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SEX RATIO TRA GLI PSICOLOGI

Nel documento Verso una psicologia genere specifica (pagine 66-71)

6. SEX RATIO IN PSICOPATOLOGIA

8.2 SEX RATIO TRA GLI PSICOLOGI

Il paziente non è l’unica soggettività che entra in gioco nella relazione terapeutica: la persona del terapeuta stesso è indubbiamente centrale in quella relazione che si va ad instaurare durante la terapia.

Norcross e la sua task force (2001), oltre a mettere in luce l’importanza della soggettività del paziente, sottolineano la centralità del terapeuta all’interno del processo di cambiamento a cui va incontro il paziente. Inoltre, affermano come, in passato, i cambiamenti dovuti ad effetti dati dal terapeuta sono stati erroneamente attribuiti alle differenze nella tipologia della terapia. A conferma di ciò, Wampold (2001), in un’analisi della letteratura sull’influenza degli effetti dati dal terapeuta, conclude: “una preponderanza di prove indica che ci sono grandi effetti terapeuta […] e questi effetti superano di molto gli effetti del trattamento”.

Perciò, oltre alle caratteristiche del paziente, attenzione deve essere posta anche alle caratteristiche del terapeuta/psicologo, le cui caratteristiche di genere possono influire sulla terapia e sulla relazione col paziente: secondo Frank L. Collins Jr. “la necessità è di mantenere il valore della psicologia ad un certo livello all’interno della società. Questo significa

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assicurarsi che gli psicologi, indipendentemente dal genere, vadano incontro ai bisogni del cliente al meglio delle loro possibilità. Alcuni clienti richiedono un terapista di un genere piuttosto che dell’altro ed è essenziale che vi sia la possibilità di avere entrambe le opzioni disponibili. Per fare alcune delle cose che facciamo, necessitiamo sia di uomini, che di donne in psicologia” (Cynkar, 2007).

La psicologia, a primo impatto, sembra essere di gran lunga una disciplina in cui le donne sono in numero molto maggiore rispetto agli uomini. Dai dati di AlmaLaurea, risulta che, nel 2010, nelle facoltà di psicologia più dell’80% degli iscritti fosse femmina. Questi dati non riflettono, però, ciò che poi si ritrova nel mercato del lavoro: difatti, sempre secondo AlmaLaurea, in ambito psicologico, gli uomini non solo sono più occupati (87% contro il 78%), ma hanno anche posizioni lavorative più stabili (78,5% contro il 69%) e percepiscono guadagni superiori (1.435 euro contro 1.190) rispetto a quelli delle colleghe.

Le donne sono comunque in numero maggiore rispetto agli uomini, all’interno dell’ambito lavorativo della psicologia, ma questa tendenza sembra essere aumentata negli ultimi anni. Secondo un’importante analisi condotta da Olos e Hoff (Gender Ratios in European Psychology, European Psychologist, 2006, 11, pp. 1-11), i primi studi sulla situazione delle donne in psicologia, svolti negli anni ’70 negli USA, indicavano cifre molto basse: solo il 29% dei 49.000 membri dell'APA, negli Stati Uniti, era costituito da donne e soltanto il 25% dei titolari di specializzazioni post lauream in psicologia era di sesso femminile. Già nel 1988 la percentuale di membri donne all’interno dell’APA era aumentata al 37%. Col passare degli anni, il numero di donne in campo psicologico è sensibilmente aumentato e, anche in paesi che vedevano più psicologi professionisti che psicologhe professioniste, all’interno delle università il numero di studentesse di psicologia era maggiore del numero degli studenti della stessa facoltà. In particolare, le donne erano più spesso occupate nei campi della psicologia clinica e psicopedagogica, nell’insegnamento in istituti universitari, ma più raramente erano occupate nei campi della ricerca, nelle cariche più alte all’interno delle università e nei campi della psicologia del lavoro e dell’organizzazione aziendale.

La situazione in Europa sembra sovrapponibile a quella oltreoceano: le donne in psicologia, già negli anni ’90, erano in maggioranza in quasi i tutti i paesi (tranne in Norvegia e nei Paesi

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Bassi), ma, come le loro colleghe americane, non rivestivano lo stesso numero di ruoli di spicco rispetto ai maschi. I settori più redditizi e più prestigiosi erano occupati in numero maggiori dai colleghi maschi. Secondo varie analisi, inoltre, le donne non solo avevano retribuzioni inferiori, ma più spesso venivano assunte a condizioni inadeguate per il loro livello di preparazione.

I dati più recenti riguardo l’Europa risalgono al 2000, anno in cui sono stati raccolti dati relativi al sex ratio in psicologia in 19 paesi europei. In tutti e 19 i paesi ci sono più donne psicologhe che uomini psicologi. Inoltre, anche il numero delle studentesse di psicologia è più alto del numero dei colleghi maschi ed è anche più elevato della percentuale riscontrabile sul mercato del lavoro, dato che indica un possibile aumento della percentuale femminile nella professione.

La maggior parte dei paesi studiati presenta una percentuale di donne psicologo superiore al 70%: i valori più elevati, tra il 75% e il 90%, si hanno nei paesi dell’area mediterranea e nelle ex repubbliche socialiste. I paesi scandinavi, invece, presentano più eterogeneità: il valore più alto si trova in Finlandia (80%) e quello più basso in Norvegia (59%). In Gran Bretagna, Germania e Svizzera i valori sono inferiori al 70% (Olos & Hoff, 2006).

Secondo Olos e Hoff (2006), l’evoluzione della disparità tra i sessi in psicologia, può essere suddivisa, per quanto riguarda l’Europa, in due tipologie. Un’evoluzione di tipo A ha avuto luogo in Germania, Paesi Bassi, Austria, Croazia, Finlandia, Norvegia e Italia. In questi paesi, la psicologia è passata da essere una professione a distribuzione prevalentemente indifferenziata ad essere una professione prevalentemente femminile. In Svizzera vi è stato un incremento nella percentuale di donne occupate in professioni psicologiche, ma a livelli meno elevati. Questa tipologia A è simile all’evoluzione che ha avuto luogo negli Sati Uniti e in Canada.

L’evoluzione di tipo B si è verificata in Svezia, Polonia, Lituania, Ungheria e in Grecia. Qui l’evoluzione è simile a quella verificatasi in America Latina. In questi paesi la psicologia sembra essere rimasta (dagli anni ’70 in poi) una professione prevalentemente femminile, con percentuali di donne tra il 70 e l’85%.

Questi dati, però, mettono in guardia i due autori, non possono essere visti come indicatori di una vera e propria presenza più forte delle donne nella professione psicologica. Difatti, le donne spesso hanno occupazioni part-time o hanno studi privati.

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80%), come la Spagna, la Grecia, l'Italia e la Finlandia si registra un basso livello di impiego part-time (circa il 5-20%: fonte: Eurostat, 2001). In queste realtà, la psicologia si presenta in questi paesi come professione prevalentemente femminile, anche con la riconversione dei dati su valori di impiego a tempo pieno.

In paesi con percentuali più basse (55-65%) di donne nelle professioni psicologiche, come la Gran Bretagna, la Germania e i Paesi Bassi, l'impiego femminile part-time è circa il 40-70% (fonte: Eurostat, 2001).

Altro dato di cui tenere di conto per analizzare la situazione sono, secondo i due autori, è l’esistenza di segnali di chiusura orizzontali e verticali nel mercato del lavoro della psicologia. Come già accennato precedentemente, vi sono molte più donne occupate nei settori meno di prestigio e con salari più bassi e le donne ricevono più di rado promozioni alle posizioni più di spicco. Gli autori riportano la presenza di dati informativi e dichiarazioni sull'argomento, espresse in interviste ed articoli, per quanto riguarda la Germania (fonti: Berufsverband der deutschen Psychologinnen und Psychologen, 1999; Deutsche Gesellschaft für Psychologie, 1999; Statistisches Budensamt, 2000; Dettmer et al., 1999), la Grecia (fonte: J. Georgas, dichiarazione personale, 25 luglio 2000), la Gran Bretagna (fonte: membri appartenenti a varie divisioni della British Psychological Society), l'Italia (fonte: ISTAT, 2000), la Norvegia (fonte: T. Odland, dichiarazione personale, 26 luglio 2000), la Svezia (fonti: M. Bengtson, dichiarazione personale, 31 luglio 2000; C. Edlund, dichiarazione personale, 6 dicembre 2000; S. Jern, dichiarazione personale, 11 dicembre 2000), la Svizzera (Schneeberger, 2000), e l'Ungheria (fonti: Hungarian Psychological Association; E.Banyai, dichiarazione personale, 27 luglio 2000).

Anche i dati riguardanti gli ambienti accademici non sono più incoraggianti: in Italia, il 72% delle cattedre di psicologia erano assegnate a uomini. In Svezia, Svizzera e Germania i dati sono molto simili a quelli italiani.

Un dato interessante che emerge da studi empirici sui percorsi di carriera sesso-specifici degli psicologi tedeschi (Hoff, et al., 2002; Hoff, et al., 2003), è che alle psicologhe vengono attribuite delle capacità peculiari, inerenti alla “femminilità”: sia le donne che gli uomini preferirebbero, infatti, affidarsi ad una terapeuta donna e, inoltre, gli psicologi uomini sarebbero considerati meno affidabili, rispetto alle colleghe, nel lavoro con i bambini. Sicuramente i dati sopra riportati, riassunti in figura 5, non sono abbastanza recenti ed ampi

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per poter essere rappresentativi della situazione attuale, ma possono essere utili per capire come, a partire da qualche anno fa, la distribuzione di genere nel settore della psicologia andava evolvendosi. Gli stessi autori dell’importante raccolta di dati sopra citata, invitano la comunità scientifica a ampliare e tenere aggiornata la raccolta dei dati riguardanti la psicologia in Europa, riprendendo le parole di Rosenzweig (1992): “la psicologia necessita di avere dati più ampi e più esatti, per poter progettare e controllare il proprio progresso”.

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