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Nella letteratura economica contemporanea le opinioni sono discordi. V'ha chi riduce la famosa leggenda a un fatto puramente

Nel documento Socialismo antico : indagini (pagine 32-60)

L'ideale socialistico e l'Età dell'oro

2. Nella letteratura economica contemporanea le opinioni sono discordi. V'ha chi riduce la famosa leggenda a un fatto puramente

didattico e dichiara che far la lezione al prossimo, ponendogli sotto gli occhi il quadro del buon tempo antico, è una mania vecchia

(1) STORI. Histoire du Communisme. Bruxelles, 1849, p. 4:59 sgg. È la «tonda edizione; la prima osci in novembre 1848.

(2) SIIRT-SIKO*, De la réorganisation de la società européenne (1814). Ved.

Oeuvre» de Saint-Simon et Enfantine, vol. XV, p. 274 üeg. Paris, 186«. Sudre citi«

l'epigrafe chi sta in fruote al volarne: Opinions littéraires, philosophiques et indu-

strielleÍ, Paris, 18-25, raccolta di articoli di Saint-Simon e di suoi discepoli, con una

introdoiione di L. HÍLÍVT, dalla quale è presa l'epigrafe.

come il mondo (1); e ohi 1« reputa una favola, una illusione dell., civiltà nascenti (2). Altri invece vi trova la testimonianza irrecusa-bile del regime primitivo della proprietà. « Una prova, scrive .1

Ile Laveleye, che la comunanza abbia esistito in Grecia o in Italia, »•ha nell'universale tradizione d'un'età dell'oro, io cui la proprietà privata era ignota. Ordinariamente non vi si scorge altro che una Unzione poetica, ma quando già i fatti incontestabili della storia eco-nomica dell'umanità ci fanno comprendere la necessità di cotesto regime, si è per forza condotti ad ammettere che i poeti antichi, qui come in altri casi, ritraggono un antico stato di civiltà di cui s era perpetuata la memoria ». E dopo aver citato versi di Virgilio,

di Tibullo e d'Ovidio, allusivi a quell'aurea età — « ecco oviden-dentemente, esclama, la tradizione popolare d'un epoca primitiva, anteriore alla costituzione della proprietà privata! » (3). Finalmente il Malon, collettivista, non solo interpreta la leggenda nella stessa

guisa del Laveleve, ma. con ermeneutica più radicale, vi raccoglie l'eco della protesta contro l'introduzione della proprietà privata del suolo, posseduto dapprima in comune. « Il ricordo dell'antico

spos-sessamento, cosi egli, fu serbato da tradizioni popolari antichissime, le quali, idealizzate da' poeti, divennero quella leggenda dell'età del-l'oro che si ritrova presso tutti gli antichi popoli, con delle varianti bensì, ma sempre rammentatrice di una eguaglianza primitiva, d'un gran bene perduto » (4).

3. Plagio o r e v o c a z i o n e che sia, parabola pedagogica o fanta-sticheria poetica, immagine d'un momento dell'evoluzione storica impressa nella memoria de' popoli, o termine auspicato di speranze palingenesiache, certo è che il mito, di cui qui è parola, ha deter-minazioni essenzialmente contraddittorie al sistema economico che s'impernia sul diritto individuale di proprietà della terra. Esso ci raffigura uno stato sociale in coi a' bisogni organici dell'uomo cor-risponde la pienezza delle soddisfazioni, conseguibili senza contrasti e perciò senza fatica in un perfetto reciproco adattamento spontaneo della natura all'uomo e dell'uomo alla natura. Com'è di tutte le

(1) Joia»»». Épargne et Capital. Aii-Paris, 1879, y 145. (2) VILLA»», Hixtoire du Preistoria!. Pari». 1882, V 2 0

(8) De Livtmt. De la Proprie* et de «s forma primitivej Pari», 1877 p. 151; Cfr. Ciiwto, Predi du Court d"Keo«. Poi. l'ari». 1879, p. 120.

leggende, anche questa si piega a svariate esigenze della psicologia sociale, s acconcia con sistemi diversi e con disparati costumi, si mostra sotto latitudini discoste, si manifesta nella storia letterària di nazioni ed epoche differenti. Come tutte le leggende, è umile ed alta; umile per ciò che riesce di facile comprensione a'cervelli più grossolani ; alta per chi non stia contento alla sua figura esterna, ma voglia indagarne la forma interiore. F a sorridere e fa pensare! accheta e tormente; è, ad un tempo, enimma e soluzione.

Una dottrina predica che la stirpe umana degenerò e venne via via peggiorando e peggiorando invecchia; ebbene l'età dell'oro ne irradiò i primi passi nell'altezza della quale ogni speranza è persa, e la dottrina della degenerazione l'accetta come domina o come

sim-bolo. Un'altra dottrina insegna che da umili cominciamenti la specie nostra grado a grado s'innalzò sino alle cime della civiltà e del sa-pere ; bene stà, l'età dell'oro splenderà il giorno in cui la ragione

della più eletta delle razze umane, attuando a rigore la teorica an-tropocentrica, sarà giunta a dominare le forze cosmiche senza re-strizione alcuua e ad imperare, unica legge, nelle sociali aggrega-zioni. Ed ecco il simbolo diventare allegoria, il domina vaticinio e

la dottrina della perfettibilità se ne giova. Intendiamo la felicità come abbondanza d'ogni bene e appagamento d'ogni desiderio? La tradizione ariaca ci dipinge il eara zendico, e quella semitica il giar-dino di Eden. 0 piuttosto reputiamo felicissimo il tenore di vita in che s'abbisogna di poco, ma non se n'ha mai difetto? E Dante ci dice.

Lo «col primo q clan t'oro fu bello, Fe' savorose con fame le ghiande

E nettare con sete ogni ruscello (1).

È stato detto che la questione sociale è una questione di stomaco

— eine Magertfrage —. La nostra leggenda ne dà la più compiuta e decisiva soluzione, la elimina. Perciò non v'ha scuola socialista

che non potrebbe scriverla come segnacolo nel proprio vessillo. I Socialisti cristiani, cattolici e protestanti, hanno il testo della Genesi

rispetto al passato e i versetti d'Isaia o l'esegesi di Papia (2) per

l'avvenire. Pe'Socialisti filantropi essa rappresenta l'ideale da

rag-giungere: fratellanza e comunanza. I collettivisti d'ogni gradazione

(1) Purg., C. XXII.

(2) Gene*., II, 4 Sgg.; Iiiii, c. XI, 1-10, Pam«, Fragm. e quinque ìibr. de exp.

vi trovano fermato ¡1 cardine del loro programma : abolizione della proprietà fondiaria privata.

Non è proprio la leggenda del Socialismo?

4 . Va dunque studiata non solo, com'è stato fatto e si continua a fare, dal punto di vista letterario, o etico, o mitologico, ma da quello economico altresì, la cui importanza cresce se col Laveleye e col Malon si attribuisca alla leggenda dell'età dell'oro il significato d'un ricordo del primitivo regime della proprietà terriera e d'un grido di dolore del proletariato. L'aspetto di essa, ovunque appaia nella evoluzione psicologica de' popoli, è iu aperto contrasto con l'or-dine sociale esistente, massime in ciò che conoerne il regime econo-mico; la sua indole letteraria è critica in sommo grado. Ora, come tutti sanno, nella critica i Socialisti eccellono più che nell'arte.

Per la Scolastica economica tutto il Socialismo non è altro che una sequela di utopie, ed ecco la più antica e splendida delle utopie. Ma e le utopie stesse non hanno una intrinseca razionalità, essendo uu prodotto dello spirito determinato a foggiarle dall'ambiente in cui si ritrova? E non è notevole fenomeno questo d'una raffigurazione

mitica dell'età prima e della primordiale vita economica cosi diffusa

e « comune a tutte le genti della gran famiglia ariana, a tutte le

genti della gran famielia semitica»? (1) Che se piaccia dar nome di eresie economiche agli schemi del Socialismo, ecco nella leggenda

la formola ideale di co test e eresie, ma le eresie hanno sempre la

loro ragion d'essere, e in economia e in religione.

Del resto, l'avviamento degli studi scientifici moderni, in qualsiasi campo lavori l'intelletto alla ricerea del vero, esige che nulla si trascuri nella osservazione minuta e diligente de' fenomeni che si esaminano e delle circostanze nelle quali avviene la loro comparsa; perciò, come nulla di quanto è umano è all'uomo estraneo, cosi da

niuna indagine che possa gettar luce sulla vita economica

dell'uma-nità deve tenersi alien« l'economista, e da tutto quanto valga

al-l'uopo dee trarre partito per adempiere il campito suo nella miglior

guisa che gli sia possibile.

5 . Intanto si noti come parallela alla tradizione dell'età dell'oro

e talvolta combinata e amalgamata con essa, appaia, nella

lettera-tura di taluni popoli, l'altra, tanto diversa, della originaria

selva-tichezza degli uomini. All'aurea schiatta cantata da Esiodo fa vivo

(1) GEI», La leggenda del Paradiso Terrestre. Torlnu, 1878, p. 8. Cfr. Va» Gol dene Zntalter («DUO.). Beri . 1879, p. 1.

contrasto il quadro che deU'umanità primigenia troviamo nel Pro-meteo d> Eschilo (1); e col fortunato regno saturnio celebrato da

Virgilio nulla hanno di comune gli uomini primitivi descritti da Lu-cie»,o (2). Il contemperamento delle due tradizioni, quando o c c r r - , o è mitico, come n<dla Gene»., 0 etico come nella Georgica o affatto meccanico come nella sesta Satira di Giovenale, ove il quadro del saturnio regno, albergo della Pudicizia e della Giustizia, è dipinto con tratti schiettamente realistici:

Fredda spelonca ne' recessi angusti foco, Lare, padron, greggia in comune ombra chiudeva e la montana spo» il selvatico talamo con strame e Grondi e pelli ili vicine fiere preparava . . . .

E a' bamboccioni le turgide poppe porgea, più orrenda sfevn del marito ruttante il leitzo dell'ingesta ghianda (3).

E questo è il quadro che l'Antropologia dimostra vero. Ma l'altro è tutto finzione? E come lo si colorò dapprima e dove? In che modo rendersi conto della sua presenza nell'arte poetica di tanti popoli? Ancora : se è vero che la memoria della realtà impedisca la forma-zione de' miti, o come mai nelle letterature della Grecia e del Lazio troviamo quello dell'età dell'oro insieme alle reminiscenze del reale stato primitivo dell'umanità?

L'asserzione del Laveleye, certo, alletta, ma sfornita, com'è, di prove, rimane esposta a facili dinieghi; ora, nella scienza, non al-trimenti che innanzi a'tribunali, il carico della prova l'ha chi af- ferma.

6. E le cose da provare sono parecchie: il rapporto tra la leg-genda e il regime comunistico della proprietà territoriale, l'esistenza di questo regime presso i popoli tra i quali si formò e perpetuò la leggenda, la sostituzione d'un regime diverso in circostanze tali da mantenere viva la memoria e il desiderio dell'antico assetto nelle plebi, la popolarità del sistema di comunione di fronte a quello della proprietà privata. Bisogna dunque sottoporre il mito ad una

disa-(1) Vera. 447-458. (2) De rer. no«.. Lib. V.

(3) Il medesimo poeta riparla dell'età dell'oro nella Sat. XIII, 38 sgg. in si rattamente eti<x> e alquanto umoristico.

mina diligente e aliena da qualsiasi idea preconcetta, considerarlo dapprima nella sua forma più recente e da questa via risalire allo più vecchie, accertarne per mezzo di accurate comparazioni il tipo primordiale, vedere se e dove essa si prosenti con fattezze originali od esotiche, come spontaneo prodotto della coscienza popolare o come tradizione accolta e naturalizzata, ovvero anche come un elemento eterogeneo, non amalgamato con gli altri elementi del ciclo leggen-dario indìgeno. E si vuole eziandio vedere se da una fonte sola essa scaturì o da diverse e in una sola forma primitiva o in parecchie, se nella forma più recente e complessa serbi tutte le originarie de-terminazioni o alcune soltanto, e quali variazioni subì trasferendosi da paese a paese e trasmutandosi nella successione dei tempi.

Escludiamo, s'intende, i casi di pura e semplice esercitazione let-teraria. Le descrizioni dell'età dell'oro che si leggono neU'Armala del Tasso, nel PcutorJido del Guarini, nel Don Chisciotte ilei Cer-vantes, nella Silca moral di Lopo de Vega, nell'Ideale e nelle Quattro età del mondo di Schiller e nel Tasso di Goethe (1) non entrano nel circolo de' documenti acconci a sussidiare l'indagine critica di cui qui è parola. Lo stesso va detto riguardo a qualche poeta latino della decadenza (2) e ad alcuni umanisti del Risorgi-mento (3).

(1) 1 tosti relativi. meno quello del C i i i u « ™ [Ilo» (¿uij<Ar, I'r. P.. Cip. XI) -ino iati nel CIL Dos Gold. '¿ài., p. 21 IR.

(2) CLAUDI«., In Rupn.. I, 8B8; Borr., De foni, phil, Metr. V.

(3) IOT. POST., l'ran. D ; IN., i n . con.. II, EL. IV. SIMUN., De p. Virti., v. 200 ig. ecc.

C A P I T O L O I I .

E sposi3 ione geografica della leggenda.

1. K«f»iurm/I«m l i t i » dolt'utoro dairflríiiow, di l i n n , doU'utor» doll'Artai, di Ondú,,

di Tiboll« « di Virgilio. — 'J. Kapodiiooo combinato di quoat», rafllgvrvxioai - a La loigrod» »111 '(«.rjv-a« aell'gaatfa — «. K>ni(ai»iioni olinaicbr di Arilo. Diraoreo

Platon-, Eup-.ll. Fomrimto. Tcloclido, Cnlwo, Eni|iod«cl» od Esodo. - 5. ComtidorAiioni wfolleho ••UH rottali raiiotit olleaicho. — «. EUfBgoruioai iaduae nel loÁabarabi v

noi Jfmooo ltkarma Sastra. — 7. lufBffimrioRe crani» nullo Zndmib* — 8. K*f-Affuraiioa. ebraica Hi Libro dolio Goaoi. - ». kAffiguritiooe eia»« noi Num Un A*tivi. - 10. UofBfnmtioao egiziana: gli Haniheni. - 11. KafflgaraiioQi amorirane lo

fon» di Tallan, la l'aril-Cavala, la Canni» dol monte Naraju-, l'Eni dal tirando Pr-edio. — 12. Oaaaiflcaiione.

1. Cominciamo dalla forma meno antica, quella che essa prese nella letteratura classica latina. I poeti latini che fanno allusione all'età dell'oro sono parecchi, ma quelli che ce ne dànno raffigura-zioni più o meno belle sommano a sei e vissero tra il secolo pre-cedente all'èra volgare e il secondo o il quarto di questa. Il dubbio dell'ultima data nasce da ciò che l'autore d'una tragedia, l'Chiaria, sulla quale molto hanno discusso i critici, è dal Teuffel messo per l'appunto tra cotesti due secoli (1). E quest'ignoto drammaturgo è,

tra i sei, il più recente. Il personaggio che nel!'Octavia descrive l'età dell'oro (2) è il celebre e disgraziato precettar di Nerone, Se-neca, il quale, alla sua volta, aveva posta la leggenda sulle labbra de'protagonisti di due sue tragedie: la Medea e V Hippolytus (3).

Un contemporaneo e probabilmente amico del filosofo cordovano, la introdusse nel preambolo d'un poemetto intitolato Aetna, ov'è esposta la teorica de' vulcani secondo la fisica di que' tempi (4). Dal cantore dell'Etna si risale a'poeti dell'era augustea: Ovidio, Tibullo, Virgilio. Il sulmonese ci ha lasciato tre descrizioni dell'età felice : la prima nel libro degli Amori, le altre nelle Metamorfosi ( 5 ) ; Tibullo una

(1) TUEMU., Geschiehte der romwchen Liter. Leipx., 1870, p. 572.

(2) A principio del second'atto. V è detto che all'età aurea seguirono tre altre nelle quali l'umanità andò sempre di male in peggio.

(3) Medea, vers. 329 334, Hippolytus, VT. 525-539.

(4) Secondo il WERNDORP, seguito dal BACHK e dal TCOML, l'autore deU.Irfjia è Lucilio Iuniore. Veti, ne! poema i vere! 9-16.

nella terza elegia del pruno libro ( 1 ) ; Virgilio due: nella Georgica

e nell'Eneide (2).

Ora, riprodurre qui i versi di tutti costoro non servo al proposito nostro, che è lo studio oggettivo della leggenda. Va l'atta però una

eccezione a lavora di Virgilio e per più motivi : innanzi a lui niun

altro poeta latino, che si sappia, verseggiò il mito dell'aurea età

pri-mitiva, già comparso nella poesia ellenica ; ancora, alla

rappresen-tazione virgiliana, com'è nella Ueorgica, si riconnettono, ne' punti

essenziali, quelle de' poeti posteriori ; infine nell'Eneide la leggenda appare ira le prische tradizioni del Lazio con carattere non più

mi-tico, ina per così dire storico e indigeno. Laonde ci atteniamo a

questo partito che ci par buono : ricostituire la leggenda con gli elementi adoperati nelle loro descrizioni da' cinque poeti posteriori a Virgilio, additaudo via via chi ce li fornisce; e a questo processo di ricomposizione far seguire la doppia esposizione virgiliana.

2. Vi fu dunque un'età dell' oro ( 3 ) , antica (4), primitiva (5), nella quale gli uomini vivevano mescolali agli dei (6), Regnava allora nel novello cielo (7) il vecchio Saturno (8) e imperavano con lui la vergine Giustizia e la Fede (9). Gli uomini spontanea-mente, non per forza di leggi o precetto di governanti, professavano il culto della rettitudine e dell'onoratezza ; non pene, non paura, non parole di minaccia scolpite in tavole di bronzo, nè gente sup-plichevole che aspettasse, temendo, la sentenza del giudice; senza giudice alcuno tutti erano sicuri e tranquilli (10) e lungi dall'umana fa-miglia sfavasene la frode(11). Non cieca brama d'oro negli animi (12); la profonda terra celava nelle tenebre ogni strumento di lucro, niuno ammassava metalli : oro, argento, ferro, bronzo giacevano nelle in-tatte miniere (13). Non si vedevano nella campagna pietre sacre se-gnanti i confini (14), non erano ancora misurati i terreni (15), nè calpestati da'piedi di buoi aggiogati o di domati cavalli (10). A'pii suoi figli la terra porgeva da sè il fecondo seno, le zolle produce-vano frutti in gran copia senz'uopo d'aratura, di semina, di

sar-(L) TUL, I , M , 35-50.

vil Vs«e.. Oto.. I, 125-128; Amad.. VIH, 314-327.

( ! . Ovio., Meta»., 1. Anuo., ACIH. — (4) Ovi»., MRTUM , XV. — (5) OVIII., V/RTOM., I ; Sur., Ifrpp — (6) SÍ».. Mpp. — (7) An., (Aliar. — (8) SRA.. Htpy

(9) An., Ociar. — (10) 0»ID., lltlam . 1. — (11) SÍ*.. Med. — (12) SÍ«., títpp (13, Orí»., Amor. — (14) S o . , II,pp.; OVID., Amor.; TIHLL. — (15) OYM, , Amor. Metam.. I. — (16) SE»., Hipp.; TIICLL.

chiatura (1). Lo selve fornivano legna (2), raccoglievasi nel cavo della quercia il miele (3). Non cibo di carni s' usava, ma di vege-tali soltanto; perciò non s'imbrattavano di sangue le labbra, svo-lazzavano per l'aria sicuri gli uccelli, la lepre scorrazzava impavida po' campi, non pendeva dall' amo il credulo pesce (4), pecore e capre portavano attorno tranquille le ricolme mammelle (5). Non biancheggiava per mature spighe il suolo, ma, contenti a ciò che senza sforzi ottenevano, i mortali raccattavano le ghiande cadute dalle querce ombrose, coglievano fragole montanine, carrube e more aderenti a' roveti (6). Senza lunghe vie che la solcassero, era a tutti aperta ogni plaga (7); le dimore degli uomini non erano cinte da muraglie e da fossi, non chiusi da usci i ricoveri alpestri (8). Ignoravasi l'uso dell'armi, le genti vivevano sicurissime, in molle ozio, senza eserciti (9). Niuno andava più in là del proprio lido; non ancora lo scavato pino era sceso giù dal mente ne' liquidi piani per movere ad estranee contrade, niuna vela gonfiavano i venti, nè avventurosi marini recavano merci straniere (10). II vecchierello altro tesoro non aveva che la roba fornitagli dal patrio sito (11). Era una perpetua primavera : i placidi zeffiri accarezzavano con tepide au-rette i fiori nati senza semente, stillava da' roveri il biondo miele, largiva chicchi la terra, scorrevano fiumi di latte e di nettare (12), d'ogni cosa era comune a tutti l'uso (13).

3 . Tale la leggenda nella letteratura posteriore a Virgilio. E tutta presso che un'amplificazione de' pochi versi della Georgica ne'quali il poeta mantovano l'aveva espressa:

Pria di Giove non v'erano coloni a dissodar le terre; era nefando spartir con siepi o con segnali i campi; s'arca tutto in comune e il suolo stesso, cui nulla si cbiedea, più volentieri dava ogni cosa (14).

(1) An., Oclav ; S*» , Hipp.; An., Aeln.; OVID., Amor., Meta*i, I. (2) 8E»., Hipp. — (8) TiatLL. — (4) OVID., Melam., XV. — (S) TIMIX. (6) ORIN., Melam., I. — (7) An., Octav.; TIBCLL. — (8) TIBOU.. — (9) An., Ocla R.; San., Hipp.; OVID., Mei., I; TI «cu. — (10) SE»., Meri, Hipp.; OVID,

Amor.. Mei., I. — (li) SE».. Med. — (12) An„ Attn.; OVID., Mei.. I.

(18) OVID., Mei., I; An.. Oclav.

(14)(?eo.,I, 125-128: Ante lorem nulli subigebant arva coloni; ne signare quidem aut partiri limite campum fas erat: in medium quaerebant, ipsaque tellus omnia liberius, nullu pascente, ferebat.

Qui Virgilio non ilice chi regnasse prima ili (ìiove, ma in un verso della celebre ecloga genetliaca aveva già menzionato insieme il regno saturnio e la vergine (1); Saturno, dunque, re e sua socia la ver-gine Astrea, ossia la Giustizia, come dicono Seneca e l'autor

del-VOctavia. In quanto poi alle indicazioni sul genere di vita di quel

tempo felice, Virgilio le annovera implicitamente descrivendo l'età di Giove che fu il rovescio di quella di Saturno, essendosi mutato affatto l'aspetto della natura e l'ordinamento economico della società per volontà del novello signore. Il quale dispose che non fosse fa-cile la via de' mortali nel procacciamento de' beni, nft in ozii fiacchi poltrissero i suoi sudditi. Il veleno delle serpi, la rapacia de' lupi, le tempeste del mare, la scomparsa delle foglie melliflue, la sottra-zione del fuoco, l'inaridimento de' fiumi di vino, la navigasottra-zione, la caccia, la pesca, la lavorazione del ferro furono gli effetti del mu-tamento. A' dilettosi ozii saturnii segui l'arduo lavoro che tutto vinse (2). Questa esposizione virgiliana è, come si vede, del tutto indipendente da qualsiasi determinazione geografica o etnica ; l'in-dole sua è mitologica nel senso più largo della parola.

Se non che nella Georgica stessa s'hanno indizii che la connet-tono a vetuste memorie italiche. La gran madre Italia è la « terra saturnia » feconda di biade e d'uomini. Celebrando le delizie della vita campestre, il poeta ricorda che cosi vissero gli antichi Sabini, cosi Remo e il fratello ; vivendola crebbe la forte Etruria, e Roma impareggiabile cerchiò d'un sol muro sette castella. Prima che Giove regnasse e le genti crudeli banchettassero con carni d'uccisi gio-venchi, questa vita menava sulla terra l'aureo Saturno (3). Ora quella singolare denominazione dell'Italia non fa già sospettare la sede del leggendario regno di Saturno? E la menzione de'Sabini, de' prischi Romani, degli Etruschi, dediti, come i sudditi dell'aureo monarca, all'agricoltura, non mostra una qualche attinenza tra la leggenda e questi popoli?

Ed eccola ricomparire nell'Eneide con carattere compiutamente nazionale. Ne' « campi saturnii » cioè nel Lazio, il vecchio re Evandro

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