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Un modello europeo di giusto processo minorile

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Dopo aver visto il contenuto della direttiva, possiamo cercare di trarne qualche osservazione conclusiva.

Innanzitutto c’è da sottolineare che, seppur la notizia non ha avuto un eco mediatico risonante, essa costituisce una svolta storica nella legislazione moderna nella misura in cui, delineando un modello europeo di giusto processo minorile a cui le legislazioni degli Stati membri sono chiamate ad adeguarsi, rafforza i diritti procedurali del minore autore del reato246.

La valutazione d’impatto che accompagnava la proposta di direttiva della Commissione stimava che in Europa vi fossero oltre un milione di minori (e circa mezzo milione di giovani adulti) convolti in procedimenti penali ogni anno, e riteneva la necessità di intervenire in materia in quanto, come abbiamo già avuto modo di sottolineare all’inizio di questo capitolo, a dispetto dell’esistenza di un quadro comune di principi e diritti fondamentali – cristallizzati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, nella CEDU e in altri strumenti internazionali – il diritto ad un equo processo per i soggetti più vulnerabili (in particolare i minori degli anni 18) non sembrava essere sufficientemente garantito nei vari Paesi membri in tutte le fasi del procedimento, con possibili conseguenze anche sulla fiducia reciproca tra le autorità giudiziarie nazionali e, quindi, sulla possibilità del mutuo riconoscimento dei provvedimenti giudiziari. Infatti, né la CEDU né la Carta di Nizza sembrano essere sufficienti per garantire una tutela effettiva dei diritti dei minori: da un lato si consideri, ad esempio, come in molti Stati membri dell’Unione le norme della CEDU non siano direttamente applicabili in caso di contrasto con norme interne, nonché come, in caso di violazione dei diritti fondamentali del minore sottoposto a processo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo possa essere adita solo dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interno (senza contare che, anche in caso di condanna dello Stato per violazione della Convenzione, le conseguenze sono generalmente limitate alla previsione di un indennizzo monetario); inoltre, non bisogna dimenticare che la CEDU non contiene garanzie calibrate sulle specifiche esigenze dei

TUE e al TFUE, la Danimarca non partecipa all’adozione della presente direttiva, non è da essa vincolata, né è soggetta alla sua applicazione”. 246 SAMBUCO, op. cit., pag. 2.

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minori. D’altra parte, non si sarebbe potuta ritenere sufficiente nemmeno la presenza delle garanzie offerte dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: a prescindere dal fatto che la Carta si limita a sancire alcuni principi fondamentali, ma senza poter prendere in considerazione tutte le specifiche esigenze dei minori sottoposti a procedimento penale, le disposizioni della Carta – incluso l'art. 24 sui diritti dei minori – pur essendo suscettibili di diretta applicazione in sede giurisdizionale, necessitano di essere sviluppate mediante atti di diritto derivato per poter esplicare in modo pieno i propri effetti.

Infine, anche se c’erano già diverse direttive che contengono diritti e garanzie applicabili in tutti i procedimenti penali, c’è da dire che le direttive esistenti predispongono comunque garanzie generiche, valide cioè per tutti gli imputati, e per questo le specifiche esigenze del minore non vengono adeguatamente tenute in considerazione.

Da ciò si ricava l’importanza della direttiva 2016/800/UE: essa rappresenta un corpo strutturato di norme minime tra loro reciprocamente connesse, un catalogo di diritti volto a delineare, almeno nei suoi tratti essenziali, un modello di “giusto processo minorile” per tutti i paesi membri dell'Unione, finora assente a dispetto di una moltitudine di documenti internazionali in materia247. In questo modo il principio del superiore interesse del minore

ha fatto, per la prima volta, ingresso nel procedimento penale minorile a livello europeo: tale principio, che orienta le diverse disposizioni della direttiva 2016/800/UE, impone di riconoscere un ruolo centrale all’autore del fatto, non considerato più come “criminale” da reprimere a tutti i costi, ma come soggetto che, ragionevolmente vulnerabile e bisognoso di specifiche attenzioni, deve essere posto in condizione di comprendere le ragioni della sua entrata nel circuito penale affinché possa essere correttamente rieducato.

È comunque ovvio che il doveroso riconoscimento di specifiche garanzie a favore del minore indagato / imputato non può snaturare la funzione e la struttura propria del procedimento penale, che è e rimane un procedimento sempre e necessariamente finalizzato all'accertamento di fatti di reato da

247 Sul rapporto tra la direttiva 2016/800/UE e le altre normative in materia, l’art. 23 direttiva 2016/800/UE prevede una clausola di non regressione in base alla quale nessuna disposizione della direttiva può essere interpretata in modo da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie previsti da altri strumenti applicabili in materia che assicurino eventualmente un livello di protezione più elevato.

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parte dell'autorità giudiziaria, e delle eventuali responsabilità penali del minore in ordine agli stessi.

La tutela dell'interesse superiore del minore e il rispetto della funzione propria del procedimento penale non sono obiettivi contrapposti ma, al contrario, complementari: il raggiungimento degli scopi della giustizia minorile, e cioè il recupero e reinserimento sociale degli autori di reato e conseguentemente la riduzione del tasso di recidiva dipende infatti, in larga misura, proprio dalla equa conformazione del procedimento penale, dal riconoscimento delle peculiarità del minore e di specifiche attenzioni nei suoi confronti; e, più in generale, dal superamento, fin dalle fasi iniziali del procedimento, di una logica meramente repressiva o autoritaria, a favore di un indirizzo autenticamente rieducativo del sistema penale248.

In questo senso, la valutazione di impatto che accompagnava la proposta di direttiva della Commissione riteneva che, pur a fronte di costi non irrisori per i paesi che dovranno adeguarsi alla nuova normativa – ad esempio, per provvedere alla formazione degli operatori o per garantire il gratuito patrocinio – il recepimento della direttiva avrebbe presentato indubbi vantaggi in termini di costi sociali; in particolare, la predisposizione di particolari misure di garanzia per i soggetti coinvolti dovrebbe avere un impatto positivo non solo sugli stessi, ma anche sui sistemi giudiziari degli Stati membri dell’Unione: la presenza del difensore in tutte le fasi del processo garantirebbe, infatti, la funzionalità e il rispetto delle regole negli interrogatori e nelle udienze, limitando il rischio di dover ripetere gli atti; inoltre la presenza di adeguate garanzie limiterebbe la possibilità di ricorso contro le sentenze; e, in definitiva, l’attuazione di tutti i diritti riconosciuti al minore indagato / imputato produrrebbe come risultato finale l’applicazione di una “giusta pena”, da espiarsi nelle condizioni più appropriate (riducendo al minimo la detenzione del minore). In conclusione, secondo la Commissione l’applicazione dei diritti del minore previsti dalla direttiva 2016/800/UE faciliterebbe la reintegrazione del minore in società, contribuendo a diminuire le possibilità di recidiva e i correlativi costi sociali.

248 Cfr. CONIGLIARO, All’origine del giusto processo minorile europeo. Una

prima lettura della direttiva 2016/800/UE sulle garanzie procedurali dei minori indagati o imputati nei procedimenti penali, op. cit., pag. 13.

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Tuttavia, non manca chi segnala alcune criticità nella normativa: secondo alcuni Autori249, la direttiva si presenta come un testo a “maglie” fin troppo

“larghe” perché da un lato riproduce in modo generico principi già consolidati, dall’altro la portata dei diritti in essa sanciti è temperata da ampi margini di derogabilità delle previsioni.

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CAPITOLO QUARTO

Il giusto processo minorile europeo: questioni aperte

1. Cenni introduttivi

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Dopo aver analizzato, in generale, quelli che sono i diritti sanciti dalla direttiva 2016/800/UE, possiamo adesso concentrare la nostra attenzione su alcuni istituti giuridici che la direttiva europea omette di trattare. Abbiamo visto che negli ultimi anni Unione Europea e Consiglio d’Europa hanno progressivamente accelerato, in significativa convergenza tra loro, il processo di individuazione di un quadro minimo di regole e garanzie destinato ad esercitare un notevole influsso anche sulla normazione interna, ponendo al centro della riflessione la costruzione di uno statuto europeo dei diritti dell’indagato e dell’imputato minorenne250.

Lo scopo di questa produzione normativa è quello di delineare un quadro condiviso di garanzie al cui rispetto si impegnino tutti gli Stati membri, in una prospettiva in cui il destinatario di queste disposizioni è il singolo Stato considerato nel complesso delle sue articolazioni, quindi certamente il sistema legislativo e giudiziario, ma non solo questi, tenuto conto del proposito di affrontare il tema della devianza minorile con un approccio olistico e multidisciplinare, tale quindi da valorizzare e indirizzare gli apporti dei diversi attori del sistema251.

Abbiamo già visto, nel capitolo terzo, come la direttiva 2016/800/UE vada ad attuare la misura E) – “garanzie speciali per indagati o imputati vulnerabili” – della risoluzione adottata dal Consiglio il 30 novembre 2009,

250 COTTATELLUCCI, Le Carte dei diritti e le persone di età minore, in COTTATELLUCCI (a cura di), Diritto di famiglia e minorile: istituti e questioni

aperte, Torino, Giappichelli, 2016, pag. 55.

251 A tal proposito, si può segnalare quanto affermato dal Consiglio d’Europa nella raccomandazione R (03) 20: “la giustizia minorile è definita come la componente formale di un sistema più ampio di trattamento della delinquenza giovanile. Oltre ai Tribunali per i Minorenni, essa ingloba delle strutture o organismi ufficiali quali la Polizia, gli avvocati ed i giuristi, i servizi di messa alla prova e gli stabilimenti penitenziari. Lavora in stretta collaborazione con i servizi che operano nel settore della salute, dell’educazione, dell’intervento sociale e della tutela dell’infanzia, per esempio, e degli organismi non governativi quali le associazioni di aiuto alle vittime e ai testimoni”.

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denominata “Tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali”. Proprio per questo motivo, la direttiva 2016/800/UE si occupa in modo specifico di individuare un

corpus di garanzie minime spettanti al minore indagato / imputato; quello

che, tuttavia, omette di considerare, sono quei meccanismi di risoluzione della controversia alternativi al procedimento penale, cioè le forme di

diversion252, che pure da tempo caratterizzano la giustizia penale minorile. Nonostante la mancata menzione degli istituti di diversion sia, quindi, giustificata in ragione dello scopo perseguito dalla misura E) della

roadmap del 2009, c’è da sottolineare che, quando si parla di un processo

adatto alle esigenze del minore, non si può non tener conto di strumenti alternativi che consentano una rapida fuoriuscita dal circuito penale, in considerazione dell’effetto stigmatizzante che produce il procedimento penale sulla formazione del minore.

Secondo Lemert, con il termine diversion si intende ogni deviazione dalla normale sequenza degli atti del processo penale prima della pronuncia sull’imputazione; in particolare, si parla di diversione dal processo o dalla pena a seconda che l’istituto sia finalizzato a sottrarre il soggetto all’apparato della giustizia formale o, piuttosto, a un epilogo sanzionatorio

stricto sensu inteso. Concretizzano, quindi, ipotesi di diversion sia quegli

istituti che si risolvono nella rinuncia al promovimento dell’azione penale (pur in presenza dei presupposti per esercitarla), sia nella sua sospensione prima della fase dibattimentale, con possibilità di sostituire la sanzione penale con forme di trattamento socio-riabilitative al fine di determinare una deviazione del processo verso epiloghi non giudiziari o comunque estranei alla logica del giudizio e della sentenza di merito.

Lo scopo di comprimere la fase processuale attraverso queste forme di diversione dal processo è legato alla consapevolezza che a volte, per il deviante di minore età, la risposta istituzionale all’illecito che produce i risultati migliori non è quella processuale e punitiva, ma quella del recupero, cioè dell’attivazione di interventi di risocializzazione e di supporto che possono produrre di fatto – pur entro la cornice del processo – quella tensione educativa che per altri versi si affida alla pena e che, ove attuata precocemente, può consentire di prescinderne.

252 Il termine appare la prima volta in LEMERT, Instead of Court. Diversion in

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Infatti, presupposto ideologico delle forme di diversion è la convinzione che, una volta realizzatosi il fatto di reato, sussiste una particolare interazione tra il minore autore e le istituzioni, cioè “una forma di etichettamento che l’ordinamento predispone nei suoi confronti con l’imposizione di un processo pubblico”253 (cd. labelling approach).

L’immagine che, tramite il processo, il reo acquisisce di sé stesso, sarebbe una concausa importante di un suo successivo comportamento antigiuridico, sulla base dell’assunto che “un soggetto etichettato come delinquente tende ad agire in conformità alle aspettative della condizione deviante”254.

L’esigenza, percepita a partire dagli anni ’70, di percorsi diversi da quello tradizionale, ha condotto alla creazione di normative ad hoc nella convinzione di poter, da una parte, perseguire altrettanto e anzi più efficacemente gli scopi generali del sistema penale, dall’altra di raggiungere allo stesso tempo anche importanti obiettivi ulteriori. Tra questi, una sentita necessità di umanizzazione della giustizia minorile ha suggerito l’ampliamento delle forme di reazione penale, facendo sì che l’intervento penale in generale retroceda un poco dal suo principio repressivo e tendenzialmente distruttivo, del “colpo e contraccolpo”, a favore di una ricostruzione positiva della pace sociale255.

In quest’ottica, i percorsi processuali alternativi si candidano ad essere strumenti elettivi della cd. “giustizia riparativa256”, cioè un modello di

giustizia penale orientato non all’applicazione della sanzione penale

253 PATANÈ, CIAVOLA, La specificità delle formule decisorie minorili, in ZAPPALA’ (a cura di), La giurisdizione specializzata nella giustizia penale

minorile, Torino, Giappichelli, II, 2015, pag. 143.

254 PATANÈ, Diversion, in AA.VV., Il processo penale dei minori: quale

riforma per quale giustizia, Milano, Giuffré, 2004, pag. 68. Cfr. BERTOLINI, Esistono autentiche forme di “diversione” nell’ordinamento processuale italiano? Primi spunti per una riflessione, pag. 2 e 3, disponibile sul sito

www.dirittopenalecontemporaneo.it, 2014.

255 BERTOLINI, Esistono autentiche forme di “diversione” nell’ordinamento

processuale italiano? Primi spunti per una riflessione, cit., pag. 2.

256 Viene definito riparativo ogni procedimento in cui “la vittima, il reo e/o altri soggetti o membri della comunità lesi da un reato partecipano attivamente insieme alla risoluzione della questione emersa dall’illecito, spesso con l’aiuto di un terzo equo e imparziale” in MAZZUCATO, Mediazione e giustizia riparativa

in ambito penale, spunti di riflessione tratti dall’esperienza e dalle linee guida internazionali, in PICOTTI, SPANGHER (a cura di), Verso una giustizia penale “conciliativa”. Il volto delineato dalla legge sulla competenza penale del giudice di pace, Milano, Giuffré, 2002, pag. 91.

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classica (con la componente retributiva), ma fondato su strategie alternative di recupero e risocializzazione. In questo quadro, si pone come centrale l’esigenza di individuare percorsi di superamento dell’episodio deviante e di ritessitura delle relazioni sociali da esso lacerate, a partire da quella con la vittima sino al legame con la collettività. Le finalità rieducative e riparative, in sostanza, non riguardano soltanto una rielaborazione della condotta e la conseguente responsabilizzazione del minore autore di reato rispetto alla vittima, ma sono dirette al cambiamento dell’atteggiamento del minore rispetto alla società nel suo complesso, alle regole della convivenza civile, cambiamento che può derivargli, appunto, dalla occasione del processo.

In generale, quindi, possiamo dire che con la diversificazione delle risposte propriamente procedurali al reato si è voluto tendere alla realizzazione del principio dell’intervento penale quale extrema ratio. Solo indirettamente si può dire che si ottengano anche obiettivi ulteriori, oggi più che mai fondamentali, quali l’economia processuale e la riduzione della popolazione carceraria: la diversione, infatti, è stata pensata e deve essere considerata “indipendentemente da logiche premiali per l’imputato od economiche per il sistema: si tratta piuttosto del riconoscimento dell’inutilità o della dannosità del rito penale come ingranaggio risolutore della vicenda che dovrebbe esserne oggetto, cui consegue la laica rinuncia a progredire”257.

È difficile ancora oggi fornire una definizione univoca di diversione258. Le

istanze che vi stanno alla base sono numerose e l’attuazione pratica che ne

257 PATANÈ, Diversion, in AA.VV., Il processo penale dei minori: quale

riforma per quale giustizia, op. cit., pag. 68.

258 Si ammette pacificamente che non sussiste una definizione univoca di diversione. C’è però da ricordare che nel 1984 il XIII Congresso Internazionale di diritto penale aveva cercato di individuare una prima definizione unitaria di diversione; essa consisterebbe in ‹‹any deviation from the ordinary criminal

process, before an adjudication of guilt by a court, which results in the suspect’s participation in some form of non-penal program››. Quindi, i primi elementi utili

della definizione sono: la deviazione dal processo penale deve avvenire prima dell’emissione di un provvedimento che accerta la responsabilità, e la deviazione deve consistere nella partecipazione ad un programma non penale. Tuttavia, questo sforzo di individuare gli elementi imprescindibili della diversione non ha poi avuto veramente seguito: singoli ordinamenti hanno proceduto nella costruzione di alternative al processo adattandole alle proprie realtà nazionali e calandole nei propri sistemi processuali, ottenendo, di conseguenza, risultati differenti. Tuttavia, anche se manca una definizione universale, è possibile

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è stata data negli ordinamenti che l’hanno adottata varia non di poco. Ciò è dovuto, innanzitutto, alle differenze strutturali dei sistemi legali – si pensi ai sistemi di common law rispetto a quelli di civil law, o ancora alla presenza o meno in un ordinamento dell’obbligatorietà dell’azione penale – ma non da ultimo ciò è dipeso anche dalle differenti sensibilità culturali in materia di reazione al reato. Tuttavia, fin dai primi anni della nascita del concetto di diversione, si è percepita l’esigenza di creare un terreno comune utile alla discussione e al confronto a livello sovranazionale.