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residuali di controllo in differenti stati di natura

2.1 Il diversion model di Hart

A partire dalle considerazioni del paragrafo precedente è possibile introdurre un ulteriore modello, che cerca effettivamente di spiegare il ruolo del contratto di debito standard, noto come Diversion model, sviluppato da Hart (1995) e Hart (2001). Il nome deriva dal fatto che alla base del modello viene posta l’abilità dell’imprenditore nel “to divert future cash flow”, ossia nel riuscire a posticipare i flussi di cassa spettanti all’investitore.

Si supponga infatti l’esistenza di una data intermedia a, alla cui scadenza il progetto fornisce un ritorno monetario, non definibile in anticipo. La decisione da prendersi è

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in questo caso sul liquidare una parte del progetto o sul continuare lo stesso, secondo il seguente schema temporale:

Tabella 6: schema temporale del Diversion Model Fonte: Hart, Firms, Contracts and Financial structure, 1995

In questo caso la continuazione del progetto è vista come beneficio privato ed il punto chiave è la discrezionalità che l’imprenditore ha con riferimento ai cash flow, che gli permette di utilizzarli per i suoi agi piuttosto che per pagare i creditori. Nel caso di tassi d’interesse pari a zero e di perfetta certezza la relazione viene espressa con la seguente notazione: y1+y2>K>L, dalla cui ineguaglianza se ne

deduce che non liquidare il progetto rappresenta una soluzione di first best, dato che lo stesso (y1+y2) ha un valore attuale netto positivo, superiore al ritorno richiesto

dall’investitore, K, che a sua volta è superiore al valore della liquidazione alla scadenza intermedia, L.

In particolare è possibile constatare che non c’è modo di convincere l’imprenditore a ripagare una parte dei fondi prestati al periodo 2, dato che nel caso di default il creditore risulta privo di strumenti per farsi valere, considerando che gli asset del progetto, i collaterals, risulterebbero senza valore.

Al contrario alla data 1 come conseguenza del mancato pagamento il creditore può acquisire il controllo dell’impresa, e dunque in questo caso l’imprenditore sarà incentivato ad effettuare i pagamenti. Quindi lo schema logico, come visto in precedenza, è quello per cui fintanto che effettua i pagamenti l’imprenditore

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mantiene il controllo, mentre nel caso in cui questo non avvenga il controllo passa al creditore.

Anche in questo modello è dunque essenziale l’allocazione dei diritti residuali di controllo che Hart (1995) definisce come “il diritto di decidere dell’uso e della

destinazione delle risorse ogni volta che questi elementi non vengano espressamente considerati nel contratto iniziale e di risolvere eventuali problemi di adattamento per massimizzare la rendita aggregata generata dalla transazione”. In questo senso,

il diritto residuale di controllo si configura, di fatto, come un diritto di proprietà su un particolare asset che permette di completare ex post gli accordi e, innalzando il potere contrattuale dei contraenti, di ristabilire i corretti incentivi all’investimento ex ante.

Posto che il potere di contrattazione è sbilanciato dalla parte dell’imprenditore, il creditore non riceverà mai più del valore L alla data 1. In particolare, nel caso in cui il valore del progetto alla data 1 sia superiore a quello di L, l’imprenditore deciderà di optare per il default pagando al creditore la liquidazione.

Per cui il payoff, P, è dato dal minimo tra il valore del progetto alla data intermedia, p, e la liquidazione: P = min(p,L).

Un’altra questione da porsi è sul come avverrà il pagamento alla prima data, posto che l’imprenditore non desidera perdere il controllo egli avrà un incentivo a pagare in misura maggiore in cash ed il meno possibile attraverso la liquidazione degli asset, definiti come w, al tempo 1.

Ne deriva che il progetto andrà avanti nel caso in cui siano soddisfatte due condizioni, per cui deve verificarsi che L>K-w ed inoltre il payoff dell’imprenditore deve eccedere il vincolo di ricchezza iniziale.

Anche in un modello sviluppato in condizioni di certezza come il seguente è possibile cogliere alcune implicazioni. Innanzitutto anche nel caso in cui ci siano le condizioni per andare avanti nel progetto potrebbe incombere ugualmente la liquidazione come condizione di equilibrio ed inoltre alcuni progetti aventi un valore

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attuale netto positivo potrebbero non essere finanziati, nel caso in cui l’ordine temporale dei payoff sia sbilanciato a favore del secondo periodo.

Si considerino a riguardo i seguenti esempi:

• Si supponga K=90, w=30, y1=50, y2=100, L=60. Si ponga B=P=K−w; ossia, E s’indebita per 60 e promette di ripagare 60 al tempo 1.

Successivamente E paga 50 sotto forma di cash e i restanti 10 attraverso la vendita degli asset. La soluzione di first best in questo caso non viene raggiunta.

Posto che il ritorno al periodo finale è 100 e che il valore della liquidazione è solo 60, in un contesto di first best non dovrebbe esserci spazio per la liquidazione, dato che basterebbe che l’imprenditore convincesse il creditore a post-porre il debito, pagando i dieci restanti alla seconda data. Il problema in questo caso è che la promessa non è credibile e la liquidazione, seppure inefficiente, diventa dunque l’unica via possibile.

• Si supponga K=90, w=30, y1=100, y2=50, L=30. Il progetto in questo caso è ovviamente profittevole, ha un ritorno di 150 a fronte di un investimento di 90, e pertanto in un mondo di first-best verrebbe finanziato. Tuttavia non è questo il caso. Infatti per avviare il progetto viene richiesto un contributo da parte di C pari a 60, il quale però non sarà disposto a pagare nel caso più di 30. Anche qualora tutto il potere di contrattazione fosse stato a vantaggio del creditore egli sarebbe comunque arrivato a finanziare per un valore complessivo di 50. Date queste considerazioni il progetto per quanto profittevole non avrà luogo.

Estendendo l’analisi su più periodi è possibile poi effettuare una distinzione in relazione alla durata del debito ed a partire da questo è possibile cogliere una correlazione tra la natura del contratto e la maturity structure. Ossia, come suggerito dall’evidenza, si realizza una corrispondenza tra asset e liabilities, per cui i prestiti

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di lungo termine sono utilizzati per l’acquisto di beni durevoli, mentre i prestiti di breve sono destinati ad impieghi di breve periodo.

Inoltre dal secondo esempio emerge il ruolo giocato dal capitale di rischio e dai

collaterals, i quali, come la realtà suggerisce, sono spesso fattori importanti nel

definire se un certo progetto verrà finanziato o meno.

Infine è opportuno considerare il caso di investitori multipli, circostanza plausibile derivante dalla possibile mancanza di fondi da parte di un soggetto solo, oppure dalla volontà di condividere il rischio o ancora dalla necessità di rendere più rigido il vincolo di bilancio dell’imprenditore. In particolare, l’idea dietro quest’ultima precisazione è quella di evitare il default strategico da parte dell’imprenditore, il quale nel modello a due periodi poteva dichiarare il default anche nel caso in cui era in grado di far fronte ai pagamenti al fine di rinegoziare le condizioni del contratto con il creditore.

Nel caso di investitori multipli invece il default strategico diventa una soluzione meno attraente, per effetto del combinarsi di problemi quali il free rider, l’hold out e l’informazione asimmetrica. L’effetto opposto in senso negativo nel caso d’investitori multipli è invece l’effetto deterrente che si ha in relazione alla rinegoziazione produttiva, dal momento che risulta difficile persuadere un numero ampio di investitori nel tentativo di ridurre il debito.

Anche in questo caso è possibile constatare l’esistenza di costi e benefici derivanti dall’avere investitori multipli e si potrebbe a partire da questo sviluppare una teoria relativa all’esistenza di un numero ottimo di investitori.

Infine con riferimento alla durata del debito un lavoro interessante è quello di Diamond (1984), il quale evidenzia il trade-off tra debito di breve e di lungo termine in un contesto di contratti incompleti e asimmetria informativa. Nello specifico, l’autore sostiene che nel caso in cui l’imprenditore conosca la buona profittabilità del progetto, egli si finanzierà con debito di breve termine, con l’intenzione di rifinanziarsi successivamente quando disporrà di ulteriori informazioni, mentre nel

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caso in cui un imprenditore conosca la scarsa qualità del progetto si finanzierà con debito di lungo termine per evitare di peggiorare successivamente la situazione. Il ragionamento sottostante questo modello è che la differente qualità dell’imprenditore e la capacità di affrontare le situazioni avverse determinano la struttura finanziaria dell’impresa. Tale modello guarda quindi le caratteristiche della figura imprenditoriale come elemento chiave, astraendo però completamente dalla necessità di allineare asset e liabilities.

Un approccio totalmente differente è infine quello che fa riferimento ai modelli endogeni, secondo i quali la maggiore discrezionalità derivante da un contratto incompleto può intervenire in maniera positiva in relazione alle caratteristiche del contesto di riferimento, dando luogo a risultati più efficienti di quelli che si avrebbero limitando ex ante i comportamenti. Secondo questa visione l’esito di una certa transazione è collegato fortemente all’ambiente di riferimento e all’interazione tra variabili interne ed esterne, per cui la capacità del contratto nel favorire il raggiungimento dei risultati prefissati non deriva tanto dall’efficacia nell’esercitare il controllo quanto piuttosto dall’abilità nel gestire la relazione in maniera strategica, sfruttando le opportunità che di volta in volta si presentano.

In relazione a questa tematica è possibile far riferimento al cosiddetto Irrelevance

theorem di Maskin e Tirole(1999), i quali sostengono che “se i contraenti sono in grado di prevedere i payoff associati ad ogni possibile realizzazione futura e di assegnare una distribuzione di probabilità a tali stati, l’incapacità di descrivere ogni possibile contingenza non condiziona l’efficienza della relazione perché è sempre possibile definire un meccanismo che, incentivando gli agenti a rivelare in maniera veritiera la propria informazione privata, permetta di completare ex post l’accordo”.

I modelli che emergono dunque da questa prospettiva di pensiero sono in netta antitesi con i precedenti ed anziché vedere l’incompletezza come una difficoltà cui far fronte la valutano come un’opzione da scegliere, che permette di generare effetti positivi nella fase di esecuzione di un accordo.

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Capitolo 3

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