.3.1 DISTURBI NEUROLOGICI
La sclerosi multipla, una malattia neurodegenerativa demielinizzante con lesioni a carico di sostanza bianca e sostanza grigia, colpisce più frequentemente il sesso femminile. È già stato discusso il ruolo che gli estrogeni hanno nel peggioramento dei sintomi nelle donne, con un aggravio della sintomatologia in seguito alla menopausa. Le femmine sono colpite due volte tanto i maschi, ma essi presentano forme più severe e progressive (Clayton, 2016).
47
sinucleina e dalla perdita di neuroni dopaminergici nel mesencefalo. Questo disturbo è, quindi, strettamente collegato ai livelli cerebrali di dopamina. È una patologia che colpisce due volte di più gli uomini, rispetto alle donne. Inoltre, i maschi presentano un numero più elevato di gravi problemi motori rispetto alle donne. Gli estrogeni sembrerebbero avere un ruolo protettivo nei confronti dei danni eccitotossici presenti nel morbo di Parkinson, favorendo il sesso femminile. Inoltre, il tono dopaminergico è maggiore nelle donne rispetto agli uomini e vi sono anche differenze nell’espressione dei profili genici dei neuroni dopaminergici (Clayton, 2016).
Anche per quanto riguarda l’emicrania, è presente un sex ratio alterato: questa patologia colpisce da due a tre volte più le donne che gli uomini. Questo sembrerebbe correlato agli ormoni sessuali, in quanto l’emicrania sembra manifestarsi intorno alla pubertà, risolversi verso la fine della gravidanza ed essere correlata al ciclo mestruale (Clayton, 2016).
Da studi con risonanza magnetica (Maleki et al., 2012; Liu et al., 2011) emergono differenze nella struttura cerebrale e nella connettività tra uomini e donne che soffrono di emicrania. Le donne hanno un ispessimento della corteccia posteriore dell’insula, regione coinvolta nella percezione del dolore e nel processamento emozionale. Le donne che soffrono di questa patologia sembrano avere anche una minor connettività funzionale tra l’insula e altre regioni cerebrali. Inoltre, le femmine con emicrania cronica sembrano avere un’organizzazione più disfunzionale, rispetto agli uomini, del network cerebrale a riposo (Liu et al., 2011).
6.3.2 MALATTIA DI ALZHEIMER E ALTRE DEMENZE
Le donne sono esposte ad un maggior rischio, quasi doppio, di sviluppare la malattia di Alzheimer e la prevalenza di questo disturbo è più alta nelle femmine, in particolare nella fascia di età più avanzata. La differenza del grado di scolarizzazione tra maschi e femmine potrebbe contribuire a questo squilibrio, in quanto, un minor grado di scolarizzazione è correlato a un declino cognitivo maggiore. Altro fattore di rischio è rappresentato dai problemi cardiovascolari, che giocherebbe un ruolo nell’insorgenza dell’Alzheimer: difatti il diabete di tipo 2 e l’ipertensione stanno vedendo un incremento di prevalenza tra le donne (Gabelli & Codemo, 2015; Podcasy & Epperson, 2016).
Le donne, inoltre, mostrano un’atrofia cerebrale maggiore e un più veloce declino cognitivo rispetto agli uomini. Questo sembra potersi collegare agli ormoni sessuali: gli estrogeni, come
48
visto anche precedentemente, avrebbero un’azione neuroprotettiva. In particolare, nella malattia di Alzheimer, ridurrebbero l’aggregazione di beta amiloide e incrementerebbero alcune funzioni neurali, come il flusso sanguigno cerebrale e il metabolismo del glucosio, oltre che la formazione di sinapsi sulle spine dendritiche ippocampali e l’aumento di colina acetiltransferasi nel prosencefalo basale e nell’ippocampo.
Sia negli uomini, che nelle donne, l’avanzare dell’età e il declino cognitivo sono associati ad una diminuzione del livello degli ormoni sessuali. Negli uomini il testosterone si riduce in maniera graduale, mentre nelle donne vi è una rapida perdita di estrogeni a seguito della menopausa. Ciò potrebbe spiegare il declino cognitivo più veloce nel sesso femminile. Sembra che la terapia ormonale possa contrastare gli effetti della menopausa sul declino cognitivo. Questa terapia dovrebbe essere, per avere buoni esiti, iniziata in una precisa finestra temporale che non si allontani troppo dall’inizio della menopausa. In caso contrario, questa terapia porterebbe addirittura ad un rischio aumentato di sviluppare malattia di Alzheimer (Gabelli & Codemo, 2015).
Per quanto riguarda invece la demenza vascolare, i dati sono più contrastanti. Questa demenza può insorgere a seguito di ictus ischemico o emorragico ed i maschi, oltre ad avere quasi il 50% di prevalenza in più per l’ictus, sono colpiti, in media, ad un’età inferiore rispetto alle femmine. Altri dati indicano che, nelle femmine, l’ictus tende ad essere più severo e che, nell’arco di vita, hanno un rischio maggiore di andare incontro ad ictus, probabilmente per l’aspettativa di vita maggiore rispetto ai maschi. Anche in questo caso, il diabete di tipo 2, che abbiamo visto essere in crescita tra le donne, aumenta di molto il rischio di andare incontro a demenza. Le donne, inoltre, presentano più spesso depressione post ictus, un ulteriore fattore di rischio di sviluppo di demenza (Podcasy & Epperson, 2016).
6.3.3 DISTURBI NEUROLOGICI, NEURODEGENERATIVI ED EPIGENETICA
La plasticità sinaptica è una delle proprietà dei neuroni che stanno alla base della formazione della memoria nel cervello. Le modificazioni epigenetiche del DNA e degli istoni, ma anche i microRNA, sembrano avere ruoli critici in molti aspetti della plasticità neurale, che influenzano direttamente la formazione della memoria nel cervello (Kiebler & DesGroseillers, 2000; Sen, 2014). In studi effettuati su ratti, difatti, si è visto che il creb- bindind protein (CBP), un tipo di istone acetil-transferasi (HAT), ha influenza su vari compiti
49
legati alla memoria (Chen et al., 2010a; Chen et al., 2010b). Inoltre, la somministazione di inibitori delle deacetilasi istoniche (HDAC), aumenta le funzioni cognitive e riduce la memoria di oggetti collegati alla paura nei ratti (Korzus et al., 2004).
La malattia di Alzheimer (AD) ad insorgenza tardiva riflette l'interazione di più fattori di rischio genetici e ambientali, insieme ad alterazione dei meccanismi epigenetici che controllano l'espressione genica. L’AD ad esordio precoce è, invece, rara e può essere ricollegata a mutazioni patogenetiche. Modelli anormali di acetilazione e metilazione dell'istone, nonché anomalie nella metilazione globale e del DNA specifico del promotore, sono stati documentati nei pazienti con AD, unitamente a una deregolazione di RNA non codificanti. La deregolazione epigenetica si interfaccia con i processi patofisiologici fondamentali alla base dell’AD: produzione eccessiva di beta amiloide, alterazione post- traduzionale aberrante della tau, deficienza della clearance neurotossica della proteina, disfunzione assonale-sinaptica, apoptosi mitocondriale-dipendente e rientro del ciclo cellulare. Inoltre, la metilazione del DNA, le modificazioni degli istoni e i livelli di diverse specie di microRNA sono modulati dalla beta amiloide, dallo stress ossidativo e dalla neuroinfiammazione. I meccanismi epigenetici sono, quindi, ampiamente deregolati nell'AD principalmente a monte dei processi patofisiologici chiave, ma anche a valle. Alcuni di questi cambiamenti epigenetici si oppongono all'evoluzione dell'AD, molti sembrano, invece, andare di pari passo ed anche influenzare la sua progressione (Millan, 2014).
Anche secondo altri studi, la metilazione del DNA sembrerebbe strettamente associata a vari disturbi neurologici, ma in maniera ancora più importante al morbo di Alzheimer. È stato, difatti, dimostrato che la manipolazione del livello di metilazione del DNA può interferire con il carico di beta amiloide (Fuso et al., 2005).
Agire sulla metilazione del DNA sembra portare ad un miglioramento dell’AD, suggerendo che questo meccanismo possa essere utilizzato nella terapia di questo disturbo e dei disturbi neurodegenerativi in generale (Sen, 2014).
Inoltre, la downregulation dei geni, dovuta ad alterazioni epigenetiche, porterebbe a deficit cognitivi, associati a disturbi neurologici come il morbo di Alzheimer (in cui la disfunzione epigenetica è evidente nel tessuto cerebrale ed è direttamente collegata a deficit cognitivi e comportamentali negli studi funzionali), alla malattia di Huntington, ad alcuni disturbi come
50
la sindrome di Rett, ma anche all'invecchiamento (Millan, 2014; Sen, 2014; Landgrave- Gómez et al., 2015).
Anche per quanto riguarda la sclerosi multipla (SM), vi sono evidenze che l’epigenetica abbia un ruolo fondamentale (Huyn & Casaccia, 2013; Kucukali et al., 2014). L'eterogeneità del decorso clinico e le basse percentuali di concordanza nei gemelli monozigoti hanno indicato il coinvolgimento di complessi fattori ereditari e ambientali nella patogenesi della SM. Essa è più spesso trasmessa alla generazione successiva dalle madri rispetto ai padri, il che suggerirebbe un'influenza epigenetica. Una delle possibili ragioni di questo effetto dipendente dal genitore, potrebbe essere l'allele antigene leucocitario umano DRB1*15, il principale fattore di rischio per la SM, regolato da meccanismi epigenetici come la metilazione del DNA e la deacetilazione istonica (Kucukali et al., 2014).
Inoltre, i principali fattori di rischio ambientale per la SM, ovvero la carenza di vitamina D, il fumo e il virus Epstein-Barr, sono noti per esercitare cambiamenti a livello epigenetico. Cambiamenti nell'acetilazione e metilazione dei geni che regolano l'espressione dell'infiammazione e dei fattori di mielinizzazione sembrano essere particolarmente coinvolti nell'epigenetica della SM. Sebbene si sappia poco sui fattori epigenetici che causano la neurodegenerazione, i meccanismi epigenetici che regolano la perdita assonale, l'apoptosi e la disfunzione mitocondriale nella SM sono in fase di identificazione (Kucukali et al., 2014). Inoltre, i livelli di espressione di diversi microRNA (miRNA) sono stati individuati come aumentati nei cervelli di soggetti colpiti da SM ed essi potrebbero influenzare la patogenesi di questo disturbo (Huyn & Casaccia, 2013).
Alcuni miRNA potrebbero addirittura essere utilizzati come biomarcatori diagnostici nella SM: le alterazioni nei profili di espressione di alcuni miRNA, sembrano poter essere utilizzate per differenziare pazienti affetti da SM da controlli sani, pazienti con SM in recidiva da quelli in remissione e pazienti con SM trattati o non trattati con reagenti immunomodulanti (Kucukali et al., 2014).