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I modelli empirici di riferimento

3.1 Il dividend puzzle

Sebbene Modigliani e Miller abbiano dimostrato che in un contesto di mercati perfetti la politica di distribuzione dei dividendi non genera alcun effetto sulla ricchezza complessiva degli azionisti, le aziende prestano grande attenzione alle scelte relative a questa tematica, andando a delineare di fatto una sorta di dividend

puzzle.

I vari modelli teorici si sono concentrati sul ruolo dei dividendi come segnale per il mercato riguardo la futura profittabilità dell’impresa e sul ruolo dei dividendi con riferimento alle problematiche di agenzia, per cui data la possibilità da parte degli

insiders di divergere i profitti per scopi personali, gli outside shareolders mostrano

una netta preferenza per i dividendi, violando l’assunto di Modigliani-Miller.

Questa assunzione, che ammette la possibilità di un trattamento preferenziale attraverso prezzi di trasferimento, asset diversion e theft, da parte degli insiders annulla di fatto la considerazione della distribuzione dei dividendi secondo un

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meccanismo pro quota e mette l’investitore esterno di fronte alla necessità di monetizzare il prima possibile.

Richiamando tali concetti La Porta, Lopez-De-Silanes, Shleifer e Vishny (2000) hanno cercato di analizzare questo approccio all’analisi dei dividendi, considerando le regole istituzionali come uno dei principali rimedi ai problemi di agenzia.

Questo perché è la legge, intesa sia come contenuto della normativa che come capacità di enforcement della stessa, che attribuisce il potere di ricevere la stessa quota di dividendi tra insiders e outsiders, che garantisce il diritto di voto in importanti decisioni aziendali, che permette di nominare gli amministratori e che permette di citare la società per danni qualora ve ne sia necessità, tutelando la posizione delle minoranze. A riguardo gli stessi autori avevano osservato in un precedente studio (La Porta, Lopez-De-Silanes, Shleifer e Vishny, 1999) le differenze esistenti tra paesi di common law e civil law, notando come ai primi potesse essere associato un grado di protezione legale superiore, con ripercussioni in termini di scelta degli investimenti massimizzanti il valore d’impresa e di efficiente allocazione delle risorse.

In un contesto di problematiche di agenzia i dividendi possono svolgere un ruolo rilevante, venendo preferiti agli utili trattenuti sia per la loro manifestazione immediata (gli autori parlano di bird in the hand per i primi e bird in the bush that

can fly away per i secondi), sia perché qualora l’azienda avesse necessità di tornare a

raccogliere fondi potrebbero delineare la possibilità di esercitare una qualche forma di controllo.

Date queste considerazioni, l’analisi indaga il ruolo dei dividendi distinguendo tra due posizioni opposte nei modelli di agenzia: dividendi come risultati o come sostituti delle regole istituzionali a tutela degli investitori in un certo paese.

Secondo la prima visione in presenza di un sistema efficace di tutela istituzionale, gli investitori di minoranza sono in grado di imporre in varie forme al management dell’impresa l’attuazione di adeguate politiche di distribuzione dei dividendi.

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In particolare questo avviene non per l’esistenza in sé di un diritto a ricevere i dividendi ma per effetto dell’alto livello di protezione garantito. A riguardo è possibile citare il caso staunitentense di Kirk Kerkorian, il quale ha forzato la Chrysler Corporation a pagare i dividendi nel 1995 e 1996 non in virtù di un diritto specifico ma attraverso il meccanismo di voto, riuscendo ad inserire soggetti a lui associati nel board of directors.

Pertanto, nell’effettuazione dei test econometrici l’ipotesi da verificare è che ad un più alto livello di protezione istituzionale facciano seguito dividendi più alti.

Inoltre, posto lo stesso livello di elevata tutela è possibile distinguere tra imprese aventi opportunità di crescita positive e imprese in fase matura con basse possibilità di crescita. Nel primo caso gli azionisti consapevoli che i dividendi saranno reinvestiti ad un certo tasso dovrebbero essere maggiormente disposti a ricevere dividendi più bassi o non riceverli affatto, al contrario dei secondi.

Le implicazioni del modello sono riportate in figura.

Tabella 14: I dividendi come esito delle politiche di uno stato Fonte: La Porta, Lopez-De-Silanes, Shleifer e Vishny,

Agency problems and dividend policies around the world, 2000

Nel caso in cui si faccia riferimento alla seconda concezione, i dividendi sono visti come sostituti e pertanto in assenza di un sistema efficace di tutela istituzionale, al

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fine di attrarre risorse finanziarie dal mercato, diventano uno strumento a disposizione delle imprese per crearsi una buona reputazione nella tutela degli interessi dei propri investitori.

In questo caso nei paesi con un basso livello di protezione dei piccoli azionisti è lecito attendersi un dividend payout ratio più elevato a parità di altre condizioni rispetto ai paesi con un livello di protezione superiore.

Inoltre, le imprese con maggiori opportunità di crescita hanno un interesse più forte a pagare i dividendi e ad avere una reputazione migliore, considerando un bisogno potenziale superiore.

Ne deriva la seguente relazione:

Tabella 15: I dividendi come sostituti delle politiche di uno stato Fonte: La Porta, Lopez-De-Silanes, Shleifer e Vishny,

Agency problems and dividend policies around the world, 2000

E’ possibile riepilogare quanto detto facendo riferimento alle parole degli autori del modello, per cui “The outcome model predicts that dividend payout ratios are

higher in countries with good shareholders protection, other things equal. The substitute model predicts the opposite. The outcome model further predicts that, in countries with good shareholder protection, companies with better investment opportunities should have lower dividend payout ratios. The substitute model does not make this prediction. In fact, it makes a weak prediction that, in countries with

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poor shareholder protection, firms with better investment opportunities might pay out more to maintain reputations.” - (La Porta, Lopez-De-Silanes, Shleifer e

Vishny, 2000, pp. 8).

Lo studio empirico fa riferimento ad un campione di imprese inserite nel database WorldScope. Nella determinazione del campione sono state eliminate imprese quotate, quelle finanziarie e quelle facenti capo a paesi dove vigeva una normativa obbligatoria sui dividendi. Attraverso questi e altri criteri si è arrivati così ad un campione significativo di circa 4100 imprese distribuite su 33 Stati.

La tabella seguente (tabella 16) sintetizza le principali variabili analizzate, la prima delle quali, non riportata, è data da una variabile dummy, uguale ad 1 quando le regole societarie sono di civil law (astraendo dalle differenze specifiche delle caratteristiche esistenti ad esempio tra la Francia, la Germana e i paesi scandinavi) e zero quando di common law.

La prima colonna riporta una misura dummy di protezione degli investitori, uguale ad 1 nel caso in cui l’index of antidirectors right sia al di sotto del valore mediano di 3 e zero se viceversa. Tale indice riflette il numero di tutele concesse agli investitori ed è composto aggiungendo uno nel caso in cui si verifichino le situazioni sottoelencate :

• è concesso agli azionisti inviare via mail le proxy di voto

• agli azionisti non viene richiesto di depositare le azioni prima dell’assemblea generale

• è autorizzato il voto mediante meccanismo cumulativo o attraverso un rappresentante per le minoranze

• viene attuato un meccanismo per prevenire l’oppressione delle minoranze • per un azionista la percentuale minima di capitale per convocare l’assemblea

straordinaria è inferiore o uguale al 10%

• esistono diritti specifici che possono essere fatti valere in sede assembleare da parte di alcuni azionisti

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Le altre colonne contengono invece altri rapporti quali ad esempio il dividend to

cash flow ratio, che esprime i dividendi come percentuale del cash flow generato

nell’anno, misurando quindi la relazione tra il flusso di cassa distribuito e quello generato in un certo periodo, il dividend to earnings ratio, che esprime il rapporto tra i dividendi e i guadagni ottenuti nell’anno, oppure il dividend to sales, che misura i dividendi come percentuale delle vendite, e che a differenza dei precedenti è meno soggetto alle possibili differenze contabili tra paesi o ad eventuali manipolazioni occorse e può pertanto essere letto come deflatore dei due indici precedenti, ed infine la percentuale di crescita delle vendite nel periodo di riferimento ed un rapporto che evidenzia il vantaggio fiscale mettendo in relazione un dollaro di dividendo con un dollaro di utile trattenuto all’interno dell’impresa.

Tabella 16: Informazioni generali

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Agency problems and dividend policies around the world, 2000

Dai dati emerge come poco più di un quarto del campione statistico (1135 imprese) sia composto da imprese provenienti da paesi di civil law e come più della metà delle imprese provenga da Usa e Regno Unito (2968).

Dalla seconda colonna in particolare è possibile notare che, come osservato in precedenza, i paesi di common law appaiono come quelli aventi un livello di protezione superiore. A riguardo il test statistico z relativamente alla differenza nei valori mediani per la protezione degli azionisti tra paesi di civil law e common law è di circa 3.97.

Le colonne successive mostrano poi i valori riferiti ai rapporti descritti sopra, dai quali risulta che circa il 30% (dividend to earning ratio) dei guadagni viene generalmente distribuito attraverso i dividendi, con percentuali che sono superiori nei paesi di common law e statisticamente significative in due casi su tre.

La sesta colonna mostra un tasso di crescita delle vendite nel campione di circa il 4.13%, con le imprese di civil law che registrano una crescita in media superiore di un punto percentuale a quella dei paesi di common law.

L’ultima colonna infine mostra una limitata differenza che porta a sminuire il ruolo giocato dalle tasse, eccezion fatta per gli Stati Uniti che presentano un valore piuttosto estremo, risentendo in parte dell’unione nell’analisi delle imposte a livello locale e federale.

Da queste prime valutazioni è possibile argomentare in via preventiva che se i paesi di common law si caratterizzano per un livello di protezione superiore e per un

payout relativo ai dividendi più alto, allora il modello che considera i dividendi

come risultato sembra maggiormente esaustivo.

Inoltre i payout risultano più elevati nelle imprese aventi un basso tasso di crescita (22.9 contro 15.2 per il dividend cash flow ratio nei paesi di common law) rispetto a quelle in rapida espansione (tabella 17). Anche questa osservazione è in accordo con

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il modello dei dividendi come risultati, dato che azionisti ben protetti sono disposti a ritardare la riscossione dei loro dividendi per sfruttare le opportunità di crescita. In contrasto con questa visione l’analisi degli elementi attinenti ai paesi di civil law mostra come imprese in fase di crescita siano disposte a pagare payoff più elevati rispetto a quelle più mature (10.9 contro 9.2 per il dividend cash flow ratio). Questa argomentazione appare in linea con il modello che vede i dividendi come sostituti dei sistemi di tutela, ma data la scarsa significatività dei valori a livello statistico è opportuno riflettere ulteriormente e non basare in maniera eccessiva le conclusioni su queste ultime cifre.

Nel condurre l’analisi con i valori riferiti ai tassi di crescita è stato preso in considerazione un sotto-campione di dati, ossia quello dei paesi con almeno cinque imprese aventi una crescita delle vendite superiore o inferiore al valore mediano, per un totale di ventiquattro paesi. L’indicatore preso a riferimento nella seconda tabella è definito come MoMs, “median of country medians”, e rappresenta una sorta di valore mediano della mediana dei paesi.

Tabella 17: Distinzioni tra civil e common law Fonte: La Porta, Lopez-De-Silanes, Shleifer e Vishny,

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Fatte queste considerazioni è possibile realizzare un modello di regressione per evidenziare il peso connesso ai differenti regimi di tassazione e alla composizione industriale nei paesi.

I risultati che ne derivano sono essenzialmente gli stessi, ossia i paesi di common

law con un maggior livello di tutela sono quelli che pagano dividendi più alti,

eccezion fatta per le imprese con forti opportunità di crescita.

Ad esempio prendendo in considerazione il dividend to cash flow ratio è possibile osservare che i paesi di common law hanno un payout più alto del 13.3%, a parità di altre condizioni, e che muovendosi dal decile inferiore a quello superiore relativamente al tasso di crescita delle vendite si registra una riduzione del cash flow

ratio di circa 7.6 punti percentuali, a riprova del fatto che in paesi di common law le

imprese aventi maggiori prospettive di crescita pagano dividendi inferiori.

Attraverso la tabella 18 ed i grafici riportati nella pagina successiva è possibile osservare ancora una volta la relazione negativa evidenziata tra il tasso di crescita delle vendite e il dividend to earnings ratio che si verifica in tutti gli undici stati di

common law ed in ben nove dei venti di civil law presi in considerazione.

Risultati analoghi si osservano anche nei plots, non riportati, relativi al dividend to

cash flow e al dividend to sales ratios.

Questa ulteriore analisi evidenzia come il modello principale-agente sia rilevante per comprendere le decisioni relative alla politica dei dividendi da parte delle imprese, considerando elementi quali la qualità della protezione legale e la capacità degli azionisti di minoranza di estrarre profitti dall’impresa, propendendo per la particolare versione dello stesso che considera i dividendi come esito delle regole istituzionali di uno stato.

Sembra invece venire meno il ruolo dei dividendi come segnale per il mercato, così come quello attribuito alle tasse, le quali risulterebbero già capitalizzate nel valore di mercato dell’impresa.

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Tabella 18: I risultati del modello di regressione Fonte: La Porta, Lopez-De-Silanes, Shleifer e Vishny,

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Grafico 2: Dividend to earnings ratios per paesi di common law Fonte: La Porta, Lopez-De-Silanes, Shleifer e Vishny,

Agency problems and dividend policies around the world, 2000

Grafico 3: Dividend to earnings ratios per paesi di civil law Fonte: La Porta, Lopez-De-Silanes, Shleifer e Vishny,

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Un’ulteriore spiegazione dei risultati è infine quella attinente al grado di sviluppo dei mercati dei capitali, per cui è possibile che le imprese operanti in mercati dei capitali avanzati siano maggiormente propense a pagare i loro dividendi consapevoli della facilità nel reperire risorse esterne in caso di bisogno. Il parallelismo nell’analisi in questo caso deriva dal fatto che generalmente i paesi aventi un sistema avanzato di regole a tutela degli investitori sono anche quelli con un mercato dei capitali più sviluppato. Tale visione tuttavia non sembra in grado di spiegare il nesso evidenziato in precedenza tra il payout relativo ai dividendi e le opportunità di crescita.

3.2 Struttura finanziaria e scelte strategiche di diversificazione nel

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