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Documenti etnici

Nel documento Socialismo antico : indagini (pagine 141-159)

!. La Croni* - J. 1 n»rri j»<tr>,nl. — 3. 11 m«*M Ctonio. — *. 1 ineristi. .V I pro-varti cvoniialci. l'rfBtn" Ari none. Ciotto» aimtmla dui »orno.

1. Veniamo ai documenti etnici. Abbiamo in primo luogo le feste Cronie che cominciavano in Atene il dodicesimo giorno del mese di Ecatonbeon (1° del Calendario attico) e cadevano per cif) verso la fine di luglio. Duravano sette giorni ( I ) . Se ne faceva risalire l'isti-tuzione a Cecrope l'eroe temosforo dell'Attica, quello stesso che di-cevasi avesse innalzato l'ara a Cranio a piè dell'Acropoli. Come nella durata cosi nell'indole somigliavano ai Saturnali italici : alle-gria generale, scambio di doni, conviti, largizioni, sacrifizi! e liba-zioni a Cronos, banchetti agli schiavi per cura e a spese dei padroni. Non s'usava in que' giorni riscuotere le pigioni delle case, nè gli interessi dei mutui. II senato sospendeva le sedute. Insomma da per tutto solazzi e giubilo e canti e divertimenti e dimostrazioni d'ugua-glianza tra liberi e servi (2).

Nè solo in Atene si celebravano le Cronie. A Rodi la solennità cadeva nel mese di Pedagitnione che era il quinto del calendario dell'isola e iniziava la primavera (3). A Trezene nel mese di Gere-stio, cioè da mezzo aprile a mezzo maggio, si faceva festa per pa-recchi giorni, in uno dei quali i servi giocavano ai dadi co' liberi cittadini e banchettavano co" proprii padroni (4). A Tebe nelle Cronie

(1) I.IVU*., Croma, 2. Cfr. Sonu ur, Ilandbuch d.gritch. Chronol., Iena. 1888, p. 268

(2) Letti*.. Cron., 5. Iil. Cronasvl; fimosi.. In Timocr.

(3. I'OKI'U , Ut Abtt., II. 54. Il tetto di Portino ha TIRIVI MeTaTdTvituvt, ma il nome vero locale era ITiÌMiTti'tviMH ; corrispondeva all' Antesterione d'A tene. V. Bi-acuorr. De faniia grattar, antiquuiribus ne' Leipe. Stivi fitr ciati. Philol., VII, p. 383. Al culto di Cronoa in Koili si connette la leggenda dell'anione di Zeus oon la ninfa rodiete Hitnasia che gli diede tre figli: Sparteo, Cronios e Kvtos. V. PHCLI.I:K,

G. M., I, p. 475.

(4) Cimar. Pi:««., ne' Fragm. hùt. gr., T. IV, p. 358 e dice che il convitare a tavola i servi et» costume greco (éXAtivmòv Mix.).

si teneva una grande gara musicale (1). Inoltre in Atene stessa e in Olimpia si facevano nella stagione primaverile cerimonie sacre in onoro di Cronos. In Atene nel quindicesimo giorno del mese di Eia-febolion gli si offriva una focaccia a dodici umbilichi e un bue di pasta (2) ; e nella regione olimpica sul vertice del colle Cronio, al-l'equinozio di primavera i cosi detti Baùli, narra Pausania, sacri-ficavano a Cronos (3).

Kesteggiavasi dunque Cronos nella stagione della mietitura e in quella della germogliazione. Ed è notevole che quella pratica del-l'accomunamento dei liberi e degli schiavi alle liete mense cromane, anzi dei banchetti ammaniti e serviti dai padroni ai servi era in vigore in altre feste religiose in altri siti della Grecia. A Cidonia, nell'isola di Creta, durante le feste di Ermes i servi della gleba (Claroti) sedevano a tavola avendo a ' proprii ordini i padroni, se pure costoro non preferissero allontanarsi in quel tempo dalla città ( 4 ) ; ad Amicla nel secondo giorno delle lacintie i cittadini convitavano a pranzo .gli amici venuti da fuori e i proprii schiavi (5).

Un testo di Batone sinopese, riferito da Ateneo informa dell'opi-nione che s'aveva in Grecia intorno all'origine di cotesto costume:

« Nel tempo in cui i Pelasgi celebravano un sacrifizio e un publico banchetto, un tale di nome Peloro annunziò a Pelasgo che per vio-lenza di forti terremoti erano nell'Emonia franati i monti detti Tempe formando una gola traverso la quale l'acqua della palude era affluita nell'alveo del Peneo, lasciando scoperta tutta quella re-gione c h ' e r a dianzi palustre, e che, cosi asciugati, quei campi appa-rivano meravigliosamente ampii e belli. Udito ciò Pelasgo volle che Peloro sedesse alla propria tavola che era lautamente apparecchiata e tutti gli altri in gran numero portarono quanto di meglio ciascuno aveva e lo posero sulla tavola del messo, che fu dallo stesso Pelasgo

(1) Aiilei., Voti., in Fragm. liisl. gr., T. II, p. 186. Secondo narra in questo frammento Aristotele, Omero v'andava quando la morte lo eolse all'isola d'Io.

(2) Corp. Inseript. Or., I, n. 523: EAa<pn3oXiu>vo( ei, Kpóvuj nótravov biubt-KÓmpaXov Ka0n|ievov erti " ' dei? floGv xoivixiatov àvuirEpetTuit,. Pel bue di pasta si doveva adoperare un chenice di farina, cioè una quantità sufficiente all'alimen-tazione giornaliera d'un nomo.

(3) Paesi*.. VI, 20. Il mese elidense Elaflo e l'attico Elafebolione comprende-vano i giorni decorrenti da mezzo aprile a mezzo maggio.

(4) HUEOK, Kreta, T. III, p. 39. cita Eforo e Caristio e afferma che il culto di Ermes risaliva a' primi abitatori di Creta.

servito eon gran prontezza e parecchi tra i più cospicui ugualmente gli facevati servizio secondo si presentava l'occasione. P e r la qual cosa, da quando ebbero occupata quella regione, usarono, nella solennità di Giove Pelorio, a somiglianza della festa celebrata in cotesta cir-costanza, imbandirò mense magnificamente apparecchiate e con tanta filantropia celebrano quella fasta che convitano al banchetto tutti i forestieri, sciolgono i prigionieri e permettono ai servi di sdraiarsi a tavola o pranzare con la massima libertà, mentre i padroni li

servono. Ed anche adesso i Tessali nello stesso tempo celebrano ma-gnificamente quella festa e la chiamano Peluria ( l ) ».

In quanto ai banchetti pubblici sappiamo come fossero in uso tra

i greci prima della migrazione dorica e rimasero per lungo tempo in vigore in Creta, nella Laconia, a Megara, a Corinto e nell'Ar-cadia" (2).

Dosiade descrive cosi i conviti pubblici (Sissizie) de' Lictii cretesi: 4 Ciascuno mette in società la decima parte dei frutti prediali e in

più la sua porzione degli assegni che sono distribuiti dal prefetto

della città : i servi contribuiscono con uno staterò eginese per testa. Tutti i cittadini sono divisi in sodalizii che chiamano Andrie (dvbpcìa).

La cura del banchetto pubblico spetta ad una donna assistita da tre

o quattro popolani amministratori, ciascuno de' quali ha con sè due schiavi che portano la legna e sono detti calo/ori (icaXoipópous). Esi-stono dovunque in Creta due ediflzii destinati ai pubblici sodalizii : uno è chiamato l'Andrion (dvòpeiov) ; l'altro riservato ai forestieri e il Dormitorio (Koiuntripiov). Nell'edilizio ove si tengono i banchetti pubblici sono imbandite due tavole dette ospitali (Eevucal) alle quali si assidono i forestieri presenti ; poi ci sono le mense degli altri convitati. Ognuno dei presenti riceve una porzione eguale ; ai più giovani si dà però solo mezza porzione di c a r n e e non altro. Inoltre

sopra ogni tavola è situata una tazza di vino molto annacquato e quanti siedono a quella tavola bevono in comune ; finito il desinare

se ne dà un'altra tazza. Tutti dunque bevono a una tazza comune.

Ma ai più vecchi è concesso di bere un po' di più, se ne vogliono.

L a donna che sorveglia il desinare prende dalla tavola le vivande più squisite e le dà a quelli che sono reputati superiori agli altri

(1) Bài. SIXOF.. De Thett. et Basa, in Frajm. hi.it. gr., T. IV, p. 349. Baione retore di Sinope TÌM» nel 8' »ecolo av Cristo e opinava che i Saturnali fossero di origine greca.

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per valore o per senno. Dopo pranzo si occupano prima delle pub-bliche faccende ; poscia commemorano le belle imprese guerresche, esaltano i prodi e stimolano i giovani a farsi onore » (1). Da un'altra fonte, anch'essa antica, sappiamo che i Cretesi banchettavano alle-gramente. S'apriva il banchetto con una preghiera agli dei : si di-stribuivano le vivande, dando ai figliuoli la metà di ciò che d a v a « ai padri; agli orfani si dava la porzione intera, ma senza condimento o salsa di sorta (2).

A Sparta i pranzi pubblici si chiamavan Fiditie (Otibrrim). Erano semplicissimi da principio. Davasi a ciascuno la sua porzione

sepa-rata, pane ipàiav) a volontà e una tazza per ognuno. Il compana-tico era sempre lo stesso per tutti : un quarto di libbra di c a r n e porcina lessa e non altro che un po' di brodetto di questa carne — il brodetto nero (né\a<; iwnò?) — e al più qualche oliva, qualche fico o un po' di cacio. Qualche volta però ricevevano per giunta un piatto di pesce, di piccione o di lepre. Si mangiava in fretta questa roba e si passava ali epaiclo (¿irdócXov) specie di merenda so-ciale che cominciava con la distribuzione ai poveri e ai ragazzi di una fetta di polenta d'orzo bagnata d'olio (3): poi si imbandivano agli adulti pietanze preparate a domicilio e portate al refettorio comune da' singoli cittadini: cacciagione, uccellame, vino, agnellini, capretti e simile roba presa a caccia o allevata in casa. In pro-gresso di tempo s'abbandonò il semplice costume antico e il magi-strato fissò la quota che doveva conferirsi ai pubblici banchetti : tre semimoggi attici di polenta, undici o dodici congi di vino, una

de-terminata misura di formaggio e di fichi e circa dieci oboli eginesi pel companatico e si colpivano i ricchi con multe che si devolve-vano al fondo delle sissizie (4). Usadevolve-vano anche i Laconi fare la cosi detta copìs (»coirti). una cena che sì organizzava tra amici o parenti in occasione di sacrifizii privati; i piatti di rito erano polenta, pane, carne, brodo, fichi, frutta, lupini e, per condimento, olio crudo (5).

Ora, il nome che le popolazioni doriche davano, in g e n e r e , al pranzo era, come sappiamo da Polemone, alnAov (6). Ravvicinando a

(1) DOSIAD., Rer. Crei., IV, in Fragm. hat. gr.. T. IV. p. 390. (2) Piscio*, Inst. Crei.. Ill, in Fragm. hist, gr., T. IV. p. 4*6. (3j La mettevano BU foglie di lauro e cannucce. Arat*.. IV, 17. (4) Datane., Tripohtic., in Fragm. hist, gr., T. II, p. 242.

( 5 ) MOLI-., Z a c . Rep., ivi. T. I V . p. 4 5 3 .

questa notizia quelle che abbiamo intorno ai Saturnali italici e alle Cronie elleniche ; le opinioni d'Aristotele, di Attio e d'altri intorno alla questione di priorità tra la Grecia e l'Italia rispetto a cotesta istituzione; le affermazioni di Caristio e di Batone intorno all'anti-chissimo costume italico e greco de' privilegi temporanei accordati ai servi durante certe feste e finalmente quel che scrive Batone in-torno alle Pelone de' Tessali, siamo condotti a vedere nelle titsitie e Jiditie elleniche rudimenti di prische istituzioni vigenti in tempi ne' quali l'organizzazione sociale degli elleni era simile a quella degli italici dimoranti nel Lazio nell'epoca che da' posteri fu detta saturnia. E volendo ricercare la prima probabile forma delle Cronie e delle altre simili solennità dianzi mentovate, ci giova un testo d'Aristo-tele, ov'è detto che i primitivi sacrifizii e le radunanze solite a te-nersi per cerimonie di tal fatta, nelle quali s'onoravano gl'iddìi, e gli uomini si sollazzavano piacevolmente, furono istituiti per ralle-grarsi della raccolta de' frutti e consacrarne lo primizie ai numi, dacché per l'appunto in tali occasioni prendevasi il riposo dalle fa-tiche e si giubilava nelle liete brigate (1). Si notino infatti le varie epoche dell'anno in cui si celebravano le solennità delle quali di-scorriamo; le Cronie ateniesi nel tempo della mietitura e cosi le Giacintie laconiche e forse anche le Pelorie tessaliche ; le Cronie di Rodi e di Trezene e probabilmente le Ermee cidonie in primavera; si pensi alla doppia onoranza, l'estiva e la primaverile, che rende-vasi a Cronos in Atene e a quella del pari doppia , invernale e primaverile, resa a Saturno nel Lazio e l'indole originariamente campestre di cotesti riti di letizia e di propiziamento apparirà suf-ficientemente e convenientemente illustrata.

2 . Su quella singolare usanza della temporanea inversione de' rap-porti tra' padroni e i servi, comune a' Saturnali italici e alle Cronie greche, giova fermarsi uo po' per mettere in chiaro se il curioso fenomeno sociale rientri nel ciclo degli usi e costumi de' popoli arii o questi l'ebbero da altri e precisamente come pensa Lenormant, da' Babilonesi.

Ateneo trae dal primo libro delle storie di Beroso la notizia d'una festa che si celebrava in Babilonia ne' cinque giorni dal 16 al 2 0 del mese di Loo (mese macedone corrispondente all'agosto) e chia-mavasi Sacéa. In quei giorni i servi la facevano da padroni e, nelle case, uno di essi travestito da r e , prendeva il nome di Zogane

(Zuir«vr|v) e comandava a tutti quanti, sostituendosi al capo della famiglia. Ateneo soggiunge che anche Ctesia nel secondo libro delle storie persiane fa menzione di quella festa (1). I testi di Beroso e

di Ctesia citati da Ateneo non ci furono serbati tra le reliquie che di quo' due possediamo. Ma preziosi particolari non ci mancano

in-torno alle Sacee. Ne parla Strabone e reca due racconti coi quali

se ne narrava l'origine. Il primo era che i Saci — un popolo del

quale diremo or ora — mentre celebravano una festa, dividendo il bottino di guerra, furono notte tempo assaliti e distrutti da generali

persiani che si trovavano nelle vicinanze. I vincitori innalzarono sullo stesso campo di hattaglia una costruzione a forma di collinetta rotonda e circondatala d'un muro, consacrarono il recinto alla dea Anaitide ('Avambo;) e agli iddii Ornano CQuavoO) e Anadato (

Ava-BÓTOU) associati a lei nel culto e dèmoni persiani , innalzarono un tempio e istituirono l'anniversario convegno festivo della Sacèa.

L'altro racconto dava merito dell'istituzione della festa a Ciro vinto da' Saci e poi loro vincitore per un arguto stratagemma. E fu questo:

dopo la battaglia perduta, Ciro bivaccò ne' suoi accampamenti ben

provvisti di cibarie e di vino e poi simulò una fuga , lasciandosi dietro le vettovaglie. Giunsero a Saci e si sparpagliarono pel campo abbandonato , gozzovigliando , cioncando e saltando sconciamente. Riecco intanto Ciro, che diede addosso a quella soldatesca ubbriaca e la tagliò a pezzi. In memoria del successo, che il vincitore at-tribuì a manifesta protezione divina, si dedicò per sempre quella

giornata alla dea che Ciro venerava secondo la patria usanza e la

si denominò Sacèa. Al tempo del geografo d'Amasea si celebrava

la festa a Zela, la cui cittadinanza era in massima parte com-posta di ieroduli (servi addetti al culto) e dovunque esistessero tempii consecrati alla dea venerata da Ciro (2). Il rito della

solen-nità ci è descritto da Strabone stesso e da Dione Crisostomo e

quest'ultimo ne parla come di festa persiana (TTIV TWV IOKKWV éoptfiv ììv TTepctai frroutfiv). Era un'orgia in tutte le regole : uomini e donne in vesti scitiche se la spassavano giorno e notte giuocando, bevendo e crapulando. Un prigioniero di guerra, dannato a morte era vestito

con abiti regali, messo a sedere su un trono, lasciato fare quel che volesse e godersi ogni diletto di cibi e di venere. II regno del

di-sgraziato aveva termine con la festa e in modo miserando, perchè

(1) ATHEK., Deipn., X I V , 4, 5. (2) STRAB., X I , vin, 45.

il re posticcio era battuto con verghe e poi impiccato (1). 11 I.enor-mant dunque è d'avviso che la Sacéa fosso una vecchia istituzione sacra de' Babilonesi, adottata da' Persiani al tempo degli Acheme-cidi (2).

Ma si noti che Beroso scriveva verso la Une dol III secolo av. C. più di due secoli e mezzo dopo la conquista di Babilonia per opera di Ciro, il quale aveva già prima debollati i Saci, onde è ammissi-bile la ipotesi che la festa menzionata dallo storico caldeo fosse piut-tosto introdotta nella Babilonia dal fondatore della dinastia ache- menide e mantenuta poscia da' suoi successori che tennero, salvo per le interruzioni, sino a Dario Codomanno. 11 noma della solennità non è semitico, ma eranico. I Persiani, a testimonianza di Erodoto, chia-mavano Zanai (t,'aka) gli Sciti in genere (3) e in antichi testi in-diani i Sakas figurano come gente valorosa e nemica degli Arii (4), che forse dovettero emigrare dalla regione montuosa dell'Airiana Vaeja e scendere nella valle dell'Indo e nell'Eran premuti da co-testi implacabili avversari (5) le cui note sedi più antiche furono appunto sui gioghi de' Monti Celesti, ad oriente del Sir Daria, l'an-tico lassarle, donde si distesero verso occidento fissandosi prima nel-l'attuale Piccola Bucaria e girando o traversando il Caspio, spinti e percossi alla loro volta dagli Arii, si allogarono in parto nelle re-gioni littoranee meridionali del Mar Nero ov'era quella Zela che Strabone, come s'è visto, ricorda a proposito delle Sacèe. Se fossero di razza aria o anaria non si potrebbe con sicurezza asserire. S'in-clina ordinariamente a identificarli con gli indo-sciti di Tolomeo e a reputarli tribù tartare o turaniche. Ma non mancano indizii che

(1) Dio Csitia., Op. cit., IV.

(2) LI*OR»AXT, Kstai

de Commentaire de» IrtujmentiI

cotmogoniques

de Hérote,

Pari». 1671, p. 168.

(8) HEH-, V Ì I . 6 4 : oi r ó p TTépooi TRAVIAI; TOÌK; InCiSa? KaXioum LÀ«®;. (4) Smj.àL, Eranvuhe Alterthumakunde, Leipi., 1871-8, T. I, 221 sgg.; II. 224 sgg.; 325 sgg. «E.; Mosi«» WILLIAUS. Dietim, cit-, TOC. Saka, p. 985; Ilowso», A class. Dici, cit., p. 273. Spiegel crede i Saka» gente tnranica; M. William» opina che probabilmente vadano identificati eoi Tartari o Sciti; Dowson li reputa Tatari o Turchi.

(5I MOMFR WILLIAM*, loc. cit. RAWUWK», The /ire great monarchie». Voi. IV, p. 370 colloca i Saci nel Turke»tan orientale e precisamente ne' distretti di Kasehgar e di Yarkand e inclina a crederli probabilmente Tatari o Turani. Egli pero si ri-ferisce ai tempi di Ciro. Eppure all'epoca di Dario troviamo i Saci nella ventesima provincia dell' Impero persiano al nord dell' Eran. Essi poi figurano nella leggenda anaca del conflitto tra Vasiahta e Visvamitra a servizio del primo contro il secondo.

indurrebbero ad ammettere un qualche rapporto d'affinità etnologica tra essi e gli Arii (1). Che poi la festa Sacèa fosse proprio istituita da Ciro non si pub troppo facilmente consentire, vuoi considerando il doppio racconto straboniano, vuoi pel vezzo che avevano i Per-siani d'attribuire al glorioso conquistatore le più importanti e ve-nerate istituzioni nazionali. Può darsi che la festa dell'agosto fosse già antica t r a gli Eranici e che l'eventuale sua coincidenza con la impresa di Ciro contro i Saci narrata da Ctesia (2) le procurasse il novello nome e un carattere ufficiale. Nè il nome della dea Anaiti fa il menomo contrasto a questa nostra congettura della genesi n<>n caldaica, ma ariaca della festa d'agosto, perchè il nome di questa dea trovasi già nello Zendavesta insieme con molti particolari sul culto che le si prestava da genti craniche e non eraniche, onde a ragione lo Spiegel lo considera come ab antico introdotto nel sistema prezoroastriano. E notisi che Strabone mette insieme le due divinità Anadatos e Anaitis col dio arioeranico Soma o Haoma riconoscibile nel suo Omanos e collsidera Anaitis come divinità della nazione cui apparteneva Ciro. Ora, è risaputo che il culto di Anaiti, affatto secon-dario e quasi dimenticato nella Mesopotamia prima e dopo la conquista degli Achemenidi sino al tempo di Artaserse II, fu da quest'ultimo restaurato e introdotto ufficialmente in Persia e nelle altre regioni del suo impero forse sotto l'influenza de' Magi della Media (3).

Stra-ti) Nel Codice di Manu, X, 44, i Saci tono qualificati Csciatrii pervertiti, cioè originariamente appartenenti all' ordine de' guerrieri e poi decaduti. Nella testé ri-cordata leggenda di Vasishta e Visvamitra i Saci nascono dal sudore della vacca di Vasishta per combattere il secondo, e ci» li ravvicinerebbe ai Bramani, giacché, come è noto, il primo di que' line avversari raffigura i Bramani e il secondo gli Csciatrii. La lotta tra Vaa. e Visv. è frequentemente menzionata nel Rie Veda el è brevemente ma chiaramente illustrata da HIHIER, Ind. Emp., 2* ediz p. 92 sgg.

(2) Cris. Cx., Op. rei. (Baehr), p. 95 sgg.

(3) Nello Zendaresta Anahiti è la grande dea delle acque od è chiamata Ardui-vnra Anahiti. HAKLEZ, Zendac., p. 173, raffi., LXIV e p. 200 sgg. Yehtt, V. LE-NOIUUHT, fissai cit., p. 155 sgg. Cfr. Snii.n., firmi. Ali.. T. Il, p. 63: « Anàhit» ist eine semitische Gottheit, aber teine erst spater dein Zarathustra schen Religion system hinzngefugte, sondern eine diesem System von allem Anfang angehorige » Accoglie dunque lo Sr. il parere del WISDISCH«AS* sulla genesi prezoroastrica del cult., d'Anaiti. « Fra le divinità eraniche, scrive il Pizzi (Della Epopea persiana, Torino, 1886, p. 27) ... Ardvl fura Anàhita, la dea delle acque, siccome simbolo della fecondità, era raffigurata con velo, manipolo di verbene in mano, orecchini e dia-dema; ..essa era divinità popolare e venuta forse agli Irani da gente straniera e però dissimile per natura dalle prime divinità iraniche astratte e poco intellegibili alla mente del volgo.

bone dunque riportò ai tempi di Ciro un culto la cui importanza e prevalenza è posteriore di più cbe un secolo all'epoca del fondatore della egemonia achemenida. Finalmente la celebrazione della Sacèa nel mese detto Abu nel calendario babilonese e considerato come

Nel documento Socialismo antico : indagini (pagine 141-159)