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Diversion e Mediation nei documenti sovranazionali

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L’importanza delle forme di diversion è riconosciuta da varie Carte internazionali, da cui emerge un modello di giustizia minorile agile e veloce, pensato per un contesto istituzionale con una forte presenza di servizi educativi del territorio a cui fare ricorso in alternativa al giudizio. In sostanza, un modello basato sulla rapida uscita dal circuito penale e sul concetto di responsabilizzazione del minore anche attraverso forme di confronto con la vittima (cd. mediazione)259.

Come abbiamo già avuto modo di sottolineare nel capitolo secondo, il principio del best interest of child impone di accordare preferenza al ricorso a misure extragiudiziarie, cioè o misure attuate senza dover ricorrere a procedimenti giudiziari, oppure misure predisposte nel contesto di un procedimento giudiziario.

In particolare, questi istituti sono stati introdotti sia su scala mondiale, attraverso l’attività delle Nazioni Unite, sia su scala europea, soprattutto grazie al Consiglio d’Europa. Infatti, c’è da dire che a livello di Unione Europea, sebbene in determinati domini lo spazio giudiziario europeo compia dei progressi, si è ancora ben lontani dalla prospettiva di una armonizzazione europea delle procedure giudiziarie minorili (anche se la direttiva 2016/800/UE ha certo dato un’ottima spinta in tal senso). Viceversa, i contributi del Consiglio d’Europa in vista dell’elaborazione di

ricavare alcuni elementi fondamentali dalle discipline dei Paesi che più compiutamente hanno sviluppato tale istituto.

259 PRICOCO, Il processo penale minorile: educare e riparare, 2009, disponibile sul sito www.minoriefamiglia.it/download/

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politiche europee comuni in materia di prevenzione e trattamento della delinquenza dei minori sono considerevoli.

Innanzitutto, un primo punto di riferimento per le forme di diversion è la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 1989: in particolare, l’art. 40, par. 1 prevede il diritto del fanciullo “a essere trattato in un modo che

risulti atto a promuovere il suo senso di dignità e valore, che rafforzi il suo rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali altrui, e che tenga conto della sua età, nonché dell’esigenza di facilitare il suo reinserimento nella società e di fargli assumere un ruolo costruttivo in seno a quest’ultima”. Il 3° co., lett. b) dello stesso articolo sottolinea poi che gli

Stati parti devono impegnarsi nel trattare i casi dei fanciulli senza ricorrere a procedure giudiziarie – ovviamente, quando ciò sia possibile – pur rispettando comunque i diritti dell’uomo e le garanzie legali.

Fondamento delle forme di diversione è anche l’art. 39 della stessa Convenzione, ove si afferma la necessità di “assicurare il recupero fisico

e psicologico ed il reinserimento sociale di un fanciullo vittima di qualsiasi forma di negligenza…”. Inoltre, quando viene fatto ricorso ad una forma

di diversion, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia afferma – nel commento generale n. 12 sul diritto del minore di essere ascoltato – che “un minorenne deve avere la possibilità di esprimere un consenso libero e volontario e deve avere la possibilità di ottenere assistenza e consulenza legale nella determinazione dell’adeguatezza e della desiderabilità della diversion”.

Sempre in seno alle Nazioni Unite, le Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile del 1985 affermano che la giustizia minorile ha, prima di tutto, una finalità rieducativa, per cui deve tendere alla ricerca di soluzioni extragiudiziarie. Il documento stabilisce che l’approccio alla delinquenza minorile deve essere fondato su criteri di specificità per meglio rispondere alla condizione del minore, conformando ad un principio di specializzazione lo stesso sistema di giustizia minorile e i suoi diversi attori260. L’aspetto centrale da imprimere alla giustizia

minorile sembra condensato nell’esortazione a rendere residuale il ricorso, oltre che alla privazione della libertà come forma preventiva o sanzionatoria, anche al processo, allo scopo di contenerne gli effetti

260 Cfr. artt. 2, 3°co., 12 e 22, 1° co Regole di Pechino. CAPPELLI, Le risposte

educative ai minori autori di reato: i sistemi francese e italiano a confronto, tesi

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stigmatizzanti. In particolare, l’art. 11 delle Regole di Pechino prevede l’attribuzione al P.M., agli organi di polizia giudiziaria e ai servizi sociali interessati, di un potere discrezionale finalizzato alla definizione dei casi mediante programmi di vigilanza e di orientamento per assicurare la restituzione dei beni e il risarcimento delle vittime. Sotto quest’aspetto, appare coerente l’esortazione a far precedere ogni decisione ed applicazione di misura da un’indagine sociale volta ad approfondire la conoscenza del minore, così da facilitare l’autorità giudiziaria nel compito di individualizzare la risposta rispetto all’imputato minorenne coinvolto. L’organizzazione delle Nazioni Unite ha poi completato e precisato le suddette Regole in due testi successivi del 1990: si tratta, da un lato, delle Linee guida di Riyadh, che regolano – a monte – la prevenzione della delinquenza minorile, e, dall’altro lato, delle Regole de l’Havana, che disciplinano – a valle – la protezione dei minori sottoposti a misure privative della libertà. In particolare, le Linee guida di Riyadh affermano che l’atto antisociale è spesso connesso al processo di maturazione del soggetto e nella maggior parte dei casi tende ad essere riassorbito con il passaggio all’età adulta; proprio per questo, e sulla base della considerazione che l’attribuzione, ad un giovane, dell’etichetta di “delinquente” rischia di produrre un effetto predittivo dell’evento criminoso, si ribadisce l’esortazione a ricorrere solo in via sussidiaria alle istituzioni classiche di controllo sociale.

A sottolineare l’importanza di ricorrere a forme di diversione dal processo penale non sono soltanto le Nazioni Unite, in quanto anche a livello europeo – soprattutto, del Consiglio d’Europa – sono stati emanati vari documenti che invitano gli Stati membri a prevedere una disciplina in materia. In particolare, è interessante la Raccomandazione R (87) 20 del Consiglio d’Europa sulle reazioni sociali alla delinquenza minorile, che agli artt. 2 e 3 invita i governi a rivedere la loro legislazione e a incoraggiare lo sviluppo di procedure di diversion e di mediation da parte dell’organo che esercita l’azione penale. Tale Raccomandazione si ispira ad un’autentica corrente umanista e ad un chiaro pensiero filosofico, come si nota dall’affermazione secondo cui “i giovani sono degli esseri in divenire e tutte le misure assunte nei loro confronti dovranno avere carattere educativo”. Il documento afferma che la reazione penale deve tener conto dei bisogni e del modo d’essere del minorenne, individuando, a tal scopo, tre aree di particolare interesse: l’area della prevenzione,

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auspicando l’applicazione di una politica globale che favorisca il reinserimento dei giovani; l’area della degiurisdizionalizzazione / mediazione, invitando gli Stati ad incoraggiare le procedure che consentono di mantenere il minore al di fuori del circuito della giustizia penale; infine, il documento individua una serie di principi in materia di giustizia penale minorile, in cui la risposta penale è considerata come ultima risorsa. In ordine ai primi due punti, il documento coglie il nesso intercorrente tra fallimento scolastico, inserimento nel mondo del lavoro, disadattamento, nonché emarginazione socio-ambientale e risposta deviante. Sotto questo aspetto il Consiglio d’Europa, nella consapevolezza delle diversità normative e fattuali sussistenti tra gli Stati membri, ha voluto rimarcare la necessità di un approccio duplice: da una parte ricorrendo a forme di diversion e, quindi, di arretramento del sistema penale, dall’altra mirando, attraverso la mediazione, a ripristinare il patto sociale promuovendo nel giovane un percorso di revisione261. Il tutto

sempre sullo sfondo del principio di una giustizia minorile rapida, sulla base della considerazione che la tempestività dell’intervento sia un aspetto di estrema importanza per consentire al minore di collegare concettualmente e psicologicamente la risposta istituzionale al fatto commesso, potendo l’eccessivo differimento della decisione giudiziaria comprometterne il significato responsabilizzante262.

In generale, quindi, la Raccomandazione R (87) 20 mira a conferire alla giustizia penale minorile un carattere prevalentemente specializzato rispetto a quella applicabile ai maggiorenni.

Come abbiamo visto, la particolarità delle Regole di Pechino e della Raccomandazione R (87) 20 consiste soprattutto nell’avere un approccio che potremmo definire “umanistico” nei confronti del minore, cioè si tratta di testi che danno una grande attenzione alle specificità del soggetto coinvolto.

Questo atteggiamento viene, in parte, ridimensionato con la Raccomandazione R (03) 20263 concernente “le nuove modalità di

261 DI NUOVO-GRASSO, Diritto e procedura penale minorile. Profili giuridici,

psicologici e sociali, II, Milano, Giuffré, 2005, pag. 55.

262 PATANÈ, op. cit., pag. 67.

263 La Raccomandazione R (03) 20 – come, del resto, tutti i documenti di questo tipo – è priva di efficacia obbligatoria. Secondo gli Stati membri appartenenti al Consiglio d’Europa, tali principi e raccomandazioni non sono altro che ‹‹ciò verso cui occorre tendere››, cioè, in sostanza, delle direttive di carattere generale

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trattamento della delinquenza minorile ed il ruolo della Giustizia minorile”, che sembra recepire a livello sovranazionale la tendenza all’inasprimento della risposta penale nei confronti dei minori. Infatti, il Comitato dei Ministri osserva che “di fronte alle trasformazioni della delinquenza minorile e alle forme più acute di asocialità, le risposte delle istituzioni competenti (giustizia dei minori, servizi sociali ed educativi, ecc.) sono spesso inadatte. La conseguenza è che la giustizia dei minori è oggetto di rielaborazione in diversi Stati membri, sia a causa dei tempi eccessivamente lunghi, sia a causa della sua incapacità di far fronte al fenomeno della delinquenza minorile. Da allora, diventa sempre più difficile per la stessa giustizia minorile e per i servizi educativi e sociali che collaborano con essa applicare i principi enunciati nei testi internazionali, come la Raccomandazione R (87) 20 sulle reazioni sociali alla delinquenza minorile”. Significativo è, in tal senso, anche l’ordine con cui vengono indicati gli obiettivi cui deve tendere la giustizia minorile, laddove la priorità viene ora assegnata alla prevenzione della delinquenza primaria e della recidiva.

In ogni caso, anche se è piuttosto evidente questa tendenza alla responsabilizzazione del minore – parlando, talvolta, anche di “neo- correzionalismo” – la Raccomandazione non rinnega la filosofia di fondo sottesa al diritto penale minorile europeo. Tale filosofia si può oggi sintetizzare nell’esigenza di privilegiare il più possibile procedure riconducibili a meccanismi di diversione dal processo penale, che dovranno essere adottati nel rispetto sia del superiore interesse del minore che del principio di proporzionalità264, ed essere ancorate (se possibile) ad

un riconoscimento di responsabilità da parte del minore, continuando così a sviluppare sanzioni responsabilizzanti ed educative diverse dalla pena

di giustizia penale minorile. Tuttavia, tale documento non è semplicemente un testo ripetitivo che si limita a richiamare o a rinnovare vecchie strategie: esso contiene delle disposizioni che manifestano una determinata evoluzione nella strategia europea. Per maggiori informazioni sulla Raccomandazione R (03) 20 vedi DALLOZ, Le direttive europee in materia di giustizia penale minorile, in ZAPPALA’ (a cura di), Dove va la giustizia penale minorile?, Milano, Giuffré, 2005, pag. 9-19.

264 Infatti, dalla motivazione introduttiva alla Raccomandazione si afferma che è preferibile mantenere i giovani delinquenti al di fuori del sistema penale, in quanto la maggior parte dei giovani sono responsabili di un esiguo numero d’infrazioni relativamente minori, e che il rimprovero e l’ammonimento sono sufficienti, in molti casi, a dissuaderli dal ricominciare.

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detentiva, favorendo in particolare misure di riparazione e di mediazione tra autore e vittima, e concependo interventi che devono essere realizzati, per quanto possibile, nell’ambiente di vita naturale del minore265.

In generale, possiamo dire che questa Raccomandazione si pone lungo la linea di continuità con il passato, in quanto va a ribadire principi e linee direttrici che erano già state indicate nella Raccomandazione R (87) 20, anche se con un approccio più repressivo266.

In senso più marcatamente “educativo” si dirige la Raccomandazione R (08) 11 del Consiglio d’Europa sulle regole europee per i minorenni autori di reato che siano oggetto di sanzioni o di misure: nella parte dedicata all’enunciazione dei principi da porre a fondamento della disciplina sull’esecuzione delle sanzioni penali o di misure comunque limitative della libertà personale del minore imputato, si affiancano, accanto alla riaffermazione dei principi della riserva di legge e di giurisdizione, “la previsione di uno specifico vincolo teleologico” in forza del quale questa disciplina deve essere essenzialmente ispirata a favorire l’integrazione sociale del minorenne, la sua educazione e la prevenzione della recidiva, e deve essere comunque sempre finalizzata al perseguimento del suo superiore interesse. Tale superiore interesse finisce per coincidere con i principi di fondo già elaborati nelle precedenti Raccomandazioni, in un

265 DALLOZ, op. cit, pag. 9; DUNKEL, Il problema della criminalità minorile

in Europa: un confronto, in CINQUE (a cura di), Giustizia minore? La tutela giurisdizionale dei minori e dei giovani adulti, supplemento fascicolo 3/2004

della Nuova giurisprudenza civile commentata, pag. 161. L’Autore parla di una “filosofia europea del diritto penale minorile che risulta all’evidenza dalla raccomandazione del Consiglio d’Europa del 2003”.

266 È probabile che l’insistenza della Raccomandazione R (03) 20 sia dovuta al fatto che le precedenti indicazioni in materia non fossero state sufficientemente recepite. Secondo il Consiglio d’Europa, due fattori giustificavano la necessità d prorogare queste strategie: da un lato un fattore politico, e cioè il fatto che a partire dal 1987 numerosi Paesi dell’Europa centrale e orientale avevano aderito al Consiglio d’Europa. Questi Paesi non disponevano affatto delle infrastrutture e dei mezzi necessari per dare attuazione alle norme internazionali in materia di giustizia minorile; di conseguenza, essi ricorrevano spesso a strategie meno gravose per lo Stato, ma certamente più repressive della delinquenza minorile. Dall’altro lato, un fattore sociologico: sin dagli anni ’80 profonde trasformazioni nella vita dei giovani in Europa (aumento dei problemi economici e sociali, disfacimento del nucleo familiare, aumento dei comportamenti a rischio, fenomeni migratori, ecc.) hanno condotto a cambiamenti del tipo di criminalità e di violenza che hanno spinto ad andare più avanti nella realizzazione delle strategie di trattamento del fenomeno in oggetto. Cfr. DALLOZ, op. cit., pag. 12- 13.

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quadro normativo dove risulta essenziale l’invito, rivolto al legislatore interno, a prevedere un ampio ventaglio di sanzioni diverse dalla detenzione, caratterizzate da una graduale restituzione di porzioni sempre più ampie di libertà personale in funzione dei progressi sul piano rieducativo e modellate sui differenti stadi di sviluppo del minorenne267. Si

nota, quindi, come il documento riformula l’ordine di priorità del precedente testo, che in questo caso consiste nel raggiungere l’integrazione sociale, l’educazione e la prevenzione della recidiva dei minori.

Nella prospettiva di orientare maggiormente gli Stati a prevedere una disciplina specifica per i minori si collocano le Linee Guida per una giustizia a misura di minore, adottate dal Consiglio d’Europa nel 2010: anche questo testo si pone come obiettivo quello di riaffermare e specificare alcuni principi fondamentali riconosciuti al minore dai precedenti documenti. Di nuovo, si evidenza una inversione dell’ordine di citazione riscontrato nel precedente documento, per cui si afferma che le misure e le sanzioni inflitte ai minori dovrebbero sempre rappresentare risposte costruttive e individualizzate. In particolare, la relazione esplicativa afferma che in generale dovrebbe essere promosso e applicato un approccio preventivo e reintegrativo nell’ambito della giustizia minorile; di conseguenza, la macchina giudiziaria non dovrebbe essere messa automaticamente in moto in occasione del compimento di reati di minore entità da parte di minori, qualora misure più costruttive ed educative permettano di conseguire un risultato migliore. Sotto questo aspetto, le Linee Guida da 24 a 26 rammentano che in alcuni Stati membri l’attenzione è stata concentrata sulla risoluzione delle controversie in via stragiudiziale mediante mediazione familiare, l’istituto della diversion e la giustizia riparativa. Il Consiglio d’Europa incoraggia gli Stati membri a garantire che i minori possano trarre vantaggio da queste procedure, a condizione che queste non siano usate come ostacolo all’accesso alla giustizia da parte del minore.

267 Cfr. PALERMO FABRIS, Introduzione al sistema di giustizia penale

minorile, in PALERMO FABRIS-PRESUTTI (a cura di), Diritto e procedura penale minorile, in ZATTI (diretto da) Trattato di diritto di famiglia, II, Milano,

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Tali istituti esistono già in molti Stati membri268 del Consiglio d’Europa, e

possono riferirsi a pratiche precedenti, concomitanti o successive al procedimento giudiziario.

In linea generale, il Consiglio d’Europa non accorda preferenza ad alcuna soluzione alternativa stragiudiziale: tuttavia, afferma che gli accordi raggiunti in esito alla mediazione risultano essere più rispettati perché le parti interessate sono coinvolte attivamente e anche i minori sono in grado di svolgervi un ruolo. Secondo le Linee Guida, si potrebbe considerare anche il ricorso obbligatorio ai servizi di mediazione prima del procedimento giudiziario; ciò non con l’intento di costringere le persone alla mediazione (il che sarebbe in contraddizione con l’idea globale di mediazione), bensì di offrire a chiunque l’opportunità di essere consapevole dell’esistenza di tale possibilità.

In ogni caso, il Consiglio d’Europa precisa che, benché si ritenga che i minori dovrebbero essere tenuti il più possibile lontano dai tribunali, il procedimento giudiziario non è necessariamente peggiore di un’alternativa

268 Soltanto a titolo esemplificativo, la relazione esplicativa del Consiglio d’Europa riporta che nel cantone di Friburgo, in Svizzera, è stato elaborato uno schema di mediazione per i minori in conflitto con la legge. Alla ricerca di un equilibrio tra riparazione e retribuzione, la mediazione considera i diritti e gli interessi sia della vittima che dell’autore del reato. Nei casi in cui determinati criteri siano soddisfatti, il giudice può rinviare la causa a un mediatore: mentre quest’ultimo è incaricato della mediazione in quanto tale, la causa penale rimane di competenza del giudice. Che si giunga o meno ad un accordo tra le parti, l’esito della mediazione viene comunicato al giudice, il quale può provvedere alla stesura dell’accordo oppure continuare il procedimento se l’accordo non è stato raggiunto.

Uno dei primi Stati che ha fatto ricorso alla mediazione è l’Austria: essa ha adottato una disciplina secondo la quale il pubblico ministero ha l’obbligo di proporre all’indagato la deviazione dal processo ogniqualvolta sussistano le seguenti condizioni: la competenza deve essere del giudice monocratico; vi deve essere una sufficiente chiarezza sulla modalità di svolgimento dei fatti; dal reato non deve essere derivata la morte di alcuno; deve essere verificata l’assenza di altre cause di archiviazione che porterebbero all’immediata chiusura del procedimento; non devono evidenziarsi profili di colpevolezza grave; l’organo giudiziario deve in ultimo ritenere la diversione utile ai fini delle esigenze preventive, tanto generali quanto speciali. Presenti tali condizioni, il pubblico ministero è tenuto a rinunciare temporaneamente a perseguire il reato, proponendo un percorso alternativo che, se viene accettato dall’indagato e portato a termine con successo, conduce alla definitiva rinuncia all’azione penale, e quindi all’archiviazione del caso.

http://www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/documenti/GuidelinesChildFri endlyJustice_IT_0.pdf

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stragiudiziale, fintanto che è in linea con i principi di una giustizia a misura di minore: infatti, anche le soluzioni alternative possono implicare rischi con riferimento ai diritti dei minori, come per esempio il rischio di un calo di rispetto verso i principi fondamentali, quali la presunzione d’innocenza, il diritto all’assistenza legale, ecc. Pertanto, ogni scelta operata dovrebbe guardare alla qualità distinta di un determinato sistema.

Come abbiamo visto, quindi, sono diversi i testi sovranazionali – con carattere sia di hard law che di soft law – che affermano la necessità di una maggiore attenzione per le forme di diversion.

Il fatto che l’applicazione di questi istituti si presentasse in modo diverso da Stato a Stato ha spinto gli organismi sovranazionali ad emanare dei principi soprattutto in tema di mediazione, allo scopo di agevolare gli Stati nell’approntare una disciplina dettagliata della materia che possa ancorarsi ai principi stabiliti a livello sovranazionale.

La mediazione rientra tra le forme di giustizia riparativa, che nasce a seguito della crisi dei tradizionali modelli di giustizia, cioè quello retributivo e quello riabilitativo269. Il modello riparativo fa propria

l'esigenza di sopperire ai difetti del modello retributivo, basato unicamente sulla sanzione come risposta statale al fenomeno della criminalità, e di quello riabilitativo, che spesso confonde le reali esigenze della prevenzione con quelle della repressione, le ragioni della scienza con le ragioni del potere, dimostrandosi così inefficace270.

Lo scopo della giustizia riparativa consiste nel realizzare una risoluzione pacifica dei conflitti generati dal fatto di reato attraverso una