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3.1 Discorso di Entello

3.1.1 La domanda ellittica Quid si ?

L'intervento di Entello si apre con la domanda ellittica quid si quis caestus ipsius et Herculis arma/ uidisset tristemque hoc ipso in litore pugnam? La proposizione interrogativa diretta, che costituisce anche l'apodosi del periodo ipotetico dell'irrealtà nel passato, manca infatti del verbo, che potrebbe essere dixisset o putavisset o evenisset. Virgilio ha evitato la forma completa che la lingua intellettuale e classica avrebbe previsto, come per es. in Cic. Fam. 7.12.1 Quid tu fecisses si te Tarentum et non Samarobrivam misissem?, e ha alleggerito e vivacizzato il ritmo attraverso l'ellissi del verbo reggente. Non si tratta della già vista aposiopesi, né di una brachilogia affettiva3, per cui il parlante, in preda agli

stati d'animo dominanti, si esprime o meglio si sfoga, accennando ai punti culminanti e tralasciando ciò che non è sentito importante4, come nella sdegnata

domanda brachilogica tun id mihi?! in Plaut. Pseud. 938. Non si tratta nemmeno di una formula cristallizzata del tipo quid?5 per attirare l'attenzione e introdurre la

domanda vera e propria, come in Ter. Andr. 575 [Ch.] sed quid ais? [Si.] quid? [Ch.] qui scis eos nunc discordare inter se?. Si tratta quindi di una ellissi di risparmio6, così come viene definita da Hofmann, Ricottilli7 e che Ricottilli ha

3 Per brachilogia affettiva cf. Hofmann, Ricottilli 2003, pp. 160-64 § 51-52; per la

differenza tra aposiopesi e brachilogia affettiva cf. supra n. 282 p. 99.

4 Cf. Bally 1951³ § 262, 269 e 98 ss.

5 cf Hofmann, Ricottilli 2003, pp. 156-58 § 48 per es. Plaut. Pseud. 615-19 [H.] Quid illic

secum solus loquitur? [P.] Quid ais tu, adulescens? [H.] Quid est?/[Ps.] Esne tu an non es ab illo milite Macedonio,/ servos eius qui hinc a nobis est mercatus mulierem,/ qui argenti ero meo lenoni quindecim dederat minas,/ quinque debet?.

6 Nel discorso di Entello vi è anche un altro tipo di ellissi, meno rilevante di quello

contenuto al v. 410. Tale ellissi è quella del verbo esse dopo suetus al v. 414. L'ellissi del verbo essere alla 1 p. è più rara rispetto a quella alla 3 p. Anche Williams 1961, p. 124 ne nota la rarità. Es. affini anche in Aen. 1.558 nos advecti; 2.25 nos rati, 651 nos effusi e 792 conatus; 7.300 ausa. Il fenomeno è simile all'ellissi del verbo esse alla 2 p., di cui vd. supra pp. 96-97.

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riconosciuto come tratto distintivo dello stile informale, nella definizione di De Mauro. Tale ellissi è il risultato della tendenza dell'emittente a compiere il minimo sforzo per raggiungere l'obiettivo di comunicare8. Questa "economia" porta a

trascurare lievemente la forma, in questo caso, tralasciando il verbo, che verrà ricostruito dal destinatario sulla base del contesto, del bagaglio di informazioni condivise, dell'intonazione, della mimica e della prossemica. Questo atteggiamento si registra solo in presenza di un contesto informale e di un rapporto confidenziale tra i parlanti che sono vicendevolmente complici nella comunicazione. Tra i vari risparmi quello realizzato maggiormente dalla lingua d'uso è quello del verbo, come in Plaut. Curc. 303 heus, Curculio, te volo (sc. colloqui) o Ter. Andr. 29 paucis te volo (sc. dicere). Proprio tra questi si inserisce anche l'esempio di Entello, che acquisisce così maggior leggerezza, velocità e verosimiglianza.

Nel discorso vivo l'apodosi interrogativa spesso doveva contenere dei verbi ricorrenti, come quelli dicendi o putandi o eveniendi o faciendi, mentre la protasi poteva sbizzarrirsi in un vastissimo ventaglio di possibilità. Questa fissità nell'apodosi sembra aver permesso un risparmio sempre più frequente del verbo reggente, facilmente intuibile, fino ad arrivare ad una certa meccanizzazione9.

Chiaramente con Virgilio non assistiamo a tale irrigidimento, ma dalla visione globale del fenomeno si ha la conferma che il poeta si è inserito nel «mainstream» della lingua d'uso, richiamandosi a una tendenza tipica dello stile informale. All'interno dell'Eneide10 il poeta ricorre in una sola11 altra occasione a questo tipo

di ellissi:

et Iuno adlacrimans: 'quid si, quae uoce grauaris, mente dares atque haec Turno rata uita maneret? nunc manet insontem grauis exitus, aut ego ueri uana feror. quod ut o potius formidine falsa

ludar, et in melius tua, qui potes, orsa reflectas!' (Aen. 10.628-32)

La domanda ellittica non poteva non prevedere un dialogo, e si noti che si tratta di uno scambio verbale tra due personaggi molto intimi tra di loro, Giunone e Giove, per cui lo stile informale può essere usato dall'emittente. L'emotività forte di Giunone è evidente dal contesto, ma esplicitata e resa ancora più tangibile dal

8 Bally 1951³, pp. 280 ss.

9 Hofmann, Ricottilli 2003, pp. 191-92, 366 § 66: quid si diventa «una pura formula di

transizione ed equivale a un "inoltre"».

10 Nella produzione non epica Virgilio ricorre a tale ellissi solo in Verg. Ecl. 5.9 Quid, si

idem certet Phoebum superare canendo?, giudicata «tipica del registro colloquiale» anche da Cucchiarelli in Cucchiarelli, Traina 2012, p. 287 e da Coleman 1977, p. 156.

11 In Verg. Aen. 11.705-706 incipit haec: 'quid [est] tam egregium, si femina forti/ fidis

equo? dimitte fugam et te comminus aequo è vero che c'è l'ellissi del verbo reggente, ma questo si inserisce più nel fenomeno più consueto dell'ellissi del verbo essere, che non dell'ellissi del verbum dicendi, putandi o evenendi che abbiamo descritto supra e a cui appartiene l'esempio di Entello.

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participio adlacrimans12, che rappresenta gestualmente e visivamente il suo stato

di disperazione. La regina degli dei sa, infatti, di non poter salvare il suo amato eroe Turno. L'ellissi riguarda il verbo reggente eveniret, che costituisce l'apodosi del periodo ipotetico dell'irrealtà nel presente. Anche in questo caso, il destinatario (e poi anche il lettore), ricostruisce senza fatica il pseudo-fisso verbo mancante e il dialogo guadagna in vivacità e tono colloquiale. Harrison commenta che «the colloquial quid si occurs in high poetry first in the Augustan period»13 e

probabilmente, dai dati in nostro possesso, per mano di Virgilio. Come anche nell'intervento di Entello, tale ellissi informale viene subito controbilanciata da una sintassi non scontata con l'anticipazione della relativa quae uoce grauaris. La lingua intellettuale, che tende a esplicitare tutti i nessi e le parole, avrebbe avuto la forma completa della domanda, come in Aen. 12.40-42 quid consanguinei Rutuli, quid cetera dicet/ Italia, ad mortem si te (fors dicta refutet!)/ prodiderim, natam et conubia nostra petentem?. Ci si potrebbe aspettare, come già avvenuto per gli altri fenomeni colloquiali, che la variante informale sia quella numericamente più rara rispetto alla consueta forma completa, invece per l'ellissi del verbo nelle apodosi interrogative introdotte dal quid è il contrario. La forma completa tipica dell'«Intellektualsatz» formale si trova solo nel discorso del re Latino al suo mancato cognato e primo eroe. Nonostante l'affetto di Latino per il Rutulo sia evidente dalla premura e dalla delicatezza, anche linguistiche14, tuttavia

il contesto pubblico del consiglio rimane formale e l'emittente parla da re e non come un amico confidente o un suocero farebbe in privato.

Questa distinzione è importante, perché, nei tre casi eneadici in cui Virgilio ha dovuto ricorrere al costrutto quid ...,si ...?, egli ha usato la forma completa in un contesto formale, mentre è ricorso alla forma ellittica tipica dello stile informale in contesti informali.

La conferma di tutto ciò si ha anche nella produzione precedente e contemporanea a Virgilio. Tale risparmio è assente dalla prosa formale e letteraria15, mentre si

12 Secondo Harrison 1991, p. 225 il verbo adlacrimare si trova nel latino classico solo qui

e in Apul. Met. 10.27 ed è probabile che sia stato un conio virgiliano.

13 Harrison 1991, p. 225, che rimanda a OLD s.v. quis 13 a.

14 Verg. Aen. 12.25-26 Sine me haec haut mollia fatu/ sublatis aperire dolis, simul hoc

animo hauri.

15 Niente in Cesare, una sola volta in Catone in un frammento dell'orazione Contra

Tiberium exulem, fr. 202 quid si vadimonium capite obvoluto stitisses?, niente in storiografi minori come Fabio Pittore, niente in scrittori tecnici come Columella e Vitruvio, Cic. niente in Part.; in Brut.; Orat.; Opt.; Top.; Rep.; Fat.; Nat.; Cato; Hort. e rimangono estremamente circoscritte le occorrenze (da un minimo di una a un massimo di cinque a opera) nelle altre opere, ad es Inv. 2.140 postea quaerere ab adversariis: quid, si hoc fecissem? quid, si hoc accidisset?; molto rare sono le occorrenze in De Orat., ad es. 1.206 'Quid si,' inquit Crassus 'quoniam ego, quo facilius vos apud me tenerem, vestrae potius obsecutus sum voluntati, quam aut consuetudini aut naturae meae, petimus ab Antonio, ut ea, quae continet neque adhuc protulit, ex quibus unum libellum sibi excidisse iam dudum questus est, explicet nobis et illa dicendi mysteria enuntiet?'; Leg. 2.53 (se accogliamo la lezione quid si) Quid, si hoc qui testamentum faciebat cauere noluisset?; Parad. 6.42 pro di immortales! egone me audisse aliquid et didicisse non gaudeam? Solusne dives? Quid, si ne dives quidem? quid, si pauper etiam? Quem enim intellegimus divitem aut hoc verbum in quo homine ponimus?; Off. 2.75 quid, si efficio ut fateare me

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riscontra in passi concitati o caratterizzati da un rapporto confidenziale e informale delle epistole familiari di Cicerone16 e in qualche sua orazione17. Il

fenomeno si legge anche in una Satira di Orazio, dalla cui analisi linguistica emerge una lingua che attinge dal sermo cotidianus, dal sermo vulgaris, dalla commedia, con l'inserzione della solenne lingua epica in tono chiaramente parodistico18. Orazio immagina la tirata d'orecchie dello schiavo Davo, la cui

espressione sarà più vicina al quotidiano di quella di un eroe19: Hor. Sat. 2.7.42 quid, si me stultior ipso/ quingentis empto drachmis deprenderis? rispetto alla forma completa per es. in Hor. Sat. 1.3.94 quid faciam, si furtum fecerit aut si/prodiderit conmissa fide sponsumve negarit?20.

non modo quid sit voluptas scire—est enim iucundus motus in sensu—, sed etiam quid eam tu velis esse?; 2.105 quid, si etiam iucunda memoria est praeteritorum malorum?; 4.61 quid, si reviviscant Platonis illi et deinceps qui eorum auditores fuerunt, et tecum ita loquantur?; Lael. 50.1 Quid si illud etiam addimus, quod recte addi potest, nihil esse quod ad se rem ullam tam alliciat et attrahat quam ad amicitiam similitudo?; Div. 1.109 Quid, si etiam ratio exstat artificiosae praesensionis facilis, divinae autem paulo obscurior?.

16 Ad es. Cic. Att. 2.1.6 Hoc facere illum mihi quam prosit nescio; rei publicae certe

prodest. quid si etiam Caesarem, cuius nunc venti valde sunt secundi, reddo meliorem?; Fam. 5.12.3 Quid si illa tibi non tanto opere videntur ornanda?; Fam. 2.15.2 Quid si meam legas quam ego tum ex tuis litteris misi ad Appium?; ad Q.fr. 1.2.10.13 Quid si infitiatur? quid si omnino non debet? quid? praetor solet iudicare deberi? quid?; rispetto invece alla forma completa in Cic. Fam. 7.12.1 o castra praeclara! quid tu fecisses si te Tarentum et non Samarobrivam misissem?; Att. 2.1.8.12 Quid faciemus si aliter non possumus?.

17 Cic Quinct. 42.1 Quid si hoc ipsum quod nunc facit ostendo testimonio esse nihil

deberi? Quid enim nunc agit Sex. Naevius?; 48.1 Quid si debuisset? e 76.7 Quid si tu ipse, Sex. Naevi, statuisti bona P. Quincti ex edicto possessa non esse?; Verr. 2.1.110.4 Quid, si plus legarit quam ad heredem heredesve perveniat?.

Anche nelle filosofiche Tusc. 1.17.1 in cui tutta la sorpresa dell'auditor sbotta nelle vivaci domande Quid, si te rogavero aliquid? nonne respondebis? Superbum id quidem est, sed, nisi quid necesse erit, malo non roges.

18 Per un'accurata analisi linguistica e commento cf. Scarpat 1969, passim con una sintesi

a p. 23.

19 Cf., pur sempre nel riconoscimento della necessaria flessibità, Hor. ars 89-98 versibus

exponi tragicis res comica non volt;/ indignatur item privatis ac prope socco/ dignis carminibus narrari cena Thyestae:/ singula quaeque locum teneant sortita decentem./ interdum tamen et vocem comoedia tollit/ iratusque Chremes tumido delitigat ore;/ et tragicus plerumque dolet sermone pedestri,/ Telephus et Peleus cum pauper et exsul uterque/ proicit ampullas et sesquipedalia verba,/ si curat cor spectantis tetigisse querella e 234-39 Non ego inornata et dominantia nomina solum/ verbaque, Pisones, satyrorum scriptor amabo/ nec sic enitar tragico differre colori,/ ut nihil intersit, Davusne loquatur et audax/ Pythias, emuncto lucrata Simone talentum,/ an custos famulusque dei Silenus alumni.

20 Risalgono agli anni 30 a.C. il secondo libro dei Sermones e la raccolta di Epodi.

L'attacco all'incoerenza di Orazio viene fatto dal servo Davo, che approffitta della libertas Decembri in Hor. Sat. 2.7. Anche in Epist. 1.16.8 Quid si rubicunda benigni/ corna vepres et pruna ferant, si quercus et ilex/ multa fruge pecus, multa dominum iuvet umbra? e in Epist. 1.6.12 si legge un'ellissi del verbo reggente, la cui ricostruizione è facilitata dal complemento: gaudeat an doleat, cupiat metuatne, quid ad rem,/ si, quidquid vidit melius peiusve sua spe,/ defixis oculis animoque et corpore torpet?.

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Anche nell'epica e nella tragedia21 precedenti all'Eneide non si trovano tracce di

quid si, mentre numerosissime sono le attestazioni nella commedia di Plauto22 e di

Terenzio23. I valori che la domanda ellittica assume oscillano, con confini fluidi,

tra la domanda vivace in cui si riconosce ancora e si ricostruisce il verbo dell'apodosi, come anche in Virgilio, (ad es. in Ter Andr. 112 quid si ipse amasset? quid hic mihi faciet patri?) e la proposta (Plaut. Curc. 146 [Phaed.] Quid si adeam ad fores atque occentem?), talvolta anche in accumulazione con la presentazione delle varie possibilità (Ter. Haut. 676-77 quid si hoc nunc sic incipiam? nilst. quid si sic? tantundem egero./ at sic opinor: non potest. immo optume. euge habeo optumam.24), e il nostro "e se", talvolta detto con aria

preoccupata (ad es. Plaut. Cas. 345 Quid si sors aliter quam voles evenerit?, ma soprattutto come usiamo dire anche noi oggi nella lingua d'uso Ter. Haut. 719 quid si redeo ad illos qui aiunt “quid si nunc caelum ruat?”). Come anticipavo questi valori talvolta sono distinguibili, talvolta invece si assommano, mescolandosi in varia misura, sicché è difficile coglierne la sfumatura dominante. Rimane fermo, tuttavia, che tutti questi casi appartengono allo stile informale, sia che si tratti di un'ellissi di risparmio in cui l'apodosi rimane ancora riconoscibile, sia che sia avvenuta una cristallizzazione. La distribuzione del fenomeno in età arcaica, repubblicana e del nascente impero è eloquente sul suo carattere colloquiale e permette di sottolineare due aspetti. Il primo è la consapevolezza linguistica e stilistica del vates Romanorum, pienamente cosciente della differenza tra la forma completa e quella ellittica, come visto supra. Il secondo è la sua straordinaria capacità compositiva e poetica, per la quale sfrutta sapientemente e appieno il valore aggiunto di un fenomeno colloquiale, senza che la presenza di quest'ultimo infastidisca o rovini l'elevatezza della sua poesia epica. Ovviamente ogni caso va contestualizzato e in questa tendenza è possibile individuare diverse gradazioni: vi sono infatti discorsi che accolgono elementi colloquiali i quali non vengono controbilanciati da espedienti poetici atti ad allontanare la lingua dal quotidiano, come nel caso di Gia. Il giovane si esprime in una lingua che è

21 Niente in Ennio, Pacuvio, Accio, Livio Andronico.

22 Ad es. Plaut. Mil. 52-3 Quid in Cappadocia, ubi tu quingentos simul,/ ni hebes

machaera foret, uno ictu occideras?; Amph. 313 Quid si ego illum tractim tangam, ut dormiat?; 701 Quid si e portu navis huc nos dormientis detulit?; Asin. 195 [A.] Quid si non est? [C.] Tibi non esse credam, illa alio ibit tamen; 538 [Phil.] Quid si hic animus occupatust, mater, quid faciam? mone. [C.] Em.; 720 [Leon.] Opta id quod ut cóntingat tibi vis. [Arg.] Quid si optaro? [Le.] Eveniet.; Bacch. 732 Quid si potius morbum mortem scribat? id erit rectius; Capt. 612 [Heg.] Quid ais? quid si adeam hunc insanum? [Tynd.] Nugas. ludificabitur; Cas. 357 Quid si propius attollamus signa eamusque obviam?; Curc. 303 Quid si adeamus? heus, Curculio, te volo; 352 'Quid si abeamus ac decumbamus?' inquit.

23 Ad es. Ter. Eun. 369 Quid si nunc tute fortunatu' fias?; 875 Quid si hoc quispiam voluit

deus?; Phorm. 210-11 [An.] Quid si adsimulo? satinest? [Ge.] garris. [An.] voltum contemplamini: em satine sic est? [Ge.] non. [An.] quid si sic? [Ge.] propemodum. [An.] quid sic? [Ge.] sat est; 320 Quid si reddet? e 661 Quid si animam debet?; Hec. 442 Quid si non veniet? maneamne usque ad vesperum?; Ad. 192 Quid si ego tibi illam nolo vendere?.

24 Cf. anche Plaut. Cas. 269-71 [Cleost.] Quid si ego impetro atque exoro a vilico, causa

mea/ ut eam illi permittat? [Lys.] Quid si ego autem ab armigero impetro,/<ut> eam illi permittat? atque hóc credo impetrassere.

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lievemente più vicina al parlato rispetto allo standard epico, eppure non riecheggia il latino colloquiale nella sua ampiezza, in quanto non presenta imprecazioni o sfoghi simili che il contesto avrebbe potuto richiedere. Vi sono altri casi in cui il colloquiale viene portato dentro la cornice esametrica in presenza di elementi sintagmatici poetici ed elevati tanto da non essere più immediatamente riconoscibile, come nel caso del dialogo di Entello, dove l'ordo verborum, il lessico elevato e la doppia endiadi non fanno pensare al parlato quotidiano. Con la poesia dell'Eneide il livello linguistico e stilistico rimane costantemente consono al genere epico, senza che questo implichi -e anche questo effetto è parte della grandezza di Virgilio- la realizzazione di una lingua poetica piatta e insensibile alla variazione del contesto, del rapporto tra i personaggi, dello stato psico- emotivo e delle finalità comunicative dell'emittente, e in ultima analisi anche degli effetti artistici che il poeta voleva raggiungere.

Dai dati in nostro possesso Virgilio è il primo ad accogliere tale ellissi di risparmio tipica dello stile informale nel genus grande dell'Eneide e, come per altri fenomeni colloquiali, dopo la sua opera, si registra una maggior scioltezza nel riprodurre questo procedimento. Il vivace quid si fa la sua comparsa in altri autori epici, più o meno apertamente emulatori del Mantovano25, ma anche in poeti di

generi medi come l'elegiaco26 etc., ma senza dubbio se ne intensifica l'uso in

generi più bassi, propriora sermoni, e soprattutto con andamento dialogico, come nelle Satire, nelle Favole27, nel Satyricon28, negli epigrammata di Marziale29, e

nelle Controversiae e nelle Suasoriae di Seneca il retore30.

25 Luc. 1.307-309 Iussus Caesar agi. Quid, si mihi signa iacerent/ Marte sub aduerso

ruerentque in terga feroces/ Gallorum populi?. Si segnala l'oscillazione nella punteggiatura, per cui alcuni editori inseriscono il punto interrogativo subito dopo il quid, separandolo dalla congiunzione si, mentre altri lasciano, come nel nostro caso, una solo interrogativa.

Stat. Theb. 6.906 e 7.173-77 nel testo infra; 10.699-701 Quid si insidiis et fraude dolosa/ rex agit, extrema cui nostra in sorte timori/ nobilitas tuaque ante duces notissima uirtus?; Ach. 1.812 occurrit genitor: 'Quid si aut Bacchea ferentes/ orgia, Palladias aut circum videris aras?; 2.81 quid si nunc aliquis patriis rapturus ab oris/ Deidamian eat viduaque e sede revellat/ attonitam et magni clamantem nomen Achillis?.

Val. Fl. 5.584 quid Latagum, quid si amnigenam mirere Choaspen?; 6.455 quid si caecus amor saevusque accesserit ignis?. Nessuna occorrenza in Silio Italico.

26 Prop. 2.9a.29 quid si longinquos retinerer miles ad Indos,/ aut mea si staret navis in

Oceano?; 2.18a.5 quid mea si canis aetas candesceret annis,/ et faceret scissas languida ruga genas?; 2.34.11 quid si non constans illa et tam certa fuisset,/ posset et in tanto vivere flagitio?.

Sempre in contesti effettivamente dialogici o nel dialogo che il narratore intesse col lettore, ad es. in Ov. Am. 1.1.7 quid, si praeripiat flavae Venus arma Minervae,/ ventilet accensas flava Minerva faces?; Met. 1.498 et 'quid, si comantur?' esclama Apollo nell'ammirare i capelli sciolti di Dafne; 9.149 quid si me, Meleagre, tuam memor esse sororem/ forte paro facinus, quantumque iniuria possit/ femineusque dolor, iugulata paelice testor?'; 9.326 'te tamen, o genetrix, alienae sanguine nostro/ rapta movet facies. quid si tibi mira sororis/ fata meae referam? quamquam lacrimaeque dolorque.

27 Per la satira cf. Iuv. 8.182 Quid si numquam adeo foedis adeoque pudendis/ utimur

exemplis, ut non peiora supersint?; 10.36 cf. nel testo infra; 13.72 Quid si bis centum perdidit alter/ hoc arcana modo, maiorem tertius illa/ summam, quam patulae uix ceperat angulus arcae?.

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Tra i numerosi es. è ravvisabile l'influenza virgiliana dell'episodio di Entello nella baldanza di Tideo, che, nel simile contesto ludico, qui della lotta e non del pugilato, esulta vittorioso nonostante le ferite in Stat. Theb. 6.906 arma ferens Tydeus: 'quid si non sanguinis huius/ partem haud exiguam (scitis) Dircaeus haberet/ campus, ubi hae nuper Thebarum foedera plagae?'. Mentre l'accorata richiesta di Giunone a Giove di Aen. 10.628 ha un'inequivocabile eco nella