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Anche tra i pochi (dodici, tredici su milleduecento) professori universitari che nel ’31 rifiutarono di firmare fedeltà al regime 39 al-

cuni furono legati ad Albertini e alla sua famiglia: dai giuristi

Alvaro rilevava le contraddizioni tra gli aspetti imprenditoriali, ben noti, che l’avevano indotto a rappresentare la mentalità conservatrice della «borghesia interrorita», e la recente presa di posizione politica, questa invece inattesa per molti e rivelativa di una personalità più complessa e interessante di quanto la gestione apparentemente solo tecnica del giornale facesse supporre. Una «ri- scossa della vecchia anima italiana», risorgimentale, risvegliata dallo sdegno morale. Si veda su questa «medaglia», a lungo clandestina, l’introduzione di Piero Treves alla riedizione (Alvaro 1977, 9-34). Per l’antifascismo liberale di Alvaro (che subì anch’egli il fascino di Gramsci e Gobetti, incontrandoli al tempo della sua collaborazione al «Mondo» di Amendola) e per la ricostru- zione della sua vicenda intera, cfr. Misefari 1981.

37 All’avvento del fascismo accreditato dal re, Cecchi scrisse alla moglie Leonetta: «La nostra generazione è stata schiacciata; e non potremo più ripro- metterci un poco di pace lavorativa, di serenità, di vita superiore. Tutto quello che faremo, l’avremo fatto a dispetto di un ambiente nemico, dove non contano che gli uomini peggiori […] Ci vuol pazienza. O esser vigliacchi e cretini; o sognare di scappare: io torno sempre lì. E non ci riescirà nemmeno di scap- pare» (13 luglio 1923; Cecchi 1997, LI).

Sul suo antifascismo scesero comunque delle ombre, di cui è testimone an- che Elena nei diari; ricordiamo solo che fu il critico letterario del «Corriere» fascista dal ’27, impiegato anche come corrispondente (nel ’37 fu inviato in Li- bia per documentare una visita ufficiale di Mussolini alla colonia italiana), e che divenne Accademico d’Italia nel 1940.

38 Da Croce 1948a, 11. Negli anni successivi allo scioglimento del partito li- berale di cui aveva fatto parte autorevolmente con Einaudi e Ruffini, Croce era scomparso dalla scena politica. Nel ’26, dopo l’attentato a Mussolini, aveva subito un attacco squadristico notturno in casa sua, rivelatosi opera di un nipote dell’amico Riccardo Carafa; «Poi la Prefettura e il Governo capirono che Croce è una forza morale pericolosa» (Albertini 1945, 239).

Francesco

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e Edoardo Ruffini,

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al cattolico modernista Ernesto

Buonaiuti,

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a Lionello Venturi

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e a Giuseppe Antonio Borgese.

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40 Le famiglie Ruffini e Giacosa-Albertini erano imparentate: una figlia di Giuseppe Giacosa, Bianca, aveva sposato un fratello di Francesco Ruffini, Al- fredo; della confidenza tra Luigi e Francesco, anche su temi cruciali della vita politica italiana, dà prova l’epistolario di Albertini (cfr. Isnenghi 2005, 22-23). Albertini fu accusato nel ’16 di aver pilotato l’attribuzione del ministero dell’Istruzione nel governo Boselli a Francesco Ruffini: «I giornali sudici («Mattino», «Italia», «Concordia», ecc.) mi attaccano per la nomina di Ruffini che attribuiscono a me; nei corridoi di Montecitorio v’ha chi dice che ho voluto Ruffini per silurare Torre; altri che porto Torre per sbarazzarmene e diminuire l’indennità che gli compete. Canaglie!» (Albertini 2000, 226; sudici intende, naturalmente, ‘del Sud’, secondo l’uso del tempo).

Francesco Ruffini, cavouriano e mazziniano, senatore e ministro dell’Istru- zione, tra i fondatori del Partito liberale italiano nel ’22, fu strenuo difensore della legalità e delle libertà costituzionali, in particolare quelle religiose (con la competenza dell’ecclesiasticista); l’ampiezza storica e geografica della sua vi- suale emerge nel suo libro più noto all’estero, Ruffini 1901. Nella Facoltà di Giurisprudenza di Torino ebbe allievi che conservarono la memoria del suo magistero e della sua dirittura morale, come Jemolo e Garrone (cfr. Galante Garrone 1984), e che compresero quanto gli fosse costato lasciare l’insegnamento. Collaborò col «Corriere» dal 1913. Il suo ruolo sembra esser stato determinante nell’apertura di Albertini del ’24 ad un fronte antifascista trasversale e nell’avvicinamento a Gobetti, di cui Ruffini era stato docente all’Università e poi amico, fino ad affidargli per l’edizione il suo Diritti di li-

bertà (1926); nonostante la giovane età di Gobetti, coetaneo di Edoardo Ruf-

fini, Francesco Ruffini gli riconosceva qualità di maestro e questo va ricordato quando si consideri il prestigio di cui godette sempre Gobetti nel clan di Alber- tini. Un profilo dei Ruffini, padre e figlio, oltre che nel ricordo di Galante Gar- rone, si trova in Goetz 2000, 97ss., e in Boatti 2001, 176ss., il secondo dei quali si serve dei diari di Elena (DT, PS,), essendo la storia dei Ruffini stretta- mente legata a quella degli Albertini; e cfr. Margiotta Broglio in Ruffini 1992, Margiotta Broglio 1995, 251-257, e Margiotta Broglio 2011.

41 Figlio di Francesco, come il padre fu giurista (docente di Storia del diritto italiano) e sostenitore della dialettica parlamentare; divenne amico di alcuni al- lievi del padre (Gobetti, Galante Garrone). Nei diari della Carandini Edoardo è familiarmente chiamato «Dado»; fu per Elena il parente e l’amico più caro (la familiarità risaliva all’infanzia) e il più difficile (finirà la vita suicida, insieme alla moglie, nella casa natale di Borgofranco d’Ivrea). Coprì il ruolo di addetto dell’Istituto di cultura italiano a Londra durante il periodo di permanenza dei Carandini, riprendendo la docenza universitaria al rientro in Italia. Cfr. Ruffini 1983; Galante Garrone 1984, 29-32; Galante Garrone, Passerin d’Entrèves 1983, 265-270. Fu il più giovane tra coloro che non giurarono, ma, schivo com’era, temette la notorietà che gliene sarebbe venuta («ho un’invincibile ri- pugnanza per il bel gesto!», scrisse alla cugina Nina Ruffini; in Boatti 2001, 6).

42 Su cui si veda il profilo che ne dà Boatti 2001, 217ss. Rappresentò, non senza ambiguità di comportamenti, un modernismo radicale, diverso nei toni da quello «milanese» dei Casati e dei Gallarati Scotti, attirandosi gli strali di «Ci- viltà Cattolica» e più tardi la scomunica, che gli costò anche la perdita dell’insegnamento, già prima che il rifiuto di giurare fedeltà al regime glielo