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3.1 Discorso di Entello

3.1.3 La parentesi solve metus

L'aria di superiorità, già espressa nel dativo etico misto al vantaggio, arriva infine ad essere scherno feroce nella parentesi solve metus. Tipica della lingua conversazionale è la parentesi, attraverso la quale l'emittente interrompe il proprio discorso e si rivolge al destinatario per rassicurarlo, perché sente che il contesto e lo stato d'animo dell'interlocutore lo richiedono. Questo inciso diventa il mezzo linguistico attraverso cui Virgilio conferisce verismo e assicura una ripresa abbastanza verosimile del vivo discorso diretto. Come abbiamo spiegato supra, non tutte le parentesi sono colloquiali, ma quelle di questo tipo hanno ottenuto tale giudizio da importanti studiosi79. Inseriti in forma parentetica leggiamo anche

absiste moveri presente nella risposta della Sibilla a Caronte in Aen. 6.399-400 'nullae hic insidiae tales (absiste moueri),/ nec uim tela ferunt; e mitte curam come nelle parole della Sibilla ad Enea in Aen. 6.85 Dardanidae uenient (mitte hanc de pectore curam). Tali interventi della Sibilla sono caratterizzati da un tono sempre serio, mentre il solo passo in cui il tono si avvicina a quello del discorso di Entello è Aen. 11.408-409. Turno, infastidito dalle accuse di Drance, gli scaglia una lunga invettiva, finendo addirittura per rassicurarlo sarcasticamente sulla sua incolumità, dal momento che non ritiene degna della sua destra la vita del vile membro del consiglio: numquam animam talem dextra hac (absiste moueri)/ amittes: habitet tecum et sit pectore in isto. In tutti i passi eneadici la fraseologia scelta appartiene al latino standard80, senza che questo richiami, a mio avviso, la

volontà parodistica, che vedremo invece nel discorso di Niso. La ripresa di solve

77 Cf. OLD s.v. remitto p. 1611 3d e 5a e Forcellini s.v. remitto pp. 77-79 II.1 = removeo. 78 La Cerda riportato da Heyne, Wagner 1830-1833⁴, vol. II p. 780.

79 Austin 1977 ad Aen. 6.399 p. 147 «the parenthesis gives an illusion of lively talk with

appropriate gesture and expression (again in 11.408, 4.116. 4.478, 11.315)»; Horsfall 2003 ad Aen. 11.408 p. 254 «The parenthesis conveys the supple movement of actual speech».

80 A questo giudizio guida anche Serv. ad Aen. 1.257 Et est 'parce metu' elocutio usualis,

id est dimitte metum, quomodo dicimus parce verbis, parce iniuriis. alii 'metu' pro metui accipiunt, ablativum pro dativo; aut certe ideo metum aufert, ut animo securiore possit audire, ut alibi “solvite corde metum, Teucri”.

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metus -ma anche di absiste moveri-, in medesima sede esametrica, e quindi il richiamo rispetto a passi caratterizzati da un contesto elevato, non deve far pensare alla parodia quanto piuttosto alla convenienza metrica e a una certa familiarità del poeta nei confronti di certe "formule" che potevano adattarsi a diversi contesti. Non ci sono infatti elementi tali per supporre la volontà di parodiare contesti più seri ed elevati. Si noti a questo punto che l'aspetto colloquiale della parentesi non risiede nel livello lessicale, bensì in quello strutturale.

Dal punto di vista lessicale altre fraseologie, finalizzate alla rassicurazione del destinatario, utilizzate da Virgilio epico al di fuori della modalità parentetica sono le seguenti. Si ritrova solve metus nella medesima posizione di verso anche in Aen. 1.463 e in Aen. 9.90, ma con un tono molto lontano dallo scherno. Serie e legate a motivazioni più prettamente epiche infatti sono le parole rispettivamente di Enea per Priamo: 'solue metus; feret haec aliquam tibi fama salutem' e di Berecinzia al figlio Giove 'solue metus atque hoc precibus sine posse parentem'. Simile è anche il tentativo di Didone di tranquillizzare i Teucri naufraghi in Aen. 1.562 'soluite corde metum, Teucri, secludite curas'. Altri inviti che si leggono nell'Eneide mirati a dissolvere le paure sono mittite timorem nella già vista adhortatio di Enea ai suoi uomini in Aen. 1.202-203 reuocate animos maestumque timorem/ mittite; auferte metus come nel tentativo di Enea di richiamare i Troiani al rispetto dei patti in Aen. 12.316-17 mihi ius concurrere soli;/ me sinite atque auferte metus; parce metu come nelle rassicuranti parole di Giove a Venere in Aen. 1.257-58 'parce metu, Cytherea, manent immota tuorum/ fata tibi81; e pelle

timores, come nella rasserenante promessa di Nettuno a Venere in Aen. 5.812 nunc quoque mens eadem perstat mihi, pelle timores82. Come si vede tutte queste

locuzioni appartengono al latino standard e, se ci soffermiamo su solve metus del discorso di Entello, notiamo che tale locutio non compare mai nei testi generalmente mimetici della lingua d'uso, come la commedia, le lettere familiari, la cena Trimalchionis etc. e nemmeno nei testi non ufficiali e non letterari in latino, ma in testi poetici dall'argomento e dallo stile medio-alto. Il poeta che maggiormente si avvicina all'uso fatto da Virgilio è l'amico Orazio, specialmente nelle Odi83. Inoltre proprio i testi generalmente mimetici del latino d'uso mostrano

chiaramente che, tra le molteplici possibilità messe a disposizione dalla lingua84, le

81 Ripreso da Sil. 5.372 'Parce metu, germane. meis medicamina nulla/ aduersis maiora

feres...

82 Meno generico è invece per es. Aen. 8.40 neu belli terrere minis.

83 Hor. Epod. 9.37-38 curam metumque Caesaris rerum iuvat/ dulci Lyaeo soluere; Carm.

1.7.31 nunc uino pellite curas; Sat. 1.2.110 curas e pectore pelli; Carm. 3.8.17 mitte ciuilis super urbe curas; Epist. 1.11.25-26 nam si ratio et prudentia curas/ non locus effusi late maris arbiter aufert. Altre fraseologie utilizzate da Orazio sono summovere curas, come in Carm. 2.16.11; abigere curas come in Epist. 1.15.19; dissipare curas come in Carm. 2.11.18; minuere curas come in Carm. 4.11.36 e in Epist. 1.18.101 e deducere animo curas come in Epist. 1.2.47.

Altri poeti sono Prop. 2.18c.21 quin ego deminuo curam; 4.6.41 solve metu patriam; Tib. 1.5.37 curas depellere vino.

84 Ad es. in Plaut. Cas. 23 eicite ex animo curam atque alienum aes; Poen. 351 si sapias,

curam hanc facere conpendi; Most. 387 [Philol.] Perii. [Tr.] Habe bonum animum: ego istum lepide medicabo metum; Capt. 519 neque † exílium exitio est néque adeo spes, quae mi hunc aspellat metum; Ter. Haut. 347 Hem, istoc verbo animus mihi redit et cura

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più ricorrenti in contesti informali e le più colloquiali sembrano essere, soprattutto nella forma esortativa, bono animo es/esto/sis e habe bonum animum. Queste due simili locuzioni si caricano di diverso significato a seconda del contesto: talvolta veicolano, come solve metus, un invito a non perdersi d'animo, talvolta permettono di richiedere al destinatario di avere una buona disposizione d'animo85.

Alcuni es. nel significato che interessa in questa sede vengono usati privilegiatamente nella commedia, come in Plaut. Amph. 545 [I.] prius tuá opinione híc adero: bonum ánimum habe e 671 [Am.] Bono animo es. [S.] Scin quam bono animo sim? 86 e Ter. Eun. 83 [Ph.] totus, Parmeno,/ tremo horreoque,

postquam aspexi hanc. [Pa.] bono animo es87. Al di fuori della commedia tali

locuzioni occorrono per esempio in un frammento di una Satira di Lucilio 28.1788

(= 787 Krenkel) coice te intro, ac bono animo es, in una lettera di Cicerone ad Appio (Cic. Fam. 10.29.1.8 Tu fac bono animo magnoque sis meque tibi nulla re defuturum esse confidas.), nelle Metamorfosi di Apuleio (Apul. Met. 2.10.15 lisu nectareo prona cupidine adlibescenti: 'Pereo', inquam 'immo iam dudum perii, nisi tu propitiaris'. Ad haec illa rursum me deosculato: 'Bono animo esto,' inquit 'nam ego tibi mutua uoluntate mancipata sum, nec uoluptas nostra differetur ulterius, sed prima face cubiculum tuum adero.) e nella vita di Vitellio ad opera di Svetonio (Svet. Vit. 8.2.1 Nec ante in praetorium rediit quam flagrante triclinio ex conceptu camini, cum quidem consternatis et quasi omine aduerso anxiis omnibus: 'bono,' inquit, 'animo estote! nobis adluxit,' nullo sermone alio apud milites usus.).

ex corde excessit; Haut. 230 quom ego uos curis solui ceteris; Haut. 337 nil sati' firmi video quam ob rem accipere hunc mi expediat metum e 341 quid dixti? [Sy.] ademptum tibi iam faxo omnem metum; Ad. 736 dempsi metum omnem; Andr. 339 ut metum in quo nunc est adimam atque expleam animum gaudio?; Cic. Fam. 9.16.9 volo enim abstergere animi tui metum e 11.24.1 si timidus essem, tamen ista epistula mi omnem metum abstersisses; Att. 3.8.4 crediderim quem esse nefarium non putarim. me et meorum malorum maeror et metus de fratre in scribendo impedit.

85 Talvolta l'espressione bono animo esse serve per intimare al destinatario di stare

tranquillo e quindi di non dare fastidio e di predisporsi di buon animo, ad es. nei prologhi della commedia è un invito al pubblico ad ascoltare con benevolenza, come in Plaut. Poen. 5 bonoque ut animo sedeate in subselliis, per quanto riguarda gli es. esterni alla commedia si vd. ad es Varr. rust. 1.2.11.3, 1.26.1.9, 2.5.5.9, Corn. Nep. Ag. 6.2.6, , Caes. Gall. 1.6.3 quod nondum bono animo in populum Romanum viderentur, Cic. Inv. 2.105.10 nam semper animo bono se in populum Romanum fuisse non tam facile probabat, Liv. 25.9.17.4 uidissent, quiescere ac silere ac bono animo esse iuberent, Sen. Ben. 2.35.3 Sic dicimus eum, qui beneficium bono animo accipit. Un simile trattamento registra anche l'espressione affine bonum animum habere, per lo più anticipato dall'imperativo tace (Plaut. Aul. 192, Epid. 181 e Capt. 151). L'invito a non perdersi d'animo è espresso anche in forma negativa, con i verbi demittere e despondere, come per es. in Caes. Gall. 7.29.1 ne se … animo demitterent, Cic. ad Q.fr. 1.1.4 ne contrahas ac demittas animum, e in Plaut. Merc. 614 animum ne desponde!, ma anche in Plaut. Mil. 6 e 1053, e in Sen. Ben. 2.35.4 nella variante ne despondeas animo.

86 La parenesi è talvolta seguita dalla domanda sconvolta del destinatario, che si sente

invece in preda al timore come anche in Plaut. Aul. 732 Quo, obsecro, pacto esse possum?.

87 Ter. Haut. 822 [Cl.] perii. [Sy.] bono animo es: iam argentum ad eam deferes/ quod ei

pollicitu's. [Cl.] garris. unde? [Sy.] a tuo patre.

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Bono animo avrebbe potuto sostituire dal punto di vista prosodico solve metus, ma il suo carattere spiccatamente colloquiale ha fatto sì che Virgilio non lo adottasse nel discorso di Entello, nel quale, come abbiamo visto, ci sono degli atteggiamenti linguistici tipici della lingua d'uso, ma non solo mai troppo forti, ma anche sempre ben controbilanciati da elementi poetici e tipici dello stile elevato. Come anche nell'it. mod. l'inciso può appartenere alla lingua standard «stai tranquillo» o «non preoccuparti», o alla lingua familiare, quasi slang «sta' bono!», senza per questo perdere, grazie alla forma parentetica, la vivacità tipica della conversazione informale. L'impressione che ne deriva è che il poeta non volesse spingersi oltre nel vivacizzare le parole di Entello, che rimane un anziano rispettabile. Quindi Virgilio ha attinto dalla lingua colloquiale il costrutto sintattico della parentesi, ma ha mantenuto il latino standard a livello lessicale, a differenza dei discorsi di Gia e di Mnesteo che contengono scelte lessicali colloquiali o che richiamano il colloquiale.

3.1.4 L'esplicitazione del pronome soggetto di 2 p. s. con la forma iussiva del