Capitolo II – il regime fiscale dei dividendi e degli interessi in ambito intra UE
2.4 Il divieto di Doppia imposizione nel diritto dell’Unione Europea
Questi provvedimenti proposti fino ad ora per evitare la concorrenza fiscale dannosa e soprattutto la Doppia imposizione trovano spazio sin dagli albori della Comunità Europea, in particolare con la prescrizione che era fornita dall’art. 293 TrCE per cui “gli stati membri avvieranno tra loro, per quanto occorra, negoziati intesi a garantire, a favore dei loro cittadini l’eliminazione della doppia
98 UCKMAR, CORASANITI, DE CAPITANI DI VIMERCATE, CORRADO OLIVA, Diritto tributario internazionale: manuale, II ed., Padova, Cedam, 2012, p. 225
imposizione fiscale all’ interno della Comunità”. Tale norma metteva in relazione l’eliminazione della Doppia imposizione con la possibilità di raggiungere gli scopi prefissati dal Trattato, ponendo in capo agli stati che avessero aderito un obbligo de contrahendo99, il che sicuramente era sintomo di un nobile intento, forse però depotenziato, non essendo previsto alcun intervento in tale direzione delle istituzioni europee dell’epoca, ma lasciando quantomeno uno spiraglio nell’ottica di un intervento censore da parte degli organi giurisdizionali dell’allora Comunità nel caso in cui questi accordi non fossero stati stipulati dagli stati membri in ossequio a quanto prescritto dal Trattato sulla Comunità Europea.
La Corte si è pronunciata nel corso del tempo in diversi ambiti in cui può aversi Doppia imposizione:
in materia di iva, tributo armonizzato per eccellenza e sottoposto a un regime fiscale di neutralità, in alcuni casi chiave come la causa Gaston Schul (c-47/84), EGN (377/08) e EMAG (c-245/04) in cui si affermava la sussistenza di Doppia imposizione nel caso in cui l’importazione in uno stato membro fosse tassata in assenza di uno sgravio dell’iva scontata nel paese di esportazione100 o nel caso in cui, come da ultima sentenza riportata, nelle operazioni “ a catena” il trasporto sia conteggiato in più cessioni.
Inoltre, altre pronunce ha invece affrontato la questione dal punto di vista di altre imposte indirette in particolare nel campo delle imposte sui capitali, che, come abbiamo già detto, sono tra i più esposti a tale distorsione, dove si è cercato di raggiungere addirittura la non imposizione in situazioni quali il conferimenti, il momento in cui si avvia un’attività in forma di società di capitali, la modifica della forma stessa, lo spostamento della sede legale o dell’amministrazione da uno stato all’altro, come tra l’altro previsto nella direttiva 2007/08 EC.
Ugualmente, la disciplina volta a impedire la Doppia imposizione a livello di imposte dirette è riscontrabile nella direttiva 2009/33 CE, in materia di operazioni straordinarie di riorganizzazione e ristrutturazione delle imprese o nella direttiva 2011/96 UE, meglio nota come direttiva “Madre-figlia”, riguardante i dividendi infragruppo (che costituirà l’oggetto di studio principale delle prossime pagine) e ancora nella direttiva gemella 2003/48 CE, in materia di interessi. Non si può però affermare che i principi della neutralità fiscale e del divieto di Doppia imposizione siano stati perfettamente recepiti come principi generali del diritto né dal legislatore né dalla giurisprudenza europea101. Ciò è dimostrato anche dalla linea seguita dalla Corte in relazione alle imposte dirette,
99 UCKMAR, CORASANITI, DE CAPITANI DI VIMERCATE, CORRADO OLIVA, Diritto tributario internazionale: manuale, II ed., Padova, Cedam, 2012, p. 204
100 TRAVERSA, https://dial.uclouvain.be/pr/boreal/object/boreal%3A142713/datastream/PDF_01/view, P. 334
101 TRAVERSA, https://dial.uclouvain.be/pr/boreal/object/boreal%3A142713/datastream/PDF_01/view, P. 341
specificatamente sui dividendi: possiamo prendere a esempio la sentenza Société Generale ( c-403/19), che ci permette un importante approfondimento a 360 gradi sul tema, in cui, nello
specifico, la questione pregiudiziale sollevata verteva sull’interpretazione dell’articolo 63 TFUE e in particolare ci si chiedeva se secondo l’interpretazione della Corte potesse essere di ostacolo alla normativa di uno stato membro che accordasse una compensazione limitata rispetto alla tassazione subita dalla medesima società da parte di un altro stato membro. La Corte tratta quindi la questione riguardante una struttura holding in cui la società madre di un gruppo fiscale di cui faceva parte la SGAM Banque era la denominata Societè Generale SA. La SGAM era una società di diritto francese che operava ricevendo dividendi da società stabilite in Italia, Paesi Bassi e Regno Unito, paesi con cui la Repubblica Francese aveva stipulato convenzioni contro le Doppie imposizioni (vedi infra). Questa operatività transnazionale comportava l’imposizione sia nei paesi fonte che applicavano il sistema withholding tax sia in Francia, paese di residenza della compagnia. La controversia è sorta in quanto la società per evitare il doppio onere dichiarava un credito d’imposta pari a quanto tassato nei paesi fonte mentre la disciplina francese concedeva un credito d’imposta pari all’aliquota applicata alle imposte sulle società prevista in Francia, tra l’altro con l’ulteriore problema che nei paesi fonte l’imposta era calcolata al lordo mentre nello stato di residenza al netto, provocando un disallineamento tra utile netto e lordo102. Queste previsioni non erano prive di una ratio fondante in quanto lo scopo era quello di contrastare il cd. dividend stripping, ossia la pratica adoperata dalle società che non hanno un sufficiente imponibile per poter usufruire del foreign tax credit, sussistente in operazioni finanziarie inquadrabili nel prestito di titoli: “Nel caso in esame, la società francese SGAM Banque realizzava operazioni di prestito di titoli comportanti la consegna, da parte del mutuatario, di azioni destinate a garantire le somme concesse in prestito dalla banca cosicché ́ quest’ultima diveniva temporaneamente proprietaria delle partecipazioni consegnate”103.
Allo stesso tempo operava nell’ambito della gestione di panieri di azioni, i cd. equity baskets, dove riceveva dividendi che per contratto girava ai suoi partners in cambio di una remunerazione.104 Il quadro delle operazioni è stato qui fornito per poi arrivare al punto focale della questione: infatti, come già segnalato, questa situazione per il giudice del rinvio era passibile di illegittimità dal punto di vista del diritto dell’Unione Europea, in particolare per la violazione della libertà di movimento dei capitali sancita dall’art. 63 TFUE, essendo la partecipazione in società residenti più conveniente
102 SCIANCALEPORE, Doppia imposizione giuridica internazionale diritto europeo nel caso Societe Generale, in Diritto e Pratica tributaria internazionale, n.2, 2021, p.900
103 SCIANCALEPORE, Doppia imposizione giuridica internazionale diritto europeo nel caso Societe Generale, in Diritto e Pratica tributaria internazionale, n.2, 2021, p.902
104 SCIANCALEPORE, Doppia imposizione giuridica internazionale diritto europeo nel caso Societe Generale, in Diritto e Pratica tributaria internazionale, n.2, 2021, p.902
rispetto a quella in società di altri stati membri. La Corte tuttavia, non ha riscontrato questo
elemento ostativo in quanto questo trattamento doppiamente impositivo non era tale in quanto frutto di elementi discriminatori, che altrimenti si sarebbero stati censurati, ma era semplicemente
espressione del proprio potere impositivo; e ugualmente ciò è lecito anche quando questo potere sia esercitato parallelamente da altri stati, come stabilito in una copiosa giurisprudenza precedente, a cui la Corte si è attenuta in questo specifico caso, tra cui possiamo citare la sentenza Mark
Kerckhaert e Bernadette Morres (c-513/04) o Damseaux (c-128/08) o infine la sentenza Baudinet (c-194/15), concernente proprio il regime del foreign tax credit in Italia105.
Con il trattato di Lisbona e la mancata riproposizione della norma 293 TrCE si può ritenere che quest’obbligo in capo agli stati membri sia stato assorbito nel divieto generale e nella contrarietà al diritto europeo della Doppia imposizione e che la vigilanza sul rispetto di queste prescrizioni non sia più affidato tanto alla Corte di Giustizia UE quanto agli organi politici come la Commissione.