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Il dominio maschile attraverso la lente dell’etnologia (Pierre Bourdieu)

2. Studiare le mascolinità

2.4 Il dominio maschile attraverso la lente dell’etnologia (Pierre Bourdieu)

Nella sua opera Il dominio maschile (1998) Bourdieu si propone di indagare le dinami- che di genere che consentono il dominio maschile sulle donne nella società berbera dei cabili, nella convinzione, già espressa in opere precedenti, che una ricerca etnologica possa prestarsi a diventare un utile strumento di socioanalisi, o in altre parole che pos- sa svelare meccanismi affini anche nelle società occidentali moderne. L’autore apre la propria riflessione a partire dal «paradosso della doxa», costituito dal fatto che l’ordine del mondo venga relativamente rispettato, e che le condizioni d’esistenza più intollera- bili – come quelle imposte dal dominio maschile – vengano considerate naturali, subite e riprodotte. È un esempio di quella che Bourdieu chiama

violenza simbolica, violenza dolce, insensibile, invisibile per le stesse vittime, che si esercita essenzialmente attraverso le vie puramente simboliche della comunica- zione e della conoscenza, o più precisamente, della mis-conoscenza, del riconosci- mento e della riconoscenza, o, al limite, del sentimento (Bourdieu 1998, pp. 7-8).

Questa violenza simbolica è storicamente determinata e determinante; per compren- dere il modo in cui opera e si perpetua, è necessario prendere in esame i meccanismi che la producono, la legittimano e fanno sì che venga percepita come naturale, nono- stante sia invece l’«effetto automatico e privo di agenti di un ordine fisico e sociale completamente organizzato secondo il principio di divisione androcentrico» (Bour-

dieu 1998, p. 33). L’etnologia è in grado di operare la necessaria decostruzione tanto sul piano mistico-rituale quanto su quello oggettivo, e di spezzare «il senso di familiarità ingannevole che ci unisce alla nostra stessa tradizione», di svelare «le apparenze biolo- giche e gli effetti assolutamente reali che ha prodotto, nei corpi e nei cervelli, un lungo lavoro collettivo di socializzazione del biologico e di biologizzazione del sociale» (p. 9): per indagare il dominio maschile è necessario sforzarsi di non ricorrere agli schemi inconsci di percezione e valutazione da esso stesso prodotti, bensì tentare un’oggetti- vazione scientifica che solo la ricerca etnografica, attraverso l’indagine di una cultura terza, storicamente individuabile, può consentire. La società cabila si rivela adeguata a questo scopo perché in essa l’inconscio androcentrico emerge quasi senza mediazioni nella pratica quotidiana, in altre parole è soggetto a un minor numero di rielaborazioni simboliche.

L’autore passa quindi a un dettagliato processo di identificazione delle modalità di costruzione del dominio maschile nella società cabila, a partire da un’analisi del modo in cui esso viene somatizzato, ovvero iscritto nei corpi (per esempio tramite la divisione del lavoro sessuale o attraverso l’imposizione di determinate posizioni e di- mensioni corporee), e in seguito naturalizzato.

Sebbene lo studio di Bourdieu si concentri molto sulle donne, egli illustra anche i meccanismi di violenza simbolica che coinvolgono entrambi i generi, e alcuni proce- dimenti relativi alla riproduzione degli schemi patriarcali tra gli uomini della società cabila. In particolare, offre una descrizione di come l’organizzazione della sessualità rimandi implicitamente a una cosmologia, una «topologia sessuale del corpo sessua- lizzato» (p. 15) che dà origine a schemi di pensiero universali (alto/basso, sopra/sotto, davanti/dietro, destra/sinistra, fuori/dentro, ecc.) che al tempo stesso registrano le dif- ferenze di natura, contribuiscono a farle esistere e le naturalizzano. Fornisce inoltre una descrizione del ruolo fondamentale ricoperto dai riti di istituzione o passaggio nel sacralizzare ciò che il discorso mitico ha impostato, ovvero la separazione tra uomini e donne. Si tratta infatti di riti che regolano l’ingresso nel gruppo sociale che ha accesso al potere attraverso l’imposizione di un marchio distintivo che divide gli uomini (in coloro che l’hanno già o non ancora ricevuto), ed esclude completamente le donne (che non potranno mai riceverlo). Tra questi, un rito particolarmente significativo è quello

volto alla separazione del figlio dalla madre, la cui funzione consiste «nell’emancipare il ragazzo rispetto alla madre e assicurare la sua progressiva mascolinizzazione» (p. 35). Facendo riferimento alle riflessioni della sociologa e psicanalista Nancy Chodo- row, Bourdieu afferma infatti:

L’inchiesta antropologica scopre in effetti che il lavoro psicologico necessario […] affinché i ragazzi si sottraggano alla quasi-simbiosi originaria con la madre e affer- mino la loro identità sessuale, è espressamente ed esplicitamente accompagnato e persino organizzato dal gruppo che, in tutta la serie dei riti di istituzione sessuali orientati verso la virilizzazione, e, più largamente, in tutte le pratiche differenziate e differenzianti dell’esistenza ordinaria (sport e giochi virili, caccia, ecc.), incorag- gia la rottura con il mondo materno, da cui le figlie (come, per loro disgrazia, i “figli della vedova”) sono esentate – cosa che permette loro di vivere in una sorta di continuità con la madre (Bourdieu 1998, p. 35).

L’autore dedica inoltre un’attenzione particolare all’onore come principio della virilità, che dirige i pensieri e le pratiche degli uomini come una forza, ma senza costringerli meccanicamente. Esso è il prodotto di un prolungato e continuo lavoro di socializza- zione al termine del quale

un’identità sociale istituita da una di quelle “linee di demarcazione mistica”, se- condo l’espressione di Virginia Woolf, conosciute e riconosciute da tutti, che il mondo sociale traccia, si inscrive in una natura biologica e diviene habitus, legge sociale incorporata (Bourdieu 1998, p. 62).

Mentre l’onore femminile può essere soltanto difeso o perduto, quello maschile può e deve essere accresciuto per ottenere riconoscimento nella sfera pubblica e accrescere l’onore della società stessa. Tuttavia la femminilità, come incarnazione della fragili- tà dell’onore, suscita una serie di paure e angosce che concorrono a fare «dell’ideale impossibile della virilità il principio di un’immensa vulnerabilità» (p. 63), la quale so- spinge gli uomini verso tutti i giochi di violenza maschili, come, nelle nostre società, gli sport, e in modo particolare quelli più adatti a produrre i segni visibili della masco- linità e a manifestare e provare le qualità “virili”, come gli sport fondati sullo scontro fisico diretto. L’investimento in queste attività espone gli uomini alla convalida e alla

conferma degli altri uomini. Questo meccanismo evidenzia come la virilità sia una dimensione relazionale, perché si costruisce di fronte e per gli altri uomini e contro la femminilità.