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residuali di controllo in differenti stati di natura

2.0 Il modello di Aghion e Bolton

Il ruolo giocato dai problemi di agenzia nelle tematiche di corporate governance è indubbiamente evidente, basti pensare ai problemi di separazione tra proprietà e controllo, alla nascita di differenti sistemi di amministrazione volti a ridurre il gap informativo e favorire la trasparenza, alla normativa relativa all’insider trading e all’abuso di informazioni privilegiate.

Questa potrebbe però non essere l’unica questione rilevante; in particolare, l’attenzione si concentra adesso su una tematica parzialmente differente, ossia quella relativa all’incompletezza contrattuale, la cui espressione è stata coniata per descrivere quelle circostanze in cui non è possibile prevedere tutte le eventuali fattispecie future che possono interessare un certo contratto.

Il filone di letteratura che ne deriva assume la relazione tra imprenditore o manager e investitori come dinamica. Pertanto con l’evolversi di questo rapporto nel tempo emergono fattispecie, eventualità, accadimenti che difficilmente potevano essere previsti e regolati dal contratto iniziale, rendendo quest’ultimo di fatto incompleto. In particolare, l’origine dell’incompletezza contrattuale è da ricercarsi nella razionalità limitata degli attori economici, nella distribuzione asimmetrica dell’informazione e nella presenza di costi di transazione sufficientemente elevati. Il legame esistente tra la razionalità degli attori economici e la capacità di definire un contratto ottimo è piuttosto intuitivo e porta a concludere che in presenza di razionalità limitata “tutti i contratti complessi sono necessariamente

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post, ricorrendo a meccanismi che permettano l’adattamento al verificarsi di eventi non considerati nel contratto originario.

Per quanto riguarda l’informazione asimmetrica è possibile osservare che questa da un lato limita la capacità dei contraenti di completare l’accordo e dall’altro fa aumentare la probabilità che si verifichino potenziali inefficienze.

Infine, pur ammettendo che gli agenti riescano a prevedere e descrivere ogni possibile contingenza futura e che tutte le variabili rilevanti siano osservabili dai contraenti e verificabili dai terzi chiamati a far rispettare il contratto (es. un tribunale), la definizione di un contratto così dettagliato potrebbe risultare eccessivamente onerosa ed i benefici derivanti dalla predisposizione di un accordo contingente potrebbero essere inferiori ai costi sostenuti per ottenerlo.

Uno dei primi modelli relativi a questa tematica è quello sviluppato da Aghion e Bolton(1992), con riferimento ai contratti di tipo finanziario, il quale analizza il contratto di lungo termine tra un imprenditore privo di ricchezza iniziale e un potenziale investitore.

Com’è facilmente pronosticabile esistono in questa circostanza numerosi potenziali conflitti d’interesse derivanti dalla natura dei benefici a cui le parti sono interessate. Nello specifico, si supponga che l’investitore sia interessato unicamente a benefici di carattere pecuniario, dunque a massimizzare il rendimento del suo investimento, mentre l’imprenditore sia interessato anche a benefici di carattere non monetario, elementi quali il successo, la gratificazione personale, il coinvolgimento, gli agi, ossia tutti quei benefici non quantificabili in maniera esatta noti in letteratura come

perks.

L’interrogativo alla base del modello è scoprire se, dati interessi diversi, sia possibile realizzare un contratto iniziale strutturato in modo da ottenere una perfetta coincidenza degli obiettivi delle parti e valutare come i diritti residuali di controllo connessi al contratto siano distribuiti per ottenere una soluzione efficiente.

L’ipotesi chiave alla base è che i contratti finanziari sono per loro natura intrinsecamente incompleti, data l’esistenza di tutta una serie di eventi difficilmente

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prevedibili o non descrivibili o valutabili nell’impatto al momento della stipula del contratto.

A titolo di esempio si consideri il caso di un family business. In caso di difficoltà in una circostanza simile potrebbe esistere un trade-off tra la volontà di mantenere l’assetto familiare concentrato e la necessità di preservare l’integrità del business, delineando così tutta una serie di possibilità intermedie relative alle condizioni di accesso al credito e all’assegnazione dei poteri di controllo.

In ragione di queste argomentazioni il modello si configura come una teoria della struttura del capitale basata sui diritti residuali di controllo che delinea le tematiche relative alla contingent control allocation. In particolare la ricerca di nuovi fondi potrebbe avvenire mediante l’emissione di equity, comportando dunque la cessione di quote di controllo, oppure mediante la sottoscrizione di debito, con conseguente aumento del rischio di default. Come già specificato nei modelli visti in precedenza, in accordo al principio di razionalità, la scelta verrà effettuata pesando i differenti costi marginali associati alla scelta di un certo tipo di fonte di finanziamento piuttosto che un’altra, dando anche rilievo al processo di decision-making e dunque all’ordine di scelta relativo alle decisioni, dato che adesso uno strumento finanziario non è descritto solo dai flussi di reddito che esso genera ma anche dai diritti di controllo che attribuisce al suo detentore.

Ne deriva che la scelta della struttura finanziaria è rilevante nel definire come i poteri di controllo debbano essere allocati tra le varie parti del contratto, ossia è rilevante nella definizione dell’assetto di governance dell’impresa. In altri termini viene introdotto uno stretto legame tra la natura del passivo di un’impresa e le decisioni relative alla sua gestione.

Come specificato da Williamson (1988, pp.180), tale questione non è poi così differente dalle decisioni di fare o meno ricorso all’integrazione verticale: “The

Corporate finance decision to use debt or equity to support individual investment projects is closely akin to the vertical integration decision to make or buy individual components or subassemblies".

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E’ opportuno considerare inoltre come tali argomentazioni in un mondo ideale di contratti completi, come quello teorizzato da Modigliani-Miller, risultino del tutto superflue dal punto di vista dell’efficienza, dato che le parti in questa circostanza convergerebbero in maniera razionale verso l’equilibrio.

Altri modelli successivi relativi all’incompletezza contrattuale sono poi quelli di Hart (1995), Townsend (1979) e Zender (1999), che approfondiscono la questione evidenziando l’ottimalità del debito in termini di informazioni private e costi di monitoraggio ex-post, analizzando le proprietà di ottimalità del debito in un contesto dinamico ed enfatizzando il ruolo del debito come meccanismo per l’allocazione dei diritti di controllo quando si hanno vincoli di ricchezza.

Volendo analizzare il modello di Aghion e Bolton nello specifico, si consideri il caso iniziale di una contrattazione bilaterale tra l’imprenditore privo di risorse e l’investitore al fine di trovare le risorse per coprire i costi di set-up dell’attività pari a K. Per semplicità si supponga inoltre che gli investitori presenti sul mercato siano numerosi a fronte di pochi imprenditori, con conseguente sbilanciamento del potere di contrattazione a favore dell’imprenditore.

Posto un ritorno dell’investimento almeno pari a K l’investitore sarà dunque disposto ad accettare la proposta e pertanto K definisce il vincolo di bilancio o di partecipazione di un investitore razionale.

I ritorni sono tuttavia stocastici, dunque aleatori, e dipendenti da un’azione a, compiuta a seguito del verificarsi di un certo stato di natura θ, l’elemento d’incertezza nel modello.

Il percorso temporale può essere rappresentato nel seguente modo:

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Fonte: Aghion, Bolton, An Incomplete Contracts Approach to Financial Contracting, 1992

Entrambi i soggetti sono considerati come neutrali rispetto al rischio in relazione ai guadagni. Le funzioni di utilità alla Von Neumann-Morgesten sono rappresentate nel seguente modo:

Come già detto l’investitore, Ui, è interessato unicamente al ritorno monetario,

rappresentato da r, mentre l’imprenditore, Ue, il quale ha speso energie nella

realizzazione dell’iniziativa, è interessato anche ad aspetti non tangibili, quali la reputazione e lo sforzo sostenuto, indicati dalla lettera l.

Il problema nella definizione di un contratto ottimo tra queste due parti deriva proprio dalla differente natura dei benefici e dall’impossibilità nel definire ex-ante l’azione da compiersi in relazione ad un certo potenziale stato di natura. Pertanto la tematica dell’incompletezza contrattuale nei contratti finanziari sorge dall’assunzione che è impossibile o estremamente costoso verificare un certo stato di natura θ.

Astraendo dalle problematiche relative all’asimmetria informativa è invece possibile suppore che entrambe le parti siano in grado di percepire ex-post quale stato di natura si sia realizzato e decidere dunque il comportamento da adottare. A completamento di questa argomentazione deve poi essere aggiunta la possibilità di percepire ex-ante dei segnali contingenti, che, sebbene imperfettamente correlati con lo stato di natura θ, si prestano ad interpretazione di questo. Basti pensare ad esempio a misure di valutazione delle performance di breve-termine, oppure all’evoluzione dei profitti, o alla probabilità di default come segnali dell’evoluzione dell’andamento aziendale.

E’ infine opportuno precisare che tale modello non si presta ad essere applicato indistintamente ma anzi ammette eccezioni, dato che la realtà delle imprese mostra come alcune delle più importanti decisioni aziendali siano spesso definite

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contrattualmente in via preliminare in tutte le loro parti (es. processi di fusione e acquisizione, spin-off, procedure di liquidazione, ecc.).

Per quanto riguarda la notazione e dunque l’esposizione formale il problema può essere esposto nel seguente modo:

1. Esistono solo due stati di natura Θ= {θg ; θ b}

2. Esistono solo due possibili azioni nel set A(ag,ab), dove ag definisce la

soluzione di first best nello stato θg e ab la soluzione di first best nello stato

θb.

3. Esistono solo due possibili esiti con riferimento ai segnali nel periodo 1, s [0,1]. Si denoti in tal senso ß come la probabilità che s sia uguale a 1 dato l’evento θ.

Ne deriva: d(ß, (1,0))=[⏐1-ßg⏐+ ⏐0-ßb⏐]

Dalle formule è possibile cogliere la distanza di beta [0-1], guardando a questa come ad una misura del grado di incompletezza del contratto ex-ante, per cui se tale valore è zero il contratto è completo, mentre se è 1 s non è correlata con θ e il grado di incompletezza è il più elevato possibile.

4. Esistono solo due possibili esiti con riferimento ai ritorni nel periodo finale. Definisco yij come il ritorno finale atteso nello stato θi quando l’azione aj è

scelta e analogamente il ritorno lji come il beneficio privato dell’imprenditore

nello stato θi quando l’azione aj è scelta.

Ne derivano le seguenti condizioni relative alla coppia di azioni di first best (ag, ab),

alle quali si aggiunge la necessità che il vincolo di ricchezza per l’imprenditore sia maggiore o uguale di K per rendere la soluzione sostenibile.

Nel contratto devono poi essere definiti ex ante uno schema di compensazione e una regola di allocazione del controllo. Con riferimento al primo, lo schema adottato

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è quello per cui tutti i ritorni residuali sono attribuiti all’imprenditore, mentre l’investitore è compensato con un trasferimento monetario che è funzione dei segnali del primo periodo, secondo il seguente schema t(s,r) ≥ 0.

Per quanto riguarda lo schema di allocazione del controllo, si distingue tra controllo individuale e controllo congiunto. Il caso di controllo individuale viene espresso nella seguente maniera: (a0,a1)[0,1]2, dove as è la probabilità che l’imprenditore

ottenga il diritto di decidere quale azione effettuare nel caso in cui si realizzi il segnale s ed 1-as la probabilità che tale diritto spetti all’investitore.

Nel caso di controllo congiunto, invece, le parti hanno entrambe diritto di scelta in relazione alle decisioni future. Formalmente:

(µ0E,µ1E) ∈ [0,1]2 e (µ0I,µ1I)∈ [0,1]2 dove µsi + µse > 1

dove µsi e µse esprimono la probabilità che l’investitore (I) e l’imprenditore (E)

abbiano il diritto di scegliere le azioni da compiersi. Nel momento in cui hanno entrambi potere di scelta la decisione deve prendersi mediante consenso unanime. Quando l’unanimità non è raggiunta l’azienda è in una fase di stallo ed il payoff delle parti è (0;0).

Obiettivo del seguente modello è dimostrare come dato un set ridotto di azioni e un orizzonte temporale limitato, dunque un grado di incompletezza ridotto, il problema dell’allocazione dei diritti di controllo diventi comunque rilevante.

Guardando l’allocazione ottima del controllo nel caso in cui le azioni non siano verificabili emergono di fatto due tipi di soluzione efficiente; la prima è l’assegnazione unilaterale dei poteri di controllo, mentre la seconda definisce il controllo contingente, dove l’assegnazione dei poteri deriva dalla realizzazione dei segnali.

Nel caso del controllo imprenditoriale la miglior soluzione possibile è quella che massimizza il payoff atteso dell’imprenditore sotto il vincolo di bilancio dell’investitore. Lo schema di compensazione che ne deriva è il seguente:

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Per cui l’imprenditore sceglierà un set di azioni negli stati {θg ; θb} tali da

massimizzare il suo payoff atteso. Formalmente:

aE(θ, s) = arg max {ts*yij+t’s+lij}

Dal modello è possibile osservare che, anche nel caso in cui l’azione preferita scelta dall’imprenditore differisca da quella di first best a*(θi), esistono margini di

negoziazione tra le parti che riportano verso l’equilibrio. In altre parole, nel caso di controllo imprenditoriale la negoziazione ex-post garantisce che l’azione di first best venga sempre implementata.

Questo ragionamento sembra rappresentare la conclusione del problema, ma sfortunatamente tale soluzione potrebbe non essere sostenibile, dato che l’investitore otterrebbe nella circostanza un ritorno atteso non sufficiente.

In particolare, la rinegoziazione garantisce che non vi siano inefficienze ex-post, ma permette che tutto il guadagno venga assorbito dall’imprenditore, violando il vincolo di razionalità dell’investitore.

Unica circostanza in cui il modello regge è quella in cui gli obiettivi dell’imprenditore siano perfettamente allineati con gli obiettivi sociali, dato che in questo caso non si verifica il problema di dissipazione della rendita. Ossia, nel caso in cui i benefici privati siano comonotonici con i ricavi totali il controllo imprenditoriale diviene sostenibile.

In altri termini il controllo imprenditoriale emerge come soluzione applicabile solo nel caso in cui i costi di set up non siano particolarmente elevati, in una circostanza in cui sia l’imprenditore che l’investitore riescono ad ottenere una frazione sufficiente dei ritorni attesi, viceversa l’azione di first best non può essere implementata.

Quindi nel caso in cui il potere di contrattazione sia totalmente sbilanciato a favore dell’imprenditore, l’investitore non sarà disposto ad investire a meno che non ottenga un qualche tipo di protezione contro comportamenti opportunistici.

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Nel caso di controllo da parte dell’investitore invece la rinegoziazione ex-post non garantisce l’implementazione della soluzione di first best, dato che il vincolo di ricchezza dell’imprenditore non consente di compensare l’investitore dall’effettuare una scelta avente per lui un ritorno inferiore. In particolare è possibile argomentare che il controllo da parte dell’investitore conduce ad una soluzione di first best dopo la rinegoziazione nello stato θg se e solo se in base allo schema di compensazione

esiste un valore per cui regge la seguente disuguaglianza ts>=1-ygg/ygb.

Pertanto nel caso in cui il controllo imprenditoriale non risulti sostenibile e analogamente la soluzione di first best per il controllo da parte dell’investitore non sia attuabile, è possibile che una soluzione intermedia basata su un’allocazione contingente del controllo in relazione al verificarsi di s possa rappresentare la soluzione dominante qualora gli obiettivi di tipo monetario e privato non siano comonotonici con quelli di carattere sociale.

Si faccia riferimento al caso yg

g<ygb e lbb<lbg: per questi parametri la soluzione di

first best è raggiunta sotto il controllo da parte dell’investitore negli stati θb e

dell’imprenditore negli stati θg. Tuttavia l’evento θ non è verificabile ex-ante e

pertanto il controllo può essere assegnato in maniera contingente solo in relazione al verificarsi di s. Per cui, in base al livello di correlazione esistente tra s e θ tale sistema riesce ad approssimare piuttosto bene la soluzione di first best, attribuendo il controllo all’imprenditore per s=1 e alla controparte per s=0.

Formalmente si consideri un contratto avente lo schema di allocazione del controllo definito sopra. In assenza di rinegoziazione prevede il seguente piano:

Dato che l’imprenditore ottiene tutta la rendita dalla rinegoziazione il rendimento atteso per l’investitore è il seguente:

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Dalle formule è possibile osservare che nei casi dove ß tende ad 1 o a 0 esistono valori di K per i quali il contingent control risulta sostenibile, rappresentando di fatto la situazione dominante.

Come specificato questo contingent control può essere interpretato come un’allocazione del controllo associata al finanziamento tramite debito. Infatti se il segnale del primo periodo viene interpretato come un default-non default event allora è possibile realizzare un’allocazione dove l’imprenditore mantiene il controllo fintanto che adempie alle sue obbligazioni. In questo senso il modello si inquadra nei lavori di ricerca attinenti alle caratteristiche di ottimalità del debito, osservando il ruolo dello stesso come segnale e la sua funzione come strumento disciplinatore per l’impresa.

Da queste considerazioni è dunque emerso come la contingent control allocation rappresenti la soluzione dominante secondo il modello a scapito di posizione estreme, così come rispetto alla situazione di controllo congiunto (joint ownership). Con riferimento a quest’ultima è opportuno precisare che l’inefficienza deriva dall’asimmetria nelle rispettive posizioni da parte dell’imprenditore e dell’investitore, dato che in questa circostanza una parte fornisce i fondi e l’altra gestisce l’impresa.

Qualora invece ciascun agente contribuisca alla gestione del business, ottenendo così una parte dei benefici privati, è possibile che la joint ownership diventi una soluzione efficiente, dato che il potere di contrattazione è in quel caso più equamente distribuito.

In una circostanza in cui le azioni siano verificabili è inoltre possibile specificare nel contratto una serie di azioni restrittive da intraprendersi con riferimento a comportamenti futuri. Tali azioni dal punto di vista dell’investitore rappresentano uno strumento per limitare il comportamento opportunistico ex post dell’imprenditore.

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Occorre precisare tuttavia che tale possibilità è ridondante e poco esplicativa nel modello, dato che nel caso specifico vengono presi in considerazioni solo due possibili set di azioni. Più in generale invece l’assenza di azioni restrittive va effettivamente a rafforzare il potere di contrattazione dell’imprenditore e la sua possibilità di estrarre la rendita, rendendo più difficile trovare un equilibrio con il vincolo di razionalità dell’investitore.

Per cui in termini generali, nel caso in cui le azioni siano verificabili ex-post è lecito attendersi a livello contrattuale sia l’allocazione del controllo ad entrambe le parti a seconda dei segnali, sia l’esistenza di azioni restrittive. Questo perché la pre- specificazione di un certo tipo di azioni ex-ante va a ridurre l’opportunismo ex-post, garantendo anche una maggiore flessibilità che accresce il benessere rendendo meno frequente la rinegoziazione.

Per concludere attraverso un modello estremamente stilizzato è stato osservato come per effetto dell’incompletezza contrattuale non tutti i potenziali conflitti d’interesse esistenti tra le parti possano essere risolti con la contrattazione ex-ante. Assume pertanto rilevanza ex-post la posizione di chi controlla l’impresa e dunque la struttura di governance.

Nello specifico è stato osservato come differenti sistemi di amministrazione e controllo risultino efficienti in relazione a differenti ritorni ed è emerso il forte legame esistente tra l’assetto governativo dell’impresa e la selezione di un’adeguata struttura del capitale.

Pertanto, in accordo a questo modello, quando è ottimale attribuire il pieno controllo all’investitore la società dovrebbe essere interamente finanziata mediante voting

equity, così da attribuire la maggioranza o la totalità delle quote della compagnia e il

pieno controllo a questo soggetto, rendendo l’imprenditore semplice dipendente stipendiato. Nel caso in cui sia invece ottimale attribuire il controllo all’imprenditore allora la sottoscrizione di non voting shares (preferred stock) potrebbe essere l’opzione più idonea. Nell’ulteriore circostanza in cui la joint ownership risulti la soluzione scelta, il reperimento dei fondi potrebbe avvenire attraverso la

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realizzazione di una partnership o un trust dove le decisioni sono prese all’unanimità. Infine, nel caso di contingent control assegnato in base a segnali s, dovrebbero essere presi in considerazione gli strumenti finanziari restanti quali debito ordinario, convertibile, warrants.

In accordo a queste argomentazioni viene dunque riconosciuta al debito una funzione importante, ossia quella di determinare il trasferimento del controllo da alcuni soggetti ad altri a seconda del verificarsi o meno di una crisi finanziaria. Per cui, finché l’impresa si trova in buone condizioni, è opportuno lasciare il potere in mano agli azionisti, mentre quando si verifica una situazione di crisi, allora conviene trasferirlo ai creditori, dato che la forma concava del payoff del creditore lo rende

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