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L’esistenza in vita dei soggetti richiedenti: il problema

4. Requisiti oggettivi e soggettivi

4.5 L’esistenza in vita dei soggetti richiedenti: il problema

Ultimo requisito soggettivo richiesto dall’articolo 5 della L. 40/2004 è l’esistenza in vita di entrambi i componenti della coppia richiedente. I progressi della ricerca e della tecnica rendono, infatti, o quantomeno renderebbero possibile il desiderio di avere un figlio anche dopo la propria morte o quella del partner. Il nostro ordinamento, nello stabilire che possono accedere alla procreazione assistita solo coppie di soggetti entrambi viventi, pone, quindi, un generico divieto di fecondazione c.d. post mortem169.

Tale delicata questione è stata però molto dibattuta, infatti fin dall’entrata in vigore della legge in dottrina si contrapponevano sul punto diverse opinioni.

167 Si veda R. VILLANI, opera citata, p. 73 ss. 168 Si veda R. VILLANI, opera citata, p. 217 169 Si veda R. VILLANI, opera citata, p. 175 e ss.

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Una parte della dottrina170 riteneva che la fecondazione post

mortem, dovesse essere ammessa sulla base del diritto alla

procreazione, sul diritto a fondare una famiglia, sul diritto al rispetto della vita familiare e dunque ai principi di libertà sessuale e trasmissione della vita. Invece, secondo una diversa opinione la pratica in questione era da considerarsi illegittima, in quanto lesiva del diritto del figlio ad essere istruito, educato e mantenuto da entrambi i propri genitori, secondo quanto stabiliscono gli articoli 29 e 30 della Costituzione italiana171, dai quali si evincerebbe il diritto alla doppia figura genitoriale.

La fecondazione post mortem sarebbe, quindi, risultata in contrasto con tale diritto, consentendo di pianificare la venuta al mondo di una persona in deliberata assenza della figura paterna172.

Nella realtà sono, però, molte e diverse le ipotesi nelle quali si può concretamente incorrere in una fecondazione post mortem: ad esempio, nel caso in cui il marito e convivente venga meno dopo la formazione degli embrioni, ma prima del loro trasferimento in utero della donna, mentre nel caso in cui a mancare fosse la donna non si porrebbe il suddetto problema, in quanto la crescita dell’embrione dovrebbe continuare nel corpo di una terza persona e questa è un’ipotesi vietata dal nostro ordinamento.

In relazione proprio a questa possibile vicenda si è pronunciato, con un’interessante ordinanza, il Tribunale di Palermo nel 1999173,

ancor prima, quindi, dell’entrata in vigore della stessa legge sulla PMA. Il giudice aveva in quel caso accolto la richiesta di una donna rimasta vedova, dopo aver iniziato le pratiche di PMA, di poter

170 Si veda V. LOJACONO, Voce inseminazione artificiale (diritto civile), in Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffrè Editore, 1971, p. 757

171 Si veda T. AULETTA, Fecondazione artificiale:problemi e prospettive, Quadrimestre, 1986, p. 22

172 Si veda R. VILLANI, opera citata, p. 177

173 Si veda Tribunale di Palermo ordinanza 08.01.1999, disponibile in Guida al

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utilizzare gli embrioni ottenuti con il gamete del marito pre – morto crioconservati presso un centro di medicina, per l’impianto. Infatti la donna, dapprima, si era rivolta al centro per ottenere, anche dopo la morte del coniuge, l’impianto degli embrioni congelati, ma il centro si era rifiutato, a rispetto inoltre del divieto, stabilito dal codice deontologico medico174, di eseguire la procreazione assistita dopo la morte di uno dei partners175. Ad ogni modo il giudice in quel caso ordinò al centro l’immediato adempimento della prestazione professionale mediante il transfer degli embrioni nella donna. Il giudice palermitano, pur non negando il diritto alla doppia figura genitoriale aveva, quindi, ritenuto che l’articolo 30 della Costituzione, che salvaguarda il diritto dei figli a crescere e ad essere educati, mantenuti e istruiti, trova però il limite nel diritto alla vita del nascituro e nel diritto all’integrità fisica e psichica della madre, anch’essi costituzionalmente protetti dagli articoli 2 e 32 dello stesso testo costituzionale. Quindi il giudice, effettuando un bilanciamento dei diritti in gioco, ha postulato la prevalenza dei secondi rispetto ai primi.

A parte questa vicenda, l’articolo 5 della legge 40 del 2004 vieta, quindi, qualsiasi forma di procreazione, quando, alla morte di uno dei soggetti, l’embrione non si sia ancora formato: dunque non è possibile prelevare materiale genetico da persone decedute.

174 Il codice di deontologia medica italiano, all’articolo 42 vieta di attuare «a)

forme di maternità surrogata; b) forme di fecondazione assistita al di fuori di coppie eterosessuali stabili; c) pratiche di fecondazione assistita in donne in menopausa non precoce; d) forme di fecondazione assistita dopo la morte del partner»

175 Si veda S. MINERVINI, opera citata, p. 99. Si veda poi S. CANESTRARI, Il

governo del corpo – Trattato di Biodiritto, Milano, Giuffrè Editore, 2011, p. 1581.

Interessante anche un confronto con C. CAMPIGLIO, Procreazione assistita e

famiglia nel diritto internazionale, Padova, Cedam, 2003, p. 149 ss.. Si veda

ancora A. GENTILOMO – A. PIGA – S. NIGROTTI, La procreazione

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La situazione è rimasta tale e inalterata, almeno fino al gennaio di quest’anno, quando il Tribunale civile di Bologna176 ha accolto il

ricorso di una donna di Ferrara, dando, di fatto, il via libera all’impianto di embrioni, che erano stati congelati diciannove anni fa al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, nonostante la morte del marito della signora, risalente al 2011. La coppia, sposata dal 1998, nel 1996, si era rivolta al centro di fecondazione assistita del Sant'Orsola. Quell’anno fece un intervento, ma l’impianto non riuscì: otto embrioni non impiantati furono congelati, con il consenso dei due coniugi stessi, i quali, nel corso degli anni, a più riprese, di cui l'ultima nel luglio 2010, avevano manifestato la volontà circa il futuro impianto degli stessi.

Dopo la morte del marito, avvenuta nel dicembre 2011, la donna si era rivolta, con atto scritto del settembre 2012, al predetto Policlinico, al fine di ottenere l'impianto dei sopraindicati embrioni, ma aveva ottenuto il rifiuto da parte dello stesso ente ospedaliero. La donna, pertanto, in data 13 febbraio 2013, depositava ricorso ai sensi del contenuto disposto dell’articolo 700 del codice di procedura civile, chiedendo al Giudice adito, che ordinasse all’Azienda Ospedaliera, anche inaudita altera parte, l'impianto dei predetti embrioni.

Il Giudice, con l’ordinanza del 21 maggio 2014177, adottata in

via d’urgenza, rigettava il ricorso della donna, negandole la possibilità di procedere all’impianto. Tale decisione, come brevemente anticipato, è stata riformata dallo stesso Tribunale nel gennaio di quest’anno. Il Collegio bolognese, in accoglimento del reclamo proposto dalla donna, ha, infatti, ordinato all’Ospedale l’impianto intrauterino degli embrioni crioconservati dal 1996.

176 Si veda Tribunale di Bologna, sezione I civile, ordinanza del 16 gennaio 2015,

n. 9667/2014, disponibile in www.altalex.it

177 Si veda Tribunale di Bologna, ordinanza del 21 maggio 2014, in

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La motivazione dei Giudici bolognesi ha, sostanzialmente, preso le mosse dalla considerazione che, nel caso di specie, la procedura di fecondazione è stata attivata dai coniugi prima dell’entrata in vigore della legge 40 del 2004 e, non essendo ancora conclusa (sussistendo embrioni crioconservati non abbandonati), deve ritenersi soggetta alla disciplina dell’articolo 7 della predetta legge e delle correlate Linee Guida degli anni 2004 e 2008. Pertanto, sempre secondo quanto osservato a Bologna, a norma delle predette linee guida, in caso di embrioni crioconservati, ma non abbandonati, la donna ha sempre il diritto di ottenere il trasferimento dei predetti.

Vi è poi da dire che le linee guida, peraltro, non stabiliscono limiti di sorta a tale facoltà, la quale dipende, secondo la lettera della normativa, dalla volontà esclusiva della donna, non essendo in alcun modo richiesto il consenso del marito o di altri soggetti. Inoltre, d’altra parte, non può essere attribuito alle suddette linee guida un diverso significato, dato che la disposizione in esame risulta certamente chiara e scevra da ogni dubbio interpretativo.

Peraltro, le Linee Guida sono state emesse, come già detto, proprio sulla base del contenuto della stessa L. 40, e precisamente dell'articolo 7, e, quindi, devono considerarsi non frutto di un’autonoma fonte sub legislativa, ma di una normativa di rango primario, in quanto fatte proprie, tramite la tecnica del rinvio, dalla stessa fonte legislativa.

È questa, infatti, una normativa emanata ad hoc ed avente un’applicazione specifica, ossia il regolamento delle procedure di fecondazione assistita iniziate prima del 2004 e non ancore terminate. Tale disciplina, pertanto, in base al noto principio di specialità, ben può prevalere sulla normativa generale di cui alla L. 40/2004, stabilendo una regolamentazione particolare volta a normare un nucleo specifico di situazioni, ossia, le procedure di fecondazione assistita, che han preso avvio prima dell’entrata in

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vigore della legge stessa. Inoltre, l’espressione trasferimento degli

embrioni, di cui la donna ha il diritto in via esclusiva, deve

correttamente intendersi quale impianto degli stessi all’interno del suo corpo, visto che lo stesso legislatore del 2004, ogni volta che richiama la suddetta locuzione, le attribuisce il predetto significato e non quello di passaggio degli embrioni da un centro criogenico ad un altro.

Di conseguenza, per le ragioni sopra descritte, avendo la ricorrente chiesto esplicitamente, con un atto risalente al settembre 2012, alla struttura ospedaliera l’impianto intrauterino degli embrioni precedentemente venuti in esistenza, risultava del tutto illegittimo il rifiuto opposto da quest’ultima. In conclusione, il Tribunale di Bologna, ritenendo sussistenti i requisiti del fumus boni iuris e del

periculum in mora, desumibile, in particolare, dalla stessa età della

reclamante, di cinquant’anni, nonché dalla conseguente aleatorietà dei risultati della fecondazione assistita e delle maggiori difficoltà proporzionate al progredire dell'età dei genitori, ha ordinato all’Ente ospedaliero di provvedere immediatamente in via di urgenza all'impianto degli embrioni crioconservati dal 1996.

5. Il divieto di disconoscimento della paternità e il divieto di