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Il divieto di disconoscimento della paternità e il divieto d

Altra singolare previsione dell’articolo 9 della stessa L. 40 prevede il divieto di disconoscimento della paternità, nel caso in cui si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo178, nonostante il divieto posto (prima della relativa dichiarazione di incostituzionalità) ai sensi dell’articolo 4 comma 3.

La particolarità riguarda proprio il fatto che la legge stabilisce una serie di divieti, tra cui appunto quello di procreazione eterologa, dettando, al tempo stesso, precise norme in caso di sua violazione.

178 I problemi inerenti la fecondazione di tipo eterologo verranno trattati in un

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Ciò significa che dal momento in cui la nostra legge consente solo l’accesso all’omologa, mai una coppia avrebbe potuto esprimere lecitamente la volontà di ricorrere a tecniche di PMA diverse da quelle consentite. Ad ogni modo, si può ritenere che in assenza di un’espressa previsione sullo status giuridico del nato da eterologa, anche ai figli nati da essa dovrà essere necessariamente riconosciuto lo status di figli legittimi o di naturali riconosciuti della coppia che abbia fatto ricorso alla tecnica vietata.

La legge ha stabilito l’inammissibilità dell’azione di disconoscimento nell’ipotesi di mancata coabitazione o impotenza del marito, confermando l’ammissibilità di tale azione nell’ipotesi di adulterio della moglie o di celamento di gravidanza e della nascita179.

La scelta del legislatore nell’ipotesi di adulterio può essere la più comprensibile in quanto il concepimento può essere il frutto del rapporto tra la moglie e un terzo, piuttosto che il risultato dell’inseminazione eterologa cui il marito aveva acconsentito. In tal caso però sarebbe risultato, certamente, meno discriminatorio, per il nato, prevedere una specifica disposizione volta a verificare la discendenza genetica dello stesso figlio da un eventuale terzo donatore.

Con riguardo all’azione di disconoscimento in caso di fecondazione eterologa è importante ricordare la sentenza della Cassazione 16 marzo 1999, n. 2315180, la quale ha stabilito che in materia di fecondazione assistita eterologa, l’azione di disconoscimento della paternità, di cui all’art. 235 c.c., venga esclusa qualora sia desumibile il consenso del coniuge (anche per fatti concludenti) al ricorso all’indicato metodo di fecondazione assistita. Inoltre in materia di fecondazione assistita eterologa, qualora manchi

179 Si veda, R. VILLANI, opera citata, p. 149

180 Si veda Corte di cassazione - Sezione I civile, 16 marzo 1999, n. 2315. Si veda

poi il commento di G. CASSANO, I figli della scienza in Cassazione: il principio

di autoresponsabilità e l’art. 235 c.c. (una novità giurisprudenziale in tema di fecondazione artificiale eterologa), in www.diritto.it, p. 1 e ss.

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il consenso del coniuge a ricorrere all’indicato metodo, l’azione di disconoscimento della paternità si prescrive comunque entro un anno dalla conoscenza della circostanza taciuta.

Sempre in ossequio al principio della tutela del nato, il comma 2, dell’articolo 9, dispone che la madre del nato a seguito dell’applicazione di tecniche di PMA non può dichiarare la volontà di non essere nominata, ai sensi dell’articolo 30 comma 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000 numero 396181.

La norma in esame non consente, quindi, alla madre di avvalersi del diritto all’anonimato laddove la stessa abbia partorito a seguito del ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Le ragioni di una tale scelta legislativa sono evidenti: la madre, che non ha fatto ricorso alle tecniche di procreazione assistita, potrebbe anche non aver voluto la gravidanza e in questo caso il diritto all’anonimato si inserisce in un contesto delicato per la gestante stessa, che non intende tenere con sè un bambino; per tale ordine di motivi, le è, quindi, consentito di partorire, comunque, in una struttura sanitaria adeguata, senza, tuttavia, dover dichiarare obbligatoriamente la propria identità.

Nella procreazione assistita invece, il concepimento è il frutto di una scelta volontaria della madre, effettuata a seguito di colloqui e adeguate informazioni. Dunque non si vede perché la madre dopo essersi sottoposta con tanti sacrifici sia economici che personali alle pratiche in questione non voglia riconoscere il figlio partorito182.

181 Si veda il Decreto del Presidente della Repubblica numero 396 del 3 novembre

2000: Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello

stato civile (entrato in vigore il 30 marzo 2001), disponibile in

http://www.normattiva.it

182 Si veda M. FINOCCHIARO, Dopo il consenso impossibile disconoscere la prole, in Le prospettive della famiglia. Dalla procreazione assistita alle coppie di fatto, in Guida al dir., Dossier mensile, 3, 2004, p. 41

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Si introduce cosi una deroga espressa alla disciplina contenuta nell’ordinamento dello stato civile, utile tuttavia a completare la disposizione sopra ricordata sullo status giuridico del nato, la quale potrebbe risultare completamente frustrata dall’esercizio della facoltà esercitata dalla madre di rimanere anonima; l’attribuzione di stato, in tale evenienza, non potrebbe operare, dal momento che per la nascita di un rapporto tra due soggetti è quantomeno indispensabile che si conoscano almeno i soggetti a cui imputarlo.

L’abolizione della facoltà prevista dall’articolo 30 si deve, pertanto, ritenere finalizzata ad assicurare piena efficacia all’articolo 8. Da un lato, il compiuto rispetto delle regole poste con l’odierna legge assicura che, una volta che la madre sia stata edotta di tutto ciò che la nuova normativa prevede ed una volta che in seguito alle informazioni cosi ricevute abbia deciso di rilasciare consapevolmente e liberamente il proprio consenso, fa si che non resti più alcuna ragione logica per consentirle di non assumere il suo ruolo materno attraverso la non menzione dell’atto di nascita.

Da un altro lato, si deve ritenere che la madre, nel rilasciare il proprio meditato consenso alla PMA abbia, anticipatamente e definitivamente, accettato di essere dichiarata come tale. Senza, dunque, nulla togliere alla libertà di autodeterminazione della donna, che rimarrà libera accedere o meno alle tecniche di PMA , dopo essere stata compiutamente e debitamente informata, è stata semplicemente introdotta una previsione di tutela nei confronti del nato che in linea con l’idea della legge, vede ulteriormente aumentatala certezza dei suoi rapporti parentali.