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NEUROCHIMICA

Nel documento Verso una psicologia genere specifica (pagine 30-36)

5. DIFFERENZE CEREBRALI DI GENERE

5.1 DIFFERENZE BIOLOGICHE

5.1.2 NEUROCHIMICA

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importanti ed ampie differenze, tra i due sessi, anche nelle modalità di trasmissione, di regolazione e di processamento delle biomolecole.

Tra le differenze più significative, troviamo sicuramente quelle riguardanti il sistema monoaminergico. Questo sistema è difatti implicato in molti dei disturbi neurologici e delle malattie mentali che affliggono in maniera differente uomini e donne: è coinvolto nel controllo di molti processi come la risposta allo stress, la riproduzione e il comportamento sessuale e la respirazione.

Delle monoamine fanno parte due gruppi: le catecolamine, tra cui la dopamina riveste il ruolo più importante, e le indolamine, la cui amina più importante è la serotonina.

La dopamina riveste un ruolo fondamentale tra le monoamine, poiché la sua regolazione può controllare i livelli delle altre due catecolamine, ovvero norepinefrina ed epinefrina, che derivano proprio dalla dopamina. Si è visto che i livelli di norepinefrina nell’amigdala presentano delle differenze tra i due sessi, con l’aumentare dell’età. È la ghiandola surrenale a secernere le catecolamine, solitamente in risposta allo stress. Maschi e femmine reagirebbero allo stress in maniera differente: la risposta ad esso sembrerebbe, nelle femmine, essere mediata dall’ossitocina, un ormone che riduce lo stress ed aumenta l’affiliazione sociale nei ratti (Carter et al., 1995; Witt et al., 1990). Questo potrebbe essere correlato alle differenze tra i due sessi nei disturbi stress correlati e potrebbe contribuire alla maggior aspettativa di vita delle femmine. Le differenti modalità di risposta allo stress saranno trattate più approfonditamente nel paragrafo successivo.

La dopamina concorre ai processi di ricompensa, entrando in gioco quindi nel rinforzo conseguente all’abuso di droghe, al gioco d’azzardo, ma è anche coinvolta in alcuni disturbi neuropsichiatrici come il morbo di Parkinson e la schizofrenia, che presentano sex ratio differenti. Da alcuni studi emerge che il tono dopaminergico è maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Si è visto come il rilascio di dopamina nel globo pallido destro e nel giro inferiore destro indotto da anfetamine fosse maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Inoltre, il trasportatore della dopamina, responsabile della regolazione sinaptica della disponibilità dopaminergica, è più presente nelle donne. In particolare, sembra emergere che le donne abbiano un tono dopaminergico presinaptico maggiore degli uomini nello striato e una maggior densità e disponibilità di recettori dopaminergici nell’extrastriato (Wizemann & Pardue, 2001).

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Questo maggior tono dopaminergico sembra essere un fattore protettivo del sesso femminile nei confronti di alcune malattie neuropsichiatriche collegate a disturbi nella funzione dopaminergica. L’alcolismo colpisce il doppio degli uomini, rispetto alle donne, e anche la schizofrenia colpisce in maniera differente uomini e donne. È stato ipotizzato che gli estrogeni possano avere qualità neuroprotettive interagendo col sistema dopaminergico: per quanto riguarda la schizofrenia, difatti si è visto che, intorno gli anni dell’insorgenza della menopausa (tra i 45 e i 54 anni), vi è un aumento dell’incidenza della schizofrenia nelle donne. Questo potrebbe essere dovuto alla diminuzione dei livelli di steroidi sessuali conseguente alla menopausa.

Il morbo di Parkinson è strettamente collegato ai livelli cerebrali di dopamina ed è, difatti, una patologia che colpisce più uomini che donne. Inoltre, gli uomini con parkinson presentano un numero più elevato di gravi problemi motori rispetto alle donne: questo potrebbe essere collegato al fatto che si presentano delle forti differenze tra i sessi nell’attività monoaminergica prefrontale. Inoltre, gli estrogeni sembrerebbero limitare i danni eccitotossici presenti nel morbo di Parkinson (Cosgrove et al., 2007).

Altra implicazione di cui tenere di conto è che questa maggior disponibilità di dopamina che presentano le donne, rispetto agli uomini, potrebbe portare a una differente efficacia, tra i due sessi, dei trattamenti con farmaci che interagiscono con questa molecola.

Tra le indolamine, la più importante amina è la serotonina. Anche il sistema serotoninergico presenta delle importanti differenze tra i due sessi e a questo potrebbe collegarsi la distribuzione differente di alcune malattie mentali tra maschi e femmine.

Si è visto che il livello di serotonina circolante nel sangue delle donne è maggiore di quello degli uomini, ma che questi ultimi sintetizzano la serotonina molto più velocemente di quanto facciano le donne (Wizemann & Pardue, 2001; Cosgrove et al., 2007). La serotonina svolge una serie di importanti funzioni: oltre a entrare in gioco nella coordinazione di complessi compiti motori e sensoriali, è implicata nei disturbi dell’emotività, nella schizofrenia e nei disturbi del sonno e dell’alimentazione. Le differenze nel sistema serotoninergico potrebbero essere collegate a un dato presente ormai da tempo in letteratura, ovvero che la depressione colpisce più le femmine che i maschi.

Si è visto che le donne in salute hanno una maggior disponibilità di trasportatori della serotonina nel diencefalo e nel tronco dell’encefalo e che questi trasportatori vanno incontro

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a una diminuzione selettiva età specifica nelle donne depresse, ma non negli uomini depressi (Cosgrove et al., 2007).

Sembrerebbe, quindi, che la funzione di base della serotonina sia più alto nelle donne che negli uomini. La disregolazione di questa funzione nelle giovani donne depresse potrebbe spiegare un meccanismo patofisiologico specifico dell’umore depresso in queste pazienti. Le giovani donne sembrano rispondere maggiormente agli inibitori selettivi del reuptake della serotonina, piuttosto che agli antidepressivi triciclici, se comparate con donne più anziane e con uomini. Questo potrebbe essere collegato a un’azione facilitatoria da parte degli estrogeni: si è visto che, in uno studio con controllo placebo (Henney, 2000), le donne che ricevevano estrogeni avevano una risposta accelerata al trattamento con sertralina (un farmaco facente parte della classe degli inibitori del reuptake della serotonina).

Va ricordato che, sebbene gli studi disponibili siano meno numerosi, sono state individuate differenze tra maschi e femmine anche in altri sistemi di neurotrasmettitori: il sistema oppioide, coinvolto nel dolore e nei processi di ricompensa, il sistema colinergico, coinvolto in processi di cognizione e memoria, e il sistema GABAergico, il cui neurotrasmettitore è il principale neurotrasmettitore inibitorio e che è coinvolto a sua volta in memoria ed emozioni (Cosgrove et al., 2007). Questi sistemi necessitano di ulteriori studi, poiché potrebbero a loro volta essere coinvolti nella differente distribuzione tra i due sessi di alcuni disturbi neuropsichiatrici.

Gli ormoni sessuali sembrerebbero coinvolti nel dimorfismo sessuale del dolore. Emerge da vari studi (Fillingim, 1999; Craft et al., 2004; Soetanto et al., 2004; Jackson et al., 2005; Stoffel et al., 2005) che gli estrogeni potrebbero rappresentare un fattore pronocicettivo, mentre il testosterone un fattore antinocicettivo. Difatti le donne sembrano avere una soglia del dolore ridotta e una ridotta tolleranza.

Studi condotti sui ratti (Craft et al., 2004) hanno mostrato un’efficacia analgesica maggiore nei maschi che nelle femmine a seguito di somministrazione di morfina. Inoltre, l’analgesia risultava ridotta nei maschi a seguito di gonadectomia, ma, a seguito di somministrazione di testosterone, vi era una ristabilizzazione dell’efficacia analgesica. Alla somministrazione di estradiolo, l’analgesia si riduceva nuovamente. Nei ratti femmina la gonadectomia portava, invece, ad aumento dell’analgesia, che si riduceva nuovamente a seguito di somministrazione

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di estradiolo.

Grazie a studi condotti utilizzando la stimolazione termica su esseri umani (Soetanto et al., 2004), si è visto che le femmine mostrano una discriminazione sensoriale degli stimoli maggiore rispetto ai maschi e che questa maggior attenzione agli stimoli dolorosi potrebbe collegarsi a una ricerca maggiore di cure da parte delle donne.

Sempre per quanto riguarda gli estrogeni, essi sembrano giocare un importante ruolo neuroprotettivo anche nella sclerosi multipla, malattia neurodegenerativa demielinizzante, con lesioni a carico sia della sostanza bianca, che della sostanza grigia (Wisdom et al., 2013; Clayton, 2016). Questa patologia colpisce più frequentemente il sesso femminile, rispetto a quello maschile, ed il cambiamento nei livelli ormonali sembra avere un impatto sulla neurodegenerazione che caratterizza questa malattia.

Si è visto che la patologia cambia sia durante che dopo la gravidanza, momenti nei quali gli estrogeni subiscono alterazioni, ma soprattutto si è visto che è presente un peggioramento della patologia in seguito alla menopausa.

Alcuni studi (Wisdom et al, 2013) effettuati sui ratti hanno utilizzato come modello

l’encefalomielite autoimmune sperimentale (EAE, experimental autoimmune

encephalomyelitis), un modello animale della sclerosi multipla dell’uomo. Grazie a questi studi si è visto che gli estrogeni potrebbero essere utilizzati come trattamento non solo neuroprotettivo, ma anche da somministrare a patologia già in atto. Studi più recenti, utlizzando sempre il modello animale, hanno individuato nell’estriolo un possibile candidato ad essere utilizzato nel trattamento della sclerosi multipla, poiché, rispetto ad altri estrogeni, sembra agire in maniera più ampia sui sintomi dell’encefalomielite autoimmune sperimentale, avendo anche proprietà antinfiammatorie.

L’estradiolo invece proteggerebbe i neuroni dal danno eccitotossico conseguente a convulsioni e ictus, oltre che nella malattia di Alzheimer e nel morbo di Parkinson. Sembra che ciò sia collegato alla capacità degli estrogeni di aumentare l’espressione ed il rilascio del neuropeptide Y (NPY), il quale ha effetti antieccitatori. Questi ormoni sessuali, inoltre, concorrerebbero alla riduzione della perdita di spine dendritiche età correlata.

Tra gli altri effetti che sono stati individuati, gli estrogeni sembrano avere effetti positivi anche su fluenza verbale, denominazione e produzione e velocità di articolazione verbale, abilità collegate al processamento fonologico: un aumento dei livelli di estradiolo porta ad un miglioramento dei punteggi dei test di abilità verbali (Wizemman & Pardue, 2001).

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Sono state individuate (Valentino et al., 2016) differenze anche relative alla sensibilità al CRF, il fattore di rilascio della corticotropina. Come accennato nel paragrafo relativo alla neuroanatomia, il locus coeruleus presenta delle differenze tra maschi e femmine: queste ultime hanno degli alberi dendritici più estesi e più efficaci dei maschi, in questa struttura (Bangasser et al., 2011). Questo ha un impatto importante sul fattore di rilascio della corticotropina, in quanto i neuroni del locus coeruleus delle femmine sono più sensibili al CRF rispetto ai neuroni del locus coeruleus dei maschi e si attivano, quindi, a livelli di CRF che hanno scarsi effetti sui neuroni dei maschi. Questa maggior sensibilità dei neuroni di questa struttura si traduce in una maggior attivazione elicitata da fattori di stress che portano al rilascio di CRF nel locus coeruleus. Ciò si tradurrebbe in una maggior sensibilità del sistema femminile allo stress (Bangasser et al., 2011). Nonostante queste differenze, i neuroni del locus coeruleus sembrano comportarsi in maniera simile tra maschi e femmine in condizioni di assenza di stress. Il dimorfismo di questa struttura sembra quindi avere effetti soltanto in correlazione con il fattore di rilascio della corticotropina: quando è presente una condizione di eccesso di CRF, così come accadrebbe in disturbi stress correlati come la depressione e il disturbo post traumatico da stress, i locus coeruleus maschile e femminile interagiscono con questo ormone in maniera molto differente. Livelli elevati di CRF sembrano infatti collegati alla psicopatologia: nel disturbo post traumatico e nella depressione si è visto che i livelli di questo ormone di rilascio sono elevati (Valentino et al., 2016). Non sono, però, stati individuati differenti livelli di CRF tra maschi e femmine che possano spiegare la vulnerabilità del sesso femminile a patologie stress correlate: nella depressione i livelli di CRF sono identici tra maschi e femmine e, addirittura, i maschi hanno, rispetto alle femmine, più recettori per il CRF nel nucleo paraventricolare dell’ipotalamo (Valentino et al., 2016).

Si è perciò ipotizzato che la differenza nella vulnerabilità allo stress tra maschi e femmine sia dovuta a meccanismi post-sinaptici. Sono stati compiuti studi (Bangasser at al., 2011), su modelli animali, di sovraespressione di CRF, poiché nei disturbi stress correlati si ha un livello aumentato di questo fattore. Si è visto che la mancanza di internalizzazione del CRF nei topi con sovraespressione di questo fattore, renderebbe vulnerabili i neuroni del locus coeruleus all’eccesso di CRF nella sinapsi. Nella condizione di sovraespressione di CRF, ovvero ciò che accadrebbe nei disturbi stress correlati, il sistema locus coeruleus-norepinefrina sarebbe

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tonicamente attivo proprio per l’incapacità di internalizzare il CRF in eccesso. L’iperattività del locus coeruleus è associata ai sintomi collegati all’arousal specifici dei disturbi d’ansia, disturbi depressivi e disturbo post traumatico da stress. Questo potrebbe, perciò, spiegare la prevalenza di questi disturbi nel sesso femminile.

Inoltre, lo stress e il CRF sembrano ricollegarsi alla maggior prevalenza di malattia di Alzheimer tra le donne. Questa patologia, difatti, è stata associata allo stress e, nei modelli animali, sia lo stress che la sovraespressione di CRF accelerano la formazione di placche e il declino cognitivo. Il fattore di rilascio della corticotropina potrebbe rappresentare, quindi, un collegamento tra la malattia di Alzheimer e il disturbo depressivo e magari spiegare in parte la comorbidità tra queste due patologie (Bennett & Thomas, 2014).

Nel documento Verso una psicologia genere specifica (pagine 30-36)

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