Capitolo II – il regime fiscale dei dividendi e degli interessi in ambito intra UE
7.6 Le Sentenze Danesi
Occorre invece, per affrontare il tema, riprendere i concetti precedentemente esposti in merito alle società qualificabili come conduit sulla base della mancanza di strutture organizzative che possano definirsi tali. La gran parte della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in argomento si concentra, infatti, su tali questioni. Il tema del beneficial owner e dell’abuso del diritto sono stati
187 Ex multis. Cass. n. 32840/2018
188 CORASANITI, L’evoluzione della nozione di beneficiario effettivo tra il modello di convenzione OCSE e la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione europea, in Diritto e Pratica Trib., n°
6, 2021, p. 2499
189 CORASANITI, L’evoluzione della nozione di beneficiario effettivo tra il modello di convenzione OCSE e la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione europea, in Diritto e Pratica Trib., n°
6, 2021, p. 2502
affrontati con le cd. Sentenze Danesi, due sentenze gemelle in cui sono state riunite più cause rispettivamente in materia di dividendi (116/16 e 117/16) e interessi (115/16, 118/16, c-119/16 e c-219/16) soprattutto nel private equity190, che hanno avuto importanti risvolti
sull’interpretazione della direttiva 435/90 CEE, nella versione antecedente alla rifusione avvenuta con la direttiva 96/2011 UE, e della direttiva 49/2003 CE.
Presentiamo, brevemente, la parte in fatto di queste importanti pronunce: Le questioni pregiudiziali sono state sollevate e rimesse alla Corte di Giustizia UE , costituita in Grande Sezione, dall’Alta Corte della Danimarca che si era posta il problema della legittimità del rifiuto, da parte
dell’amministrazione finanziaria danese, di riconoscere l’esenzione della ritenuta alla fonte su dividendi e interessi distribuiti e pagati da società residenti in Danimarca a soggetti holding, invece, residenti in Lussemburgo, Svezia e Cipro. La richiesta di vedersi riconosciuta l’esenzione era stata formulata da queste secondo quanto previsto dalle direttive Madre-figlia e Interessi-royalties191. Il problema si è posto non tanto da un punto di vista formale, essendo rispettati i requisiti richiesti, quanto da un punto di vista sostanziale: infatti, il fisco danese , per quanto concerne i dividendi, ha ritenuto la complicata struttura societaria dei gruppi in questione possibile compagine idonea a compiere abuso del diritto, così come previsto dalle generali clausole antiabuso date dal diritto interno, in cui era fatta rientrare anche la clausola del beneficiario effettivo, stipulata dalla
Danimarca nelle Convenzioni con proprio Cipro e Lussemburgo. Per quanto riguarda gli interessi, l’amministrazione danese ha negato l’esenzione della ritenuta qualificando i soggetti percettori non come beneficiari effettivi ma quali entità conduit e perciò privi della condizione costitutiva richiesta dalla Direttiva 49/2003.
La Corte ha premesso che la valutazione dei fatti concreti (paragrafi 99 e 126) sia di spettanza del giudice a quo. Detto ciò, ha poi affrontato nel merito concettuale le questioni così come vedremo di seguito.
A fronte di una serie di quesiti articolati presentati dal giudice del rinvio192, tra cui la rilevanza della clausola del beneficiario effettivo nella Direttiva 435/90 CEE (a cui i giudici non hanno risposto)193,
190 TENORE, LUBRANO, Spunti di riflessione sulle sentenze della Corte di Giustizia nelle cd. cause danesi alla luce della giurisprudenza italiana, in Rivista telematica diritto Trib., 13 Marzo 2020
191 ROSSI, PORCARELLI, https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2019/02/27/ritenute-fiscali-dividendi-interessi-rileva-status-beneficiario-effettivo
192 DELLA VALLE, FRANCONI, Beneficiario effettivo e divieto di pratiche abusive nelle sentenze “danesi”, in Il Fisco, n° 16, 2019, p. 1552
193 DELLA VALLE, FRANCONI, Beneficiario effettivo e divieto di pratiche abusive nelle sentenze “danesi”, in Il Fisco, n° 16, 2019, p. 1555
possiamo così riassumere i principi di diritto espressi dalla Corte di Giustizia UE, partendo dalla sentenza in materia di dividendi. In tale sentenza i giudici hanno affrontato il tema dell’abuso del diritto, statuendo che esiste un principio generale del diritto UE per cui i singoli privati non possono avvalersi di norme di diritto derivato attraverso pratiche abusive o fraudolente. Perché una pratica sia abusiva occorre che sia integrato un elemento oggettivo per cui, pur nel rispetto formale della norma, non sia conseguito l’obiettivo posto dalla ratio legis. Inoltre, con una rilevante differenza rispetto alle clausole del beneficiario effettivo, è richiesto che si configuri anche l’elemento soggettivo per cui il contribuente agisca in modo da crearsi artificiosamente le condizioni idonee a sfruttare il diritto dell’Unione. La sussistenza, per l’appunto, di strutture societarie articolate e artificiose rientra tra quelli elementi indiziari concordanti e oggettivi per cui può ritenersi concretizzato l’abuso e che perciò impediscono di fruire dell’esenzione prevista dalla Direttiva madre-figlia.
Nella sentenza in materia di interessi, invece, i giudici hanno inquadrato il beneficiario effettivo come quel soggetto che gode economicamente degli interessi percepiti e che ne ha piena
disponibilità di destinazione. Nei punti successivi è poi ribadito l’ostacolo del principio generale antiabuso del diritto dell’Unione alla concessione dell’esenzione da ritenuta sugli interessi in uscita.
Si evince come la Corte abbia assunto una posizione conservativa rispetto all’interpretazione del principio esprimente il divieto di pratiche abusive, a cui fa ampio riferimento nella soluzione delle questioni pregiudiziali sollevate. Questa posizione è espressa anche con l’indicazione di specifici
“segnali d’allarme” per l’individuazione delle fattispecie poste in essere per l’ottenimento di vantaggi fiscali indebiti. Questi indicatori di abuso del diritto194 possono essere l’esistenza delle già citate strutture societarie complesse, dove i soggetti percettori, privi di personale, attrezzature e costi di gestione, hanno come unica attività economica quella di ritrasferire in breve tempo i proventi, “a fronte di un utile insignificante”, ad altri soggetti che non potrebbero godere dei benefici dati dalle direttive (magari perché extra-UE) magari in forza di pattuizioni intra gruppo. Tra questi assume evidentemente un ruolo anche il concetto di beneficial owner che nell’interpretazione dei giudici europei, non del tutto in linea con l’OCSE195 , non ricopre più né la funzione di prevenzione di eventuali abusi né la funzione di clausola speciale antiabuso, alternativa alle clausole generali196, ma
194 DELLA VALLE, FRANCONI, Beneficiario effettivo e divieto di pratiche abusive nelle sentenze “danesi”, in Il Fisco, n° 16, 2019, p. 1555
195 AVOLIO, GIANNELLI, La responsabilità del sostituto d’imposta ai fini della clausola del beneficiario effettivo, in Il Fisco n°17, 2021, p. 1609
196 DELLA VALLE, FRANCONI, Beneficiario effettivo e divieto di pratiche abusive nelle sentenze “danesi”, in Il Fisco, n° 16, 2019, p. 1553
piuttosto, appunto, elemento da integrarsi per avere l’abuso del diritto. L’esistenza, quindi, di società interposte non qualificabili come beneficiari effettivi diventa sintomo dell’esistenza di una pratica elusiva, anche quando tale qualifica, esempio lampante evidenziato nelle sue conclusioni anche dall’Avvocato Generale Kokott197 è la Direttiva madre-figlia, non è previsto come requisito per il riconoscimento dei benefici fiscali!
Ulteriore approfondimento merita la questione se il divieto di pratiche abusive così come enunciato nelle Sentenze Danesi sia corrispondente a quello proposto nella già citata (a proposito della disciplina CFC) Direttiva ATAD e a quello inserito nel 2015 nella Direttiva 96/2011. La dottrina si è divisa, in particolare, sul punto riguardante il vantaggio fiscale, nelle direttive considerato come uno dei possibili scopi mentre nella giurisprudenza come lo scopo essenziale della fattispecie. Altro punto discusso è relativo la mancanza di valide ragioni commerciali e la presenza di una “costruzione di puro artificio”. Il fatto che per le direttive sia sufficiente solo il primo elemento si pone in contrasto con quanto richiesto, invece, dalla giurisprudenza UE (si pensi alla sentenza Cadbury Schweppes) ma soprattutto sembra contrapporsi all’esercizio della libertà di stabilimento198, esercitabile anche ai soli fini fiscali. Questa seconda interpretazione risulta essere quella espressa anche nella norma antielusiva generale prevista nel nostro ordinamento, contenuta nell’articolo 10 bis della l. 212/2000 in cui si parla di “operazioni prive di sostanza economica”.
Il riferimento all’articolo 10 bis ci permette di concludere l’analisi della pronuncia dei giudici europei analizzando come l’onere della prova sia stato ripartito in modo similare a questa nostra disposizione.
La Corte, in linea con la propria giurisprudenza precedente, ha statuito che l’Amministrazione finanziaria abbia l’onus probandi della effettiva esistenza degli elementi tipici dell’abuso e del fatto che il preteso beneficiario effettivo non sia in realtà tale199 senza però dover poi indicare quale sia l’effettivo beneficial owner. Nell’ ipotesi in cui però il fisco fosse a conoscenza del beneficiario effettivo e questi fosse idoneo ad usufruire dei benefici previsti dalle direttive non potrebbe far altro che riconoscerglieli.
197 BAERENTZEN, Cross border dividend and interest Payments and Holding Companies - An Analysis of Advocate General Kokott’s Opinions in the Danish Beneficial Ownership Cases, in European Taxation, Vol. 58, n°8, 2018,
198 DELLA VALLE, FRANCONI, Beneficiario effettivo e divieto di pratiche abusive nelle sentenze “danesi”, in Il Fisco, n° 16, 2019, p. 1554
199 DELLA VALLE, FRANCONI, Beneficiario effettivo e divieto di pratiche abusive nelle sentenze “danesi”, in Il Fisco, n° 16, 2019, p. 1561