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ALL'ORIGINE DEL GIUSTO PROCESSO MINORILE EUROPEO: LA DIRETTIVA 2016/800/UE

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SOMMARIO

________________________________________

Introduzione…….……….7

CAPITOLO PRIMO

Breve storia del sistema di giustizia penale minorile

1. Cenni introduttivi………….………...12 1.1. Segue: Precedenti storici in Europa...………..…...….13 2. Origine del sistema penale minorile in Italia………...15 3. Il Codice Rocco del 1930 e il regio decreto 20 luglio 1934, n.

1404………..23

4. L’influenza della Costituzione sul sistema minorile e gli interventi

legislativi successivi……….34

5. Il d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448………...41 5.1. Principi e caratteri fondanti del processo penale minorile….46 5.2. I soggetti del processo………..50 5.3. Le limitazioni della libertà personale: misure precautelari e

cautelari………...56

5.4. La sequenza procedimentale………....62

CAPITOLO SECONDO

La tutela del minore nella normativa sovranazionale

1. Una nuova sensibilità nei confronti del minore………..74 2. I primi documenti internazionali di tutela del minore…………....75 3. Le sollecitazioni sovranazionali ad una rifondazione del sistema di

giustizia minorile………....81

4. Sulla strada di una “giustizia a misura di minore”: dalla

Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989………85

4.1…alle Linee Guida del Consiglio d’Europa del 2010………...88 5. Il processo penale minorile nelle fonti sovranazionali…………...92

(2)

5.1. Il principio del superiore interesse del fanciullo…………...94

5.2. Il ricorso a misure extragiudiziarie………...97

5.3. I principi direttivi del processo penale minorile…………...99

5.3.1. Segue: Il diritto di difesa………...105

5.3.2. Segue: Il diritto del minore di esprimere la propria opinione……….108

5.3.3. Segue: Il diritto alla prova e al contraddittorio……….112

5.3.4. Segue: La tutela della vita privata durante il processo..115

5.4. La decisione del giudice………117

6. Attuazione dei principi internazionali sul processo minorile negli ordinamenti nazionali……….118

CAPITOLO TERZO

All’origine del giusto processo minorile europeo

1. La direttiva 2016/800/UE………..122

1.1. Ambito di applicazione della direttiva……….133

1.2. Il diritto all’informazione………....136

1.3. Il diritto all’assistenza di un difensore………....138

1.4. Il diritto alla valutazione individuale e all’esame medico…..141

1.5. La registrazione audiovisiva dell’interrogatorio………143

1.6. Norme sulla limitazione della libertà personale……….144

1.7. Norme sullo svolgimento del procedimento………146

1.8. La formazione del personale………...148

2. Un modello europeo di giusto processo minorile………..150

CAPITOLO QUARTO

Il giusto processo minorile europeo: questioni aperte

1.

Cenni introduttivi

………...…….154

2.

Diversion e Mediation nei documenti sovranazionali…………...158

3.

La specificità delle formule decisorie minorili nell’ordinamento italiano………173

(3)

Considerazioni conclusive………194

Bibliografia…..……….202

Direttiva (UE) 2016/800 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2016 sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali………209

(4)

7

INTRODUZIONE

______________________________________________________

La presente indagine intende esaminare le garanzie e le tutele offerte nel panorama europeo ai minori sottoposti a procedimento penale.

L’occasione per l’elaborazione di una nuova indagine in materia è sorta in virtù della recentissima approvazione, da parte del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, della direttiva 2016/800/UE dell’11 maggio 2016 sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali.

La direttiva 2016/800/UE si colloca tra le misure di ravvicinamento delle legislazioni nazionali aventi ad oggetto i diritti dell’accusato nella procedura penale, che possono essere adottate – a norma dell’art. 82, par. 2 lett. b) TFUE – laddove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale.

La risoluzione adottata dal Consiglio il 30 novembre 2009 – denominata “Tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali” – ha messo in luce che il presupposto indispensabile per il consolidamento della fiducia reciproca tra gli Stati membri dell’Unione e per il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale, è costituito dalla garanzia della “equità nei procedimenti penali”; pertanto, il Consiglio ha invitato le istituzioni ad approvare alcune iniziative volte ad attuare i principi regolatori del giusto processo:

- misura A) traduzione e interpretazione;

- misura B) informazioni relative ai diritti e all’accusa; - misura C) consulenza legale e assistenza legale gratuita;

- misura D) comunicazione con familiari, datori di lavoro e autorità consolari;

- misura E) garanzie speciali per indagati o imputati vulnerabili. Nel 2013 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure che includeva varie proposte di direttiva e raccomandazioni, le quali avevano lo scopo di attuare le misure descritte nella tabella di marcia del 2009.

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Tra le varie direttive che sono state emanate, il 9 marzo 2016 è stata presentata anche la direttiva oggetto del presente elaborato, che va ad attuare la misura E) della roadmap del 2009.

Tale direttiva si pone quasi alla fine del percorso seguito dalla Commissione, in quanto le altre misure della Tabella di marcia hanno già ricevuto adeguata attuazione attraverso varie direttive1. Il fatto che la

direttiva 2016/800/UE si ponga alla fine di questo percorso, probabilmente si giustifica in una logica di “specialità” della stessa, in ragione dei soggetti destinatari della normativa, ma anche in forza di una applicazione generalizzata delle altre direttive le quali, riferendosi in generale agli indagati e imputati, ricomprende, nell’insieme, anche quegli indagati e imputati che non hanno ancora raggiunto la maggiore età. Di conseguenza, è ragionevole dedurre che agli indagati e imputati minorenni si applicano sia le garanzie predisposte nelle altre direttive emanate in attuazione della

roadmap del Consiglio d’Europa, sia la direttiva 2016/800/UE che è stata

predisposta in modo specifico per i minori, sottolineando, in tal modo, la necessità di una maggiore attenzione e tutela per questa categoria di soggetti.

Obiettivo della direttiva 2016/800/UE è quello di stabilire garanzie procedurali affinché i minori indagati o imputati nei procedimenti penali siano in grado di comprendere il procedimento, esercitare il loro diritto a un equo processo, evitare la recidiva e promuovere il loro reinserimento sociale. In particolare, come ha sottolineato la Commissione europea nella sua valutazione d’impatto, stabilendo norme minime comuni sulla protezione dei diritti procedurali di minori indagati o imputati, la direttiva 2016/800/UE mira a rafforzare la fiducia degli Stati membri dell’Unione nei sistemi giudiziari penali degli altri Stati membri, e quindi a facilitare il riconoscimento reciproco delle decisioni in materia penale.

Sulla base di quanto appena detto, sorge spontanea una domanda: esiste una generale sfiducia degli Stati membri dell’Unione nei sistemi di giustizia penale minorile degli altri Stati membri? Ebbene, la risposta non

1 La direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali ha attuato la misura A); la direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali ha attuato la misura B); la direttiva 2013/48/UE sul diritto di avvalersi di un difensore, sul diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e sul diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari ha attuato le misure C) e D).

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potrà che essere affermativa: come sottolinea anche il considerando n. 3 direttiva 2016/800/UE, sebbene gli Stati membri siano firmatari di varie Carte internazionali – tra cui la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il Patto Internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo – ‹‹l’esperienza insegna che ciò non conduce di per sé a un grado sufficiente di fiducia nei sistemi di giustizia penale degli altri Stati membri››. Detto questo, ci potremmo chiedere perché sussista questa generale sfiducia degli Stati nei sistemi giuridici degli altri Stati membri dell’Unione europea; la risposta è piuttosto semplice: da uno studio condotto dalla Commissione europea nel 2014 e da una contestuale analisi condotta dall’Agenzia Europea per i diritti fondamentali è emerso che mancano, in molti Stati membri, protocolli che adeguino lo svolgimento del processo penale alla condizione di fragilità e vulnerabilità del minore. In sostanza, le differenze che sussistono all’interno del sistema di giustizia penale minorile di ogni Stato membro sono così evidenti che rendono impossibile creare una generale fiducia reciproca tra gli Stati.

In realtà, non è nemmeno corretto parlare di un sistema di giustizia penale minorile per ogni Stato: infatti, mentre ci sono ordinamenti giuridici – è il caso di quello italiano – che hanno approntato una specifica disciplina quando il procedimento è a carico di un indagato / imputato minorenne (fermo restando che, come sottolinea l’art. 1 d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448, per quanto non disciplinato si rinvia alle disposizioni del codice di procedura penale), ci sono, dall’altro lato, ordinamenti giuridici che non hanno ancora predisposto una disciplina organica a tutela del minore indagato o imputato in un procedimento penale. Addirittura, lo studio condotto dalla Commissione ha rilevato che in nove stati membri – Ungheria, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Cipro, Finlandia, Svezia e Slovacchia – non esiste nemmeno una giurisdizione minorile specializzata, per cui i minori vengono processati dinanzi alle corti ordinarie al pari degli adulti.

Sulla base di queste considerazioni possiamo affermare che nonostante la direttiva 2016/800/UE sia, per sua stessa natura, uno strumento che vincola gli Stati membri dell’Unione al rispetto dell’obiettivo comune da raggiungere, ma non dei mezzi con cui raggiungerlo, c’è comunque da segnalare l’importanza di questo documento in quanto, per la prima volta sul panorama europeo, si affaccia l’idea di un “giusto processo minorile”.

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Per comprendere a fondo il sostrato normativo in cui si va ad innestare la direttiva 2016/800/UE, è opportuno concentrarsi innanzitutto sull’ordinamento italiano, analizzando in breve la storia della giustizia penale minorile. L’origine del sistema si rinviene nel codice Zanardelli del 1889, il quale si colloca agli albori di un dibattito teso a far emergere la specificità della condizione giovanile; successivamente, si sono susseguiti vari documenti che avevano come obiettivo finale quello di sottolineare la necessità di una maggiore attenzione e tutela per il minore, prevedendo diversi istituti giuridici allo scopo.

Nonostante le varie proposte in materia, il vero passaggio culturale e normativo nella storia della giustizia penale minorile italiana si è realizzato con la creazione di organo autonomo e specializzato per i minori: il tribunale per i minorenni, istituito con regio decreto 20 luglio 1934, n. 1404. Tra le competenze di questo tribunale, sarà quella amministrativa la competenza maggiormente criticata, di cui ne seguirò l’evoluzione. Si vedrà poi come nel corso del tempo si sia passati da un iniziale “diritto sui minori”, cioè un diritto che vede il minore come un soggetto debole da tutelare, a un “diritto per i minori”, cioè un diritto che cerca di individuare istituti giuridici adatti alle esigenze specifiche del singolo minore. La nuova sensibilità nei confronti del minore ha poi condotto ad una riforma radicale del processo penale minorile, attuata con il d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448, di cui ne traccerò le linee essenziali.

Dopo aver visto la nascita e l’evoluzione del sistema di giustizia penale minorile in Italia, nel capitolo secondo mi occupo di delineare quelle che sono le indicazioni fornite sulla tutela del minore che emergono dal panorama sovranazionale: si vedranno i primi documenti internazionali di tutela del minore, quali la Dichiarazione di Ginevra sui diritti del fanciullo del 1924 e la Dichiarazione ONU del 1959. Si individuerà poi l’emersione, a livello sovranazionale, di sollecitazioni per una rifondazione del sistema di giustizia penale minorile, soprattutto attraverso le Regole di Pechino, approvate dalle Nazioni Unite nel 1985, e la Raccomandazione R (87) 20 del Consiglio d’Europa sulle reazioni sociali alla delinquenza minorile. Saranno individuate anche le indicazioni più recenti in questa materia, in particolare la Convenzione ONU del 1989 e le Linee Guida del Consiglio d’Europa del 2010 per una giustizia a misura di minore. Infine, il capitolo secondo si conclude con una breve disamina dello scheletro del processo penale minorile così come emerge dalle fonti sovranazionali appena

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richiamate, dedicando l’ultimo paragrafo all’attuazione dei principi sovranazionali sul processo minorile negli ordinamenti nazionali.

Il fulcro dell’indagine sarà la direttiva 2016/800/UE, cui è interamente dedicato il capitolo terzo. In particolare, saranno individuati i singoli diritti spettanti al minore indagato o imputato, tra i quali possiamo menzionare il diritto di essere effettivamente informato relativamente ai diritti e all’addebito contestato, il diritto all’assistenza legale, il diritto alla valutazione individuale e il diritto all’esame medico.

L’ultimo capitolo sarà invece dedicato ad alcuni istituti giuridici che la direttiva 2016/800/UE non menziona, in particolare le tecniche di

diversion. Vedremo come, mentre a livello di Nazioni Unite e di Consiglio

d’Europa ci siano diverse indicazioni che invitano gli Stati membri a prevedere una disciplina in materia, l’Unione Europea è, invece, rimasta silente sul punto. Un paragrafo sarà dedicato ad analizzare, seppur nelle linee essenziali, le tecniche di diversion presenti all’interno del sistema di giustizia penale minorile in Italia, luogo naturale di sperimentazioni legislative vista la peculiarità del rito derivante dalle esigenze specifiche che la personalità in via di formazione del soggetto chiede di considerare.

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CAPITOLO PRIMO

Breve storia del sistema di giustizia penale minorile

1. Cenni introduttivi

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La storia della giustizia penale minorile comincia a delinearsi quando, alla fine del XVII secolo, si vanno affermando grandi movimenti di pensiero che, prendendo le mosse dall’esigenza di una riforma in senso più umanitario delle carceri, ponevano l’accento sulla necessità di valutare la personalità del reo nel contesto del processo penale, allo scopo di applicargli una sanzione individualizzata che ne consentisse il reinserimento sociale. Comincia in questo modo a sorgere l’idea di una giustizia minorile che si differenziasse da quella riguardante gli adulti, e in particolare si va concretamente prospettando la possibilità di istituire un giudice minorile specializzato2.

Sulla scia di questi movimenti di pensiero, all’inizio del XX secolo erano diversi gli Stati che avevano già provveduto a darsi un ordinamento in materia di giustizia minorile, anche se con discipline molto differenti tra di loro: infatti, in alcuni paesi si era preferito un giudice ordinario specializzato, mentre altri (e sono la maggioranza) hanno creato un giudice speciale per i minorenni, che in alcune legislazioni era formato da soli magistrati togati, mentre in altre da magistrati togati ed elementi estranei esperti nelle scienze antropologiche e sociali, utili per la conoscenza della personalità del minore3.

Anche la competenza del giudice minorile variava a seconda della legislazione: in alcuni ordinamenti questi aveva solo una competenza in materia penale, mentre in altri gli si attribuiva anche una competenza in materia civile e amministrativa.

2 GIAMBRUNO, Il processo penale minorile, II, Padova, Cedam, 2003, pag. 1 e ss.

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1.1 Segue: Precedenti storici in Europa

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In Europa, la prima normativa organica a proposito del Tribunale per i minorenni si ritrova nel Regno Unito4, dove con il Children Act del 1908

si resero obbligatorie in Inghilterra, Scozia e Irlanda le corti giovanili (juvenile courts). Si trattava di organi che avevano completa giurisdizione sui fanciulli (minori di anni quattordici) e sugli adolescenti (minori dai quattordici ai sedici anni) che fossero autori di fatti costituenti reato o comunque di fatti che si ponevano in contrasto con le regole della convivenza sociale. Tuttavia fu il Belgio che, con legge 15 maggio 1912, adottò per primo una regolamentazione completa in materia, seguito poi dalla Francia il 22 luglio 1912.

In Austria, la legge istitutiva del Tribunale per i minorenni risale al 26 gennaio 1919, in Olanda al 5 luglio 1921, mentre la Germania vi provvide con legge 6 luglio 19225.

A seconda dalle caratteristiche dei sistemi legislativi adottati dai vari paesi, la procedura seguita dalle istituzioni minorili presentava aspetti diversi.

4 In realtà il primo Tribunale per i minorenni nacque a Chicago, nel 1899. La legge predisponeva l’istituzione di un Tribunale minorile nelle contee con più di cinquecentomila abitanti, e la contea di Cook – dove appunto si trova la città di Chicago – era l’unica che avesse una popolazione così numerosa e che pertanto potesse avvalersi della nuova legge. Il nuovo organo non costituiva un tribunale a sé, ma faceva parte di una “circuit court” (un tribunale mobile) che doveva scegliere uno o più giudici da destinare alla trattazione delle cause riguardanti i minorenni. Successivamente, negli Stati Uniti d’America il primo tribunale autonomo fu istituito nel Colorado nel 1907.

5 Tutte queste legislazioni si sono sviluppate anche grazie ai vari Congressi internazionali che si erano posti come obiettivo quello della ricerca della soluzione al problema della giustizia minorile, giudicato un problema fondamentale nella lotta contro la criminalità. Infatti, fu al congresso di Washington nel 1910 che si pose, per la prima volta, la questione di una procedura applicata ai giovani che si differenziasse da quella prevista per gli adulti, e i relatori e gli oratori del Congresso furono unanimi nel riconoscere il bisogno imperioso di una giurisdizione speciale. Altra questione che si pose riguardava il modo di realizzare quel postulato e, dopo lunghe discussioni, la risoluzione raccomandò la creazione di una nuova istituzione; tale istituzione altro non è che il tribunale per i minorenni, anche se tale termine non appare nel testo della risoluzione. L’idea fu poi ripresa dal Congresso internazionale del tribunale per i minorenni, che ebbe luogo a Parigi nel 1911: quivi furono dettagliatamente trattate le linee principali dell’organizzazione e dell’attività della nuova istituzione. La questione fu poi nuovamente esaminata nel

Congresso internazionale penale e penitenziario di Praga nel 1930, e poi ancora in quello di Berlino nel 1935. Per ulteriori e più dettagliate informazioni cfr. NOVELLI, voce Minori, op. cit., pag. 618 ss.

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Tuttavia, nonostante le differenze tra i vari ordinamenti, si potevano comunque individuare dei tratti in comune: in primo luogo, allorché si trattava di giudicare un minore, per tutte le legislazioni era essenziale la valutazione non tanto della condotta illecita, quanto delle motivazioni di essa, che andavano ricercate osservando la personalità del minore. Altra caratteristica ricorrente era la presenza, nella composizione dell’organo giudicante, di due persone, un uomo e una donna, esperte nello studio delle scienze psicologiche e sociali e dei problemi minorili. Ancora, le udienze non erano pubbliche, e infine tutti concordavano sul fatto che la sanzione da infliggere ai minori dovesse consistere in un trattamento rivolto esclusivamente al recupero sociale dei soggetti interessati6.

In sostanza, il criterio di specialità che caratterizza il processo penale a carico dei soggetti minori di età trova la sua ratio nella esigenza di comprendere prima e giudicare poi le manifestazioni devianti della personalità dei giovani senza dover per forza fare ricorso al circuito penale e penitenziario, e si articola sia nel senso della istituzione di un giudice specializzato competente a conoscere dei reati commessi dai minori di età, sia nel senso della scelta di modelli processuali differenziati idonei ad una accurata analisi della personalità dell’imputato e non necessariamente volti ad applicare, in caso di condanna, le sanzioni penali tradizionali7.

6 Per ulteriori informazioni sui precedenti storici cfr. PALERMO FABRIS,

Introduzione al sistema di giustizia penale minorile, in PALERMO

FABRIS-PRESUTTI (a cura di), Diritto e procedura penale minorile, in ZATTI (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, II, Milano, Giuffré, 2011, pag. 5 e ss.; PATANÈ, Origini storiche e percorsi legislativi, in ZAPPALA’ (a cura di), La

giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile, II, Torino,

Giappichelli, 2015, pag. 1 e ss. 7 GIAMBRUNO, op. cit., pag. 3 e ss.

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2. Origine del sistema penale minorile in Italia

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Nell’affrontare un tema così complesso, come quello della nascita e dell’evoluzione del sistema penale minorile in Italia, è doveroso precisare che, lungi dal proporci un dettagliato excursus storico, si cercherà di procedere facendo emergere i principi sottesi a tale sistema, avendo riguardo al periodo che va dalla fine del 1800 sino alla riforma del 19888.

Una breve premessa storica sulla nascita dell’attuale legislazione penale minorile può prendere l’avvio dal codice Zanardelli del 18899: esso

conteneva un sistema penale minorile “minimo”, che fissava la maggiore età a fini penali al compimento del ventunesimo anno d’età e distingueva l’età del minore in quattro periodi.

Il primo periodo, fino ai nove anni, era caratterizzato dalla assoluta improcedibilità per fatti penalmente rilevanti10.

Il secondo periodo, dai nove ai quattordici anni, comportava il dovere per il giudice di stabilire in concreto se il minore avesse agito “con discernimento”: se l’indagine offriva risultati positivi il minore veniva

8 Per un rapido excursus sui precedenti normativi in epoca medievale e nel corso del Rinascimento, sino ai codici preunitari, cfr. BAVIERA, Diritto Minorile, I, Milano, Giuffré, 1976, pag. 165 e ss.; BOUCHARD, Processo penale minorile, in Digesto Disc. Pen., X, Torino, Utet, 1995, pag. 138. In particolare, già la legge del XII Tavole stabiliva che ai minori colpevoli del delitto di furto si comminassero pene meno severe che agli adulti. Fino al tardo diritto romano l’elemento che caratterizzava la minore età era quello della pubertà, in quanto si riteneva che la pubertà portasse il discernimento, seguendo una corrispondenza tra sviluppo fisico e sviluppo psichico del giovane. Nei casi incerti, il tutore doveva procedere all’ispezione degli organi genitali, per constatare se erano idonei o meno alla procreazione.

9 Codice penale in vigore nel Regno d’Italia dal 1890 al 1930; prese il nome da Giuseppe Zanardelli, allora Ministro di Grazia e Giustizia.

10 L’art. 53 del codice del 1889 precisava, tuttavia, che quando il minore aveva un’età inferiore ai nove anni, ma aveva compiuto un fatto previsto dalla legge come delitto che comportava l’ergastolo o la reclusione, ovvero la detenzione non inferiore ad un anno, il Presidente del Tribunale civile, su richiesta del pubblico ministero, poteva ordinare, con provvedimento revocabile, che il minore fosse rinchiuso “in un istituto di educazione e di correzione, per un tempo che non oltrepassi la maggiore età”, ovvero poteva ingiungere ai genitori o a coloro che avevano l’obbligo di provvedere all’educazione del minore di “vigilare sulla condotta di lui, sotto pena, in caso di inosservanza e ove il minore commetta un delitto qualsiasi, di un’ammenda” fissata a L. 2.000.

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punito, ma con una pena molto ridotta; se invece i risultati erano negativi il minore non veniva sottoposto alla pena11.

Il terzo periodo, dai quattordici ai diciotto anni, comportava una forte riduzione di pena12.

Infine il quarto periodo, dai diciotto ai ventuno anni, comportava una riduzione più lieve della pena13.

Questo sistema fu oggetto di lodi e di critiche: di lodi, da chi vide nella distinzione dei vari periodi un’affermazione legale del principio di individualizzazione14; di critiche, da parte di chi riscontrò in questo

spezzettamento della minore età un sistema che rinnega i principi scientifici sulla linea di demarcazione tra il fanciullo e l’adolescente, oltre a criticare il fatto che era troppo basso il limite di nove anni come elemento della capacità penale15. In generale, quindi, il codice Zanardelli fu criticato

perché già nel momento in cui entrò in vigore veniva considerato “vecchio”: il legislatore del 1889 aveva elaborato il codice con uno sguardo rivolto al passato, nell’intento di superare i difetti delle precedenti legislazioni penali.

Nonostante le critiche, e soprattutto tenuto conto del periodo in cui fu pubblicato, il Codice Zanardelli deve essere segnalato per il merito che ebbe d’aver anticipato due principi fondamentali delle moderne legislazioni riguardanti i minori: la necessità di una misura di sicurezza per i minori non imputabili, e la necessità che l’esecuzione delle pene per i minori imputabili avesse contenuto correzionale. Infatti, è interessante notare il fatto che la legge penale non doveva guardare al delinquente come

11 In particolare, se si accertava che il minore aveva agito con discernimento, le pene erano diminuite nella stessa misura prevista per i soggetti seminfermi (cfr. art. 47) ed all’ergastolo era sostituita la reclusione da sei a quindici anni. Se, invece, si accertava che il minore non aveva agito con discernimento, era possibile applicare misure di “correzione” analoghe a quelle previste per i minori di anni nove.

12 In particolare, l’ergastolo era sostituito con la reclusione da dodici a venti anni; in ogni caso, sino al compimento dei diciotto anni la pena restrittiva della libertà personale veniva scontata in una casa di correzione.

13 L’ergastolo era sostituito con la reclusione da venticinque a trent’anni, mentre le altre pene venivano diminuite di un sesto.

14 Principio secondo il quale le disposizioni legali devono essere applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne nei cui confronti si procede. Questo principio sarà poi una delle linee direttrici su cui si basa l’attuale d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448, Disposizioni sul processo penale

a carico di imputati minorenni.

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ad un soggetto inequivocabilmente irrecuperabile: in sostanza non occorreva solo intimidire e reprimere, ma anche, e soprattutto, correggere ed educare. Notevole anche il fatto che tale codice disponeva tassativamente che ai minori non erano applicabili l’interdizione dai pubblici uffici e la sottoposizione alla vigilanza speciale della pubblica sicurezza.

Siamo agli albori di un sistema che vede proprio in quegli anni l’avvio di un dibattito teso a far emergere la specificità della condizione giovanile e l’esigenza di non considerare il minore autore di reato un criminale al pari del soggetto adulto. Si matura, nella cultura giuridica del tempo, la convinzione che il ragazzo arriva al delitto per lo più sotto la spinta di circostanze sociali, familiari e individuali sfavorevoli e che pertanto non debba essere trattato come criminale, ma debba essere posto sotto la protezione dello Stato per ricevere quelle cure e quell’educazione che si ritiene sia stata negata dai genitori16.

Questa nuova attenzione verso la personalità del minore emerge, per la prima volta, in una circolare dell’11 maggio 1908 ad opera del Ministro Guardasigilli Vittorio Emanuele Orlando17, il quale, preoccupato

“dall’aumento spaventevole della delinquenza dei minori18” e convinto

della inevitabile lentezza del legislatore, si rivolse alla magistratura con una serie di raccomandazioni con cui venivano poste le basi della

16 Secondo autorevole dottrina il codice Zanardelli avrebbe rappresentato la realizzazione del modello penalistico teorizzato dalla Scuola classica, mentre scarsa sarebbe stata l’attenzione del legislatore del 1889 per le riforme proposte dai positivisti; da qui, le critiche della Scuola positiva, soprattutto per la mitezza delle pene e per la liberazione condizionale che, per la sua portata applicativa, veniva considerata un inopportuno strumento di indulgenza che avrebbe indebolito il sistema penale.

17 Il testo della circolare è riportato in NOVELLI, Note illustrative al regio

decreto 20 luglio 1934, n. 1404, su l’istituzione ed il funzionamento del Tribunale per i minorenni, in Riv. Dir. Penit., 1934, II, pag. 802.

18 Secondo parte della dottrina le statistiche del tempo non giustificavano affermazioni così allarmanti: infatti, il tasso di delinquenza minorile negli anni 1896-1902 registrava un tasso del 13%, nel periodo 1906-1910 del 14%, mentre nel periodo 1921-1925 aveva subìto addirittura una inflessione, registrando un tasso del 12%. Da questi dati ne consegue che forse c’era soprattutto un interesse a fornire un quadro allarmante del fenomeno. Cfr. DE CATALDO

NEUBURGER, Analisi storico giuridica del sistema e del processo penale, in DE CATALDO NEUBURGER (a cura si) Nel segno del Minore, Padova, Cedam, 1990, vedi tabella a pag. 14; qui l’Autore ipotizza un caso di “costruzione sociale del problema”.

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specializzazione del giudice per i minorenni. Con tale circolare, infatti, si raccomandava che, nei tribunali con due o più giudici istruttori, fossero sempre gli stessi giudici a gestire la trattazione dei processi con imputati minorenni. In particolare, tali giudici dovevano studiare con animo quasi paterno la psicologia dell’imputato, e dovevano trattarlo alla buona e senza intimidazioni, cercando di guadagnarne la confidenza e di fargli comprendere la necessità dell’osservanza delle leggi e del rispetto della disciplina e della pubblica autorità. Inoltre, si richiedeva al giudice “di non limitarsi all’accertamento del fatto delittuoso nella sua pura materialità, ma di procedere a tutte quelle indagini che valessero a far conoscere lo stato di famiglia del piccolo imputato, il tenore e le condizioni di sua vita, i luoghi e le compagnie che frequenta”, insomma tutte quelle notizie idonee a fornire indicazioni sulle “cause dirette o indirette, prossime o remote, per le quali egli giunse alla violazione delittuosa della legge19”.

Ancora, la circolare prescriveva di fissare le cause contro i minorenni in ore e in giorni in cui non vi fossero dibattimenti contro adulti. Essa poi concludeva con il raccomandare ai magistrati di non trattare i minorenni come delinquenti ordinari, ma di considerare “tutta la complessità e tutte le anomalie dell’anima del ragazzo o dell’adolescente”.

La circolare Orlando rappresentò indubbiamente una pietra miliare nell’iter che avrebbe condotto alla creazione del tribunale per i minorenni, anche se dobbiamo sottolineare che essa non ebbe l’attuazione auspicata.

Successivamente, nel 1909 fu istituita un’apposita commissione, presieduta dal senatore Quarta, che aveva il compito di studiare le cause della delinquenza minorile e preparare un disegno di legge per la redazione di un “codice dei minorenni”. Il relativo progetto prese forma nel 1912: esso prevedeva l’articolazione del codice in tre libri, nei quali si era cercato di sistematizzare una disciplina organica comprendente norme di diritto sostanziale e di rito, nonché disposizioni di carattere sociale per la tutela e l’assistenza ai minori.

Nonostante il progetto Quarta non sia mai giunto all’esame del Parlamento, esso ebbe il grande merito di aver posto, per la prima volta, l’accento sui metodi processuali, ritenuti di rilevanza primaria nella gestione della delinquenza minorile: in particolare, il progetto rilevava l’inopportunità di

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un sistema in cui si consentisse che il minorenne fosse sottoposto alla giurisdizione dello stesso giudice al quale era devoluta la valutazione della responsabilità dei soggetti maggiori di età. Infatti, fino a quel momento non si era ancora creata una giurisdizione specializzata, per cui il merito del progetto Quarta consiste soprattutto nel sottolineare che l’istituzione di una magistratura speciale si poneva come condizione necessaria per informare ad un concetto razionale e concreto il trattamento della delinquenza minorile.

Oltre a contemplare l’istituzione di un magistrato per i minorenni circondariale (in ogni sede di Tribunale), il progetto Quarta conteneva previsioni di sorprendente attualità, tra le quali meritano di essere ricordate: la prescrizione che il giudizio si svolgesse a porte chiuse, con la presenza del capo della società di assistenza e senza l’intervento del pubblico ministero; il potere di allontanare temporaneamente il minore dall’aula durante l’assunzione della prova, oltre al divieto assoluto di pubblicare atti o documenti dell’istruzione e del giudizio; la disposizione per cui la pena pecuniaria irrogata al minore si convertiva nella prestazione di lavoro in favore dello Stato o di un ente pubblico, mentre la pena detentiva veniva scontata in colonie agricole o in case di correzione per minorenni.

Tuttavia, come già segnalato, il progetto rimase lettera morta.

Un primo passo avanti a livello normativo si ebbe nel 1913, allorché nel nuovo codice di procedura penale20 vennero tradotte in norme tutta una

serie di raccomandazioni contenute nella circolare Orlando: il dibattimento a porte chiuse per i minori di anni diciotto; la riservatezza delle sentenze; il divieto di mandato di cattura per i minori di anni quattordici; il raddoppiamento del limite della pena entro il quale poteva concedersi la “condanna condizionale21”. Tuttavia, si sottolinea come in questo codice

20 Il codice di procedura penale del 1913 è andato a sostituire il precedente codice del 1865, il quale non conteneva niente di speciale per quanto riguarda gli autori di reati minorenni.

21 L’istituto della condanna condizionale, antesignano dell’attuale sospensione condizionale della pena, era stato introdotto con la legge 26 giugno 1904, n. 267, nota anche come legge Ronchetti. La pena non doveva superare i sei mesi se si trattava di delinquenti maschi di età compresa tra i diciotto e i settant’anni, mentre i dodici mesi se si trattava di minori degli anni diciotto, oppure di donne o di uomini ultrasettantenni. Su tale legge e sulle successive modificazioni introdotte con il codice di rito si veda VERGINE, Sospensione condizionale

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di procedura penale non erano state riprodotte le disposizioni della circolare Orlando sull’obbligo di compiere indagini sulla personalità del minore.

Il vero passaggio, sia culturale che normativo, si ebbe con l’elaborazione del progetto Ferri nel 1921, il quale merita di essere ricordato perché ha ispirato gran parte delle disposizioni contenute nel codice Rocco del 1930 e nella legge minorile del 193422.

In particolare, con decreto 14 settembre 1919 Ferri era stato chiamato dal Ministro della Giustizia Ludovico Mortara a presiedere una commissione per la riforma delle leggi penali, con l’incarico di proporre le misure necessarie per conseguire un più efficace e sicuro presidio contro la delinquenza abituale, tenendo conto delle condizioni personali dei delinquenti, oltre che della materialità dei fatti delittuosi23.

In particolare Ferri, classifica la “patologia” del minore all’interno di cinque categorie, a seconda della pericolosità del soggetto e della possibilità di correggere il suo comportamento: si va dai minori “non moralmente abbandonati” (cioè i più vicini alla normalità), ai minori “moralmente abbandonati”, ai “moralmente pervertiti”, a quelli con “tendenza persistente al delitto”, fino ad arrivare agli “infermi di mente”.

della pena, in Digesto disc. pen., XIII, Torino, Utet, 1997, pag. 447 e ss. Per

ulteriori e più dettagliate informazioni sulle novità apportate dal codice del 1913 si veda NOVELLI, voce Minori, op. cit., pag. 620.

22 Il progetto Ferri ben rappresenta le istanze riformatrici della Scuola positiva. In particolare, il codice Rocco e la legislazione del 1934 si ispireranno a questo progetto per la classificazione dei minori, per la categoria della pericolosità sociale e per la categoria della correggibilità. Secondo alcuni autori il progetto Ferri è stato il più tenace tentativo, e la smentita più clamorosa, dell’illusione che la scienza positiva potesse risolvere i problemi della delinquenza e della

criminalità; è anche la testimonianza più evidente dei gravi rischi insiti nella delega alla scienza della gestione dei fenomeni di devianza e nel far coincidere il legislatore con l’esperto di scienze umane e sociali.

23 Secondo Ferri il lavoro della commissione doveva essere guidato da due criteri direttivi: “il primo è che, per evitare gli inconvenienti già sperimentati in Italia ed all’estero, di riforme frammentarie e spesso contraddittorie, le riforme che noi proporremo…devono tener conto soprattutto delle condizioni personali dei delinquenti oltre che della materialità dei fatti delittuosi. Vale a dire si tratterà di portare il fulcro della legge penale dal delitto al delinquente. Il secondo criterio direttivo è che le riforme da noi proposte dovranno contemperare le garanzie dei diritti individuali con quelle dei diritti sociali”. Per ulteriori informazioni vedi BISI, Enrico Ferri e gli studi sulla criminalità, Milano, Franco Angeli, 2004, pag. 18 e ss.

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Tale progetto sottolineava che i rimedi più efficaci per la lotta contro la criminalità dei minorenni stanno fuori dal codice penale; muovendo da tale considerazione, la Relazione al progetto individuava la necessità che “i magistrati dei minorenni e i loro uffici centrali provvedano ad una specie di censimento e di federazione tra i vari istituti di beneficienza educativa per minorenni, sia per assicurare il loro concorso regolare evitando inutili sperperi di energie e di mezzi finanziari, sia per disciplinare taluni alla consegna di questi minorenni delinquenti, che per quanto non pervertiti, né con tendenza persistente al delitto, né infermi di mente, sono però sempre degli anormali, più o meno moralmente deficienti, che non conviene amalgamare con i minorenni normali”. Come si vede, quindi, in questo progetto veniva dato notevole rilievo all’elemento soggettivo del reato. Anche tale progetto non vide la luce, in quanto poco dopo sopraggiunsero profondi mutamenti politici che non consentirono di darvi attuazione.

Fra i provvedimenti volti a trovare la strada per una concreta ed effettiva differenziazione della giustizia minorile non va dimenticato il progetto Ollandini, presentato alla Camera dei deputati nel 1922 e mai divenuto legge. In esso si prevedeva l’istituzione – in ogni città con popolazione superiore a duecentomila abitanti – di un organo collegiale misto, composto da tre a cinque membri scelti tra i magistrati di carriera e funzionari o privati con speciali attitudini, e con competenza limitata alle sole opere di vigilanza, tutela e protezione.

Successivamente, fu nel periodo fascista che venne affrontato appieno il problema della prevenzione della delinquenza minorile, e lo si fece prima attraverso la creazione di istituzioni politico-sociali e poi con profonde innovazioni giuridiche. Dal punto di vista politico-sociale si segnala la creazione dell’Opera nazionale maternità ed infanzia24, dell’Opera

24 Conosciuta anche con l’acronimo OMNI, essa è stata un ente assistenziale italiano fondata nel 1925 allo scopo di proteggere e tutelare madri e bambini in difficoltà. Si tratta, in Italia, del primo ente parastatale specificatamente finalizzato all’assistenza sociale della maternità e dell’infanzia; modello dell’Opera è il Belgio, dove dal 1919 è attiva l’Opera di protezione nazionale dell’infanzia, che si occupa della tutela dell’igiene della prima infanzia. Nel panorama dei paesi maggiormente industrializzati, l’Italia arriva per ultima alla costituzione di un ente parastatale a tale scopo: organismi analoghi sono già presenti, oltre che in Belgio, anche in Norvegia (1915), Francia (1921), mentre leggi sull’assistenza della maternità e della prima infanzia sono già state

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nazionale balilla25 e dell’Opera nazionale del dopolavoro26: istituzioni che

resero possibile un’attrezzatura materiale e morale capace di funzionare come una corazza insuperabile per la difesa del fanciullo e dell’adolescente contro gli elementi favorevoli alle deviazioni giovanili.

Per quanto riguarda, invece, le innovazioni giuridiche, occorre attendere qualche anno più tardi, quando nel 1929 il Ministro Guardasigilli Alfredo Rocco emana una circolare in cui indica le prime norme per il funzionamento di una speciale giustizia minorile in collaborazione con l’Opera nazionale maternità ed infanzia.

In particolare, con la circolare 24 settembre 1929, n. 2236, il Ministro riprende, ad oltre un ventennio di distanza, alcune delle direttive contenute nella circolare Orlando (mai tradotte in legge) e suggerisce, in attesa della riforma del codice penale e del codice di procedura penale, di provvedere senza indugio alla istituzione di magistrati per i minorenni e ad assicurare una migliore applicazione delle norme di carattere preventivo sulla criminalità minorile, concentrando in capo ai magistrati facenti parte degli organi dell’Opera maternità ed infanzia i compiti di protezione ed assistenza dei minorenni delinquenti. Veniva cosi disposto che in dieci capoluoghi di corte d’appello funzionassero delle sezioni apposite dei tribunali ordinari a cui il procuratore generale presso la corte d’appello poteva rimettere, discrezionalmente, l’istruttoria e il giudizio nei confronti di soggetti infradiciottenni, in modo che gli stessi magistrati potessero

promulgate in Gran Bretagna (1918), Stati Uniti (1921), Germania (1922) e Danimarca (1922). Al momento della sua nascita, l’OMNI deve rispondere a due imperativi tipicamente fascisti: da un lato, il controllo e l’educazione dei giovani fin dalla prima infanzia, dall’altro, la subordinazione sociale delle donne. Tale ente fu sciolto nel 1975. www.wikipedia.it.

25 Complementare all’istituzione scolastica, l’ONB fu istituita nel 1926 ed era finalizzata all’assistenza e all’educazione fisica e morale della gioventù. Vi facevano parte i giovani dagli otto ai diciotto anni, ripartiti in due sotto-istituzioni: i balilla e gli avanguardisti. L’ONB mirava non solo all’educazione spirituale, culturale e religiosa, ma anche all’istruzione premilitare, sportiva, professionale e tecnica; scopo dell’ONB era quello di infondere nei giovani il sentimento della disciplina e dell’educazione militare, renderli consapevoli della loro italianità e del loro ruolo di “fascisti del domani”. Tale Opera fu sciolta nel 1937. www.wikipedia.it

26 Nota con l’acronimo OND, era un’associazione istituita il 1 maggio 1925 dal regime fascista con il compito di occuparsi del tempo libero dei lavoratori. In sostanza, fu strumento di penetrazione politica fra le masse. Dopo la caduta del fascismo, mutati in parte i principi e le finalità organizzative, assunse la denominazione di Ente Nazionale Assistenza Lavoratori (ENAL), cessato nel 1979. www.wikipedia.it.

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svolgere sia la funzione istruttoria sia quella requirente, cosi da facilitare, per “intensificazione d’esperienze” la specializzazione di questi magistrati. Si disponeva, inoltre, che i dibattimenti a carico dei minori degli anni diciotto venissero celebrati “in sedi separate e lontane dagli edifici in cui si giudicano imputati maggiorenni, allo scopo di evitare contatti non giovevoli per i piccoli giudicabili e la stessa loro permanenza negli affollati ambulacri dei palazzi di giustizia”27.

Come abbiamo visto, quindi, in questa circolare già si anticipava la previsione di un organo giudiziario specializzato attraverso l’affidamento delle cause minorili agli stessi magistrati.

In un secondo momento, una successiva circolare del Ministro De Francisci del 26 marzo 1933, n. 2314, disponeva che gli stessi criteri organizzativi previsti nella circolare Rocco dovessero essere attuati “in tutte indistintamente le Corti e le sezioni distaccate di Corte d’appello del Regno, nonché nei tribunali e nelle preture aventi sedi nei rispettivi capoluoghi28”.

3. Il codice Rocco del 1930 e il regio decreto 20 luglio 1934,

n. 1404

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Il codice Rocco introduce alcune novità importanti e al tempo stesso riforma istituti già presenti, anche se è solo con l’introduzione della cd. “legge minorile” del 1934 che si vede la nascita di un vero e proprio sistema penale minorile.

Volendo sottolineare alcuni tratti innovativi, di indubbia modernità è la disciplina introdotta per l’imputabilità: in particolare, ai sensi dell’art. 97 del codice di procedura penale, viene elevata a quattordici anni la soglia al di sotto della quale sussiste una presunzione assoluta di incapacità di intendere e di volere29. C’è però da sottolineare che per i minori degli anni

27 Si passava, quindi, dalla previsione di misure organizzative predisposte per singoli dibattimenti riguardanti imputati minorenni, come statuito nel codice di procedura penale del 1913, alla previsione di speciali udienze, celebrate da giudici ordinari, destinate a tali dibattimenti. Previsione che, successivamente, è stata consacrata nel codice di procedura penale del 1930 all’art. 425.

28 DE CATALDO NEUBURGER, op. cit., pag. 18.

29 Si tratta di una soglia pacificamente riconosciuta in quasi tutti gli ordinamenti europei, fatta eccezione per il sistema francese in cui la soglia è di tredici anni. In

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quattordici, l’art. 224 c.p. disponeva che qualora il fatto commesso dal minore infraquattordicenne fosse previsto dalla legge come delitto, e il minore era considerato pericoloso, il giudice poteva ordinare che fosse ricoverato nel riformatorio giudiziario o che fosse posto in libertà vigilata. Se poi per il delitto la legge prevedeva addirittura la pena di morte o l’ergastolo, o la reclusione di almeno tre anni, e non si trattava di delitto colposo, era sempre ordinato il ricovero del minore nel riformatorio per almeno tre anni. L’art. 98 c.p., invece, stabilisce che quando il minore ha un’età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, il giudice è chiamato a svolgere un accertamento in concreto sulla sussistenza della capacità al momento in cui il minore ha commesso il reato. In ogni caso, anche se la capacità è ritenuta sussistente, l’imputabilità del soggetto non è piena, in quanto è prevista comunque una riduzione della pena fino a un terzo30, oltre

al fatto che il giudice poteva ordinare che dopo l’esecuzione della pena il minore fosse ricoverato in un riformatorio giudiziario o che fosse posto in

campo penale è stato esaminato a fondo il problema del modo di computare l’età della persona. Alcuni autorevoli autori ritenevano applicabile l’art. 14 c.p., il quale stabiliva che “ogni qual volta la legge penale stabilisce un termine per il verificarsi di un effetto giuridico, il giorno della decorrenza non è computato nel termine”. È questo il vecchio principio romanistico del dies a quo non

computatur in termino; tuttavia, esso presuppone che il rapporto postuli un

giorno intero, mentre la legge fa solo riferimento al giorno e non a frazioni di esso. Per altro verso, dottrina e giurisprudenza hanno escluso l’applicabilità di tale articolo, affermando che l’età non è un termine, ma uno stato naturale del soggetto, legato al fattore tempo. Il momento iniziale è la nascita del soggetto, che segna l’inizio della vita e, quindi, il punto di partenza per il computo dell’età; da ciò consegue che il momento terminale dell’unità di misura deve corrispondere a quello iniziale, per cui il computo dell’età va fatto de momento

in momentum (secondo Cass. Sez. II, 28 gennaio 1961). Questa costruzione

riscuote unanimità di consensi.

30 Si tratta di una circostanza attenuante che all’epoca era sottratta al giudizio di bilanciamento. In sostanza, si aveva una riduzione obbligatoria di pena

allorquando il reato fosse stato commesso dal minore degli anni diciotto, e all’ergastolo veniva sempre sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni. La riforma dell’art. 69, ultimo comma, c.p., introdotta con il d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito in legge 7 giugno 1974, n. 220, nel ricondurre al giudizio di bilanciamento tutte le circostanze (e quindi anche la minore età), ha reso possibile un regime sanzionatorio deteriore per il minorenne, in aperto contrasto con la sua ratio ispiratrice, e ha addirittura consentito l’applicazione della pena dell’ergastolo. Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza 28 aprile 1994, n. 168, con cui ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’ultimo comma dell’art 69 c.p. nella parte in cui, attraverso il meccanismo del

bilanciamento, rendeva possibile l’applicazione della pena dell’ergastolo ai minorenni.

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libertà vigilata. Invece, se il minore veniva dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, era sempre applicato il ricovero nel riformatorio giudiziario per almeno 3 anni. Quando poi aveva compiuto i ventuno anni, il giudice ne ordinava l’assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro31.

Un’altra novità prevista dal codice del 1930 consiste nell’introduzione del perdono giudiziale che consentiva al giudice, in alcuni casi, di non applicare la pena; si tratta, quindi, di una causa di estinzione del reato concepita allo scopo – come enunciato dal Ministro guardasigilli nella sua relazione sul progetto – “di assicurare il trionfo di una più alta esigenza: quella di salvaguardare dalla perdizione giovani esistenze e di favorire il progresso civile, rendendo sempre migliori, materialmente e moralmente, le condizioni della convivenza sociale”32. Tra le cause di estinzione del

reato viene inserita anche la sospensione condizionale della pena, mutuata dalla “condanna condizionale” presente nel codice di rito: in questo caso, il limite temporale della pena passibile di sospensione diventa di un anno per i maggiorenni e di due anni per gli imputati minori degli anni diciotto o di età superiore agli anni settanta33.

Infine, è interessante rilevare l’introduzione delle misure di sicurezza per i minorenni che, pur riecheggiando, in parte, la misura civile della casa di correzione già presente nel codice Zanardelli, si caratterizzavano, nella previsione originaria del codice Rocco, per il loro particolare rigore, rappresentando lo specchio più fedele delle concezioni della Scuola positiva. Infatti, come già accennato, negli articoli menzionati da un lato non si punisce il minore degli anni quattordici perché ritenuto non sufficientemente maturo per essere passibile di un giudizio di responsabilità penale, mentre dall’altro lo si rinchiude a tempo indeterminato in un riformatorio giudiziario fino alla maggiore età, a

31 Come si legge dai disposti normativi, il riformatorio giudiziario e la libertà vigilata funzionavano per i minorenni sia come sostitutivi per la pena che come complemento della pena.

32 Secondo ROCCO, Relazione sul progetto definitivo di un nuovo codice penale, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. V, Roma, Tipografia delle Mantellate, pag. 220.

33 Vedremo come anche tale istituto subirà una significativa riforma con il regio decreto 20 luglio 1934, n. 1404 che, per gli autori di reato minori di diciotto anni, innalza fino a tre anni il limite di pena sospendibile.

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prescindere dall’accertamento in concreto della pericolosità, solo in base alla gravità in astratto del reato commesso34.

Anche se in alcuni punti contraddittoria, questa disciplina rappresenta, tuttavia, una prima significativa apertura ad una concezione di un sistema penale minorile che vede gli albori nel codice Rocco, ma che si sviluppa compiutamente con il regio decreto 20 luglio 1934, n. 1404.

Come già accennato, la creazione di un organo autonomo e specializzato per i minori si ebbe soltanto con il regio decreto 20 luglio 1934, n. 1404, che istituì il tribunale per i minorenni35.

Questa legislazione si proponeva i seguenti scopi: specializzare il giudice minorile nella forma più completa e più ampia; indirizzare la funzione punitiva verso il fine del riadattamento del minore; organizzare un sistema di prevenzione della delinquenza minorile con la rieducazione dei traviati36; rendere possibile ai minori che hanno commesso un reato il

ritorno alla vita sociale.

Nato principalmente come organo di controllo della devianza minorile, sia nella sua forma più conclamata che rientra nell’ambito penale, sia in quella prodromica e presa in considerazione per l’applicazione delle misure rieducativo-amministrative, il tribunale per i minorenni va invece accentuando da anni il suo ruolo di organo di protezione, svolgendo attività

34 Cfr. art. 224 c.p. Si tratta della prima ipotesi di pericolosità presunta sulla quale la Corte Costituzionale si è pronunciata nella sentenza 20 gennaio 1971, n. 1, con cui ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 224, 2° co. c.p., nella parte in cui rendeva obbligatorio e automatico, per i minori degli anni

quattordici, il ricovero per almeno tre anni in un riformatorio giudiziario. 35 Sull’autonomia della giurisdizione minorile vedi sent. Cass. 18 novembre 1975, n. 3864, con cui la Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto di

competenza tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni della stessa sede. La Corte ha statuito che “i due uffici giudiziari sono ben distinti per

composizione, circoscrizione e sfera di attribuzioni, sicché la ripartizione dei compiti tra l’uno e l’altro, anche quando coincidano nella sede, attiene alla competenza in senso tecnico e non all’attribuzione del lavoro tra diversi giudici dello stesso ufficio”. Sulla ineccepibilità costituzionale di questa autonomia e sulla particolare configurazione del tribunale per i minorenni come organo specializzato della giurisdizione ordinaria si riverbera anche la sent. C. cost. 14 gennaio 1986, n. 4.

36 Per ulteriori informazioni sulla definizione di “minore traviato” e sulla disciplina applicata, vedi NOVELLI, op. cit., pag. 629-630.

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dirette a rimuovere per tempo le condizioni che possono incidere negativamente sullo sviluppo del minore in formazione37.

In origine, il tribunale era composto da un magistrato avente il grado di consigliere di Corte d’appello che lo presiedeva, da un magistrato avente il grado di giudice e da un cittadino benemerito dell’assistenza sociale scelto tra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia38 e psicologia39. Esso veniva istituito in ogni sede di Corte

d’appello o di sezione di Corte d’appello e, ai sensi dell’art. 3 del regio decreto, la sua competenza era estesa a tutto il territorio della Corte d’appello o della sezione di Corte d’appello, ritenendosi che solo con una vasta competenza territoriale fosse possibile concentrare nel tribunale un complesso di affari che consentisse la formazione spirituale e tecnica dei magistrati. Per quanto riguarda, invece, il secondo grado di giudizio, il regio decreto disponeva che a far parte del collegio giudicante ci fosse un componente privato in sostituzione di uno dei componenti della Corte, ma si è conservato il sistema della designazione di una sezione della Corte d’appello all’inizio dell’anno giudiziario. Quindi, non si è creato un collegio autonomo con autonomo ufficio del pubblico ministero, perché senza dubbio il numero degli affari sarebbe stato insufficiente a dar vita a un collegio giudiziario indipendente.

Il tribunale doveva risiedere presso un unico fabbricato, sede anche del Centro di rieducazione per minori, che comprendeva un riformatorio giudiziario, un riformatorio per corrigendi, un carcere per i minori, un centro di osservazione per i minori40.

37 LA GRECA, voce Tribunale per i minorenni, in Digesto disc. pen., Torino, Utet, 1995, pag. 872 e ss.

38 Il giudice onorario fa sì che il tribunale per i minorenni sia in grado di integrare le conoscenze giuridiche con quelle proprie delle scienze sociali, onde consentire decisioni adeguate a preservare la personalità del minore attraverso interventi adatti alle sue esigenze educative. Infatti, il componente privato è in grado di porre l’attenzione più che sul fatto-reato, sull’autore del fatto.

39 La psicologia, in realtà, non era menzionata nella elencazione dell’art. 2, ma fu aggiunta con la legge 27 dicembre 1956, n. 1441, che ha modificato l’originario art. 2 del regio decreto del 1934.

40 La prescrizione di un unico fabbricato non era affatto casuale: come sottolineava Novelli, il Centro di rieducazione era destinato ad offrire al tribunale per i minorenni “l’attrezzatura completa per adeguare a ciascun minorenne il provvedimento idoneo a riportarlo sulla diritta via”. Cfr.

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Le udienze davanti al tribunale dovevano tenersi a porte chiuse, con possibilità di intervento dei prossimi congiunti dell’imputato, del tutore o del curatore dello stesso e anche del rappresentante locale dell’Opera nazionale per la protezione maternità ed infanzia. Era, inoltre, vietata anche la pubblicità del processo41.

Successivamente, dopo la legge 27 dicembre 1956, n. 1441, che ammise le donne a svolgere funzioni in materia giudiziaria, si stabilì che del tribunale per i minorenni facesse parte, oltre al cittadino di sesso maschile, una donna42, anche se ciò faceva sì che il collegio giudicante, nei giudizi di

primo grado, fosse composto da quattro membri e che quindi ci potessero essere difficoltà per la formazione della maggioranza43.

Data la composizione mista del tribunale (metà giudici professionali e metà esperti), si è molto discusso sulla sua natura: la giurisprudenza e la dottrina hanno concordemente escluso la natura di giudice speciale del tribunale

41 Con sent. 10 febbraio 1981, n. 16, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità degli art. 684 c.p., 164 c.p.p. e 16 del regio decreto 20 luglio 1934, n. 1404 nella parte in cui vietano di dare notizia dei procedimenti penali a carico di minorenni. La Corte ha ritenuto che la disciplina trova giustificazione perché costituisce mezzo “per il conseguimento di un’alta finalità di tutela dei minori, ai quali la pubblicità dei fatti della causa può apportare conseguenze gravi sia nello sviluppo spirituale, sia nella vita materiale”. Vedremo, nel capitolo successivo, come anche l’art. 8 delle Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile vieta, di regola, la pubblicazione di ogni informazione che possa contribuire a indentificare un giovane autore di reato.

42 L’obbligatoria diversità di sesso dei due giudici onorari, necessariamente un uomo e una donna, non è stata ritenuta tale da dar luogo, in caso di inosservanza, a causa di nullità. Detta inosservanza – ha affermato la Corte di Cassazione nel 1984 – non è comminata da specifiche norme di legge.

43Evidentemente interessava di più riprodurre in qualche modo nell’organo giudicante minorile l’atmosfera della famiglia, fondata anche sulla

complementarietà della psicologia tipica dei due sessi; infatti la donna, alle stesse conoscenze scientifiche del componente privato uomo, aggiunge quella particolare sensibilità, quella istintiva comprensione, quell’intuito che provengono dalla sua funzione di madre. Tuttavia, in termini di questioni di costituzionalità, è stato prospettato il problema della parità dei componenti del tribunale, soprattutto perché manca una previsione normativa che detti la regola per far prevalere l’una o l’altra opinione in caso di parità di voti. Il problema non si pone in sede penale, dove risulta vincente la decisione più favorevole

all’imputato, ma non trova soluzione in sede civile. Come osserva infatti il tribunale per i minorenni di Torino, non si può far valere il principio generale dell’interesse del minore, dato che spesso l’oggetto della disputa è proprio quale decisione debba considerarsi più rispondente all’interesse medesimo. Cfr. LA GRECA, voce Tribunale per i minorenni, in Digesto disc. pen., Torino, Utet, 1995, pag. 873; cfr. anche Trib. minorenni Torino, 27 febbraio 1984.

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per i minorenni, affermando invece la sua natura di organo specializzato44.

In effetti, gli organi specializzati – espressamente previsti all’art. 102, 2° co. Cost. – si distinguono dai giudici speciali per l’esistenza di un nesso organico, di una compenetrazione istituzionale con la struttura giudiziaria ordinaria. Tale collegamento deve essere desunto da elementi quali l’adozione del rito ordinario, la presenza di magistrati ordinari nel collegio giudicante, il potere di sorveglianza affidato ai capi degli uffici giudiziari ordinari. Tutti questi elementi si ritrovano nella struttura del tribunale per i minorenni: infatti tutti i giudici, professionali e non, sono assegnati al Consiglio superiore della magistratura, la vigilanza è attribuita ai capi degli uffici della magistratura ordinaria e la procedura che deve essere adottata nel campo civile o penale è quella ordinaria, con le poche modifiche necessarie per la peculiarità dei casi esaminati.

Per quanto riguarda le competenze del tribunale per i minorenni, esso ha una competenza sia in materia penale, che diviene esclusiva solo dal 198345, sia in materia civile (anche se concorrente) sia in materia

amministrativa. È proprio verso quest’ultima che s’appuntano le maggiori critiche e che si realizzeranno, fin dagli anni cinquanta, le prime significative riforme.

Per quanto riguarda, invece, gli istituti processuali, nonostante fossero poche le novità e il processo penale minorile si presentasse in realtà identico a quello per gli adulti – ancorché celebrato davanti a un collegio giudicante che conteneva anche due giudici onorari esperti in problemi minorili – nel regio decreto, ma più in generale in tutta la normativa del 1930, è manifesta la volontà di attuare un sistema nel quale si tenesse conto che il comportamento del minore nel momento in cui viola la legge penale, pur essendo formalmente delinquenziale, perché identico esteriormente a quello posto in essere da un adulto, è pur sempre un comportamento diverso, in quanto proviene da un soggetto che, per la sua mentalità e per la sua immaturità, più di ogni altro può sentire efficacemente gli effetti dei mezzi educativi. Proprio per questo, la legge minorile del 1934 ha

44 Cfr. art. 25 Cost., in base al quale si attribuisce a tutti i cittadini un giudice naturale precostituito per legge, il che non avrebbe lasciato sussistere un organo speciale di giurisdizione.

45 Sulla progressiva evoluzione della giurisprudenza costituzionale che ha determinato la competenza esclusiva del tribunale per i minorenni, vedi GIAMBRUNO, op. cit., pag. 20 e ss.

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introdotto significative riforme ad alcuni istituti di diritto penale sostanziale previsti nel codice (perdono giudiziale, sospensione condizionale della pena, liberazione condizionale e riabilitazione speciale) in modo da creare, quanto più possibile, la possibilità di rieducazione46 e,

per la prima volta, ha posto l’accento sulla necessità di approfondire la conoscenza della personalità del minore attraverso la valutazione della cause della sua devianza, imponendo ai giudici di effettuare speciali ricerche per accertare i precedenti personali e familiari dell’imputato sotto l’aspetto fisico, psichico, morale e ambientale47. Tali riforme mostrano

l’accoglimento di tutti i principi di fondo della Scuola positiva, in quanto nei confronti dei minorenni autori di reati si afferma la prevalenza della “prevenzione speciale” rispetto alla “prevenzione generale”, visto che lo scopo principale a cui mira tale disciplina è la rieducazione del minore48.

In generale, quindi, possiamo dire che il regio decreto 20 luglio 1934, n. 1404 fu sicuramente importante per l’affermarsi di un idoneo sistema di

46 In particolare, gli istituti del perdono giudiziale e della sospensione

condizionale della pena furono creati “per evitare che le pene brevi, specialmente per i minori, costituissero intralcio e ostacolo all’opera di rieducazione, perché le brevi pene, senza avere una vera e propria efficacia intimidativa, si possono risolvere per tutti, ma specialmente per i minori, in un’inutile diminuzione morale e in un peggioramento delle qualità sociali dell’individuo. Perciò con il perdono giudiziale lo Stato rinunzia all’applicazione di una pena e con la sospensione condizionale rinunzia all’esecuzione della pena applicata, quando crede che la semplice minaccia dell’applicazione o la semplice minaccia della esecuzione possano giovare alla rieducazione meglio che l’applicazione e l’esecuzione della pena”. Così si esprime il Guardasigilli De Francisci nella

Relazione a S.M. il Re del Ministro Guardasigilli presentata nell’udienza del 20 luglio 1934-XII per l’approvazione del testo di decreto legge su l’istituzione e il funzionamento del tribunale per i minorenni, in Riv. Dir. Penit., 1934, pag. 747.

47 Cfr. art. 11 regio decreto 20 luglio 1934, n. 1404, che dice “Nei procedimenti a

carico dei minori, speciali ricerche devono essere rivolte ad accertare i precedenti personali e familiari dell'imputato, sotto l'aspetto fisico, psichico, morale e ambientale.

Il pubblico ministero, il tribunale e la sezione della Corte d'appello possono assumere informazioni e sentire pareri di tecnici senza alcuna formalità di procedura, quando si tratta di determinare la personalità del minore e le cause della sua irregolare condotta”. Secondo il Novelli, tale articolo “può ben dirsi il

trionfo del principio della individualizzazione della giustizia penale riguardante i minori”, in quanto permette di raccogliere elementi per la ricostruzione della personalità del minore senza alcuna formalità.

48 L’intento rieducativo emerge già nella stessa dizione che viene scelta per indicare il complesso di istituti che vengono creati in ogni sede di Corte d’appello: “Centro di rieducazione dei minorenni”.

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