CAPITOLO TERZO
5. Sul dovere di attuare una gestione conservativa a prescindere dal livello di capitalizzazione della società in cris
Resta tuttavia da comprendere la ragione per cui, in base al comma 1 dell’art. 182-sexies l.f., i doveri imposti sugli amministratori e sui soci dalla norma in questione cessino di trovare applicazione dal momento in cui la società manifesta l’intenzione di avvalersi di uno degli strumenti di composizione della crisi previsti dal predetto art. 182-sexies l.f. .
Non sarebbe infatti possibile affermare che, per la semplice decisione della società di fare ricorso agli stessi, si determini un qualche effetto sul capitale sociale visto che l’unico effetto che tuttalpiù potrebbe discendere dall’adozione di queste predette iniziative è quello della sospensione delle azioni esecutive sul patrimonio della società mentre, come noto, la riduzione dei debiti che varrebbe effettivamente a ricostituire il capitale sociale perso si verificherebbe soltanto al momento dell’omologazione dell’accordo di ristrutturazione o del concordato preventivo eventualmente presentati (173) . La disposizione in questione non sembrerebbe volta allora semplicemente a rimuovere gli obblighi che le norme predette impongono sugli amministratori e sui soci al verificarsi della causa di scioglimento indicata all’art. 2484 comma 1 n. 4 c.c. per il periodo in cui la società fa ricorso ai
“gestione conservativa” configurata all’art. 2486 c.c., cfr. NIEDDU-ARRICA NT 122, 52 e ss.; ID Riorganizzazione societaria, risanamento dell’impresa e tutela dei creditori, in Riv. Soc., 2012, 711 e ss.; MIOLA Profili del finanziamento dell’impresa in crisi tra finalità di
risanamento e doveri gestori in Riv. dir. civ., 2014, 1112 e ss.; ) .
La questione predetta mi pare essere correttamente risolta da quell’opinione (Brizzi NT 141, 276 e ss.;CASSOTTANA Responsabilità degli amministratori nella crisi dell’impresa in Fallimento 2004, 299) che, valorizzando (sulla scorta di quanto osservato dalla prevalente dottrina cfr. NICCOLINI Gestione dell’impresa nella società in liquidazione, in Riv. Soc. 2003, 902; CAVALIERE Scioglimento e liquidazione delle società di capitali in Aiello-Cavaliere-Cavanna-Cerrato-Sarale Le operazioni straordinarie in Trattato di diritto commerciale diretto da Cottino, Padova, Cedam, 2011, 47; ANT. ROSSI Il valore
dell’organizzazione dell’impresa in Riv. Dir. Comm. 2009, 656;) la modifica dei doveri di
gestione degli amministratori al verificarsi di una causa di scioglimento intervenuta in seguito alla riforma del diritto societario del 2003 (con cui è stato abrogato il previgente divieto di compiere nuove operazioni), afferma la possibilità di ricomprendere a pieno diritto l’attuazione di un piano strategico volto alla ristrutturazione economico-finanziaria della società nella categoria delle condotte gestorie “conservative” ai sensi del predetto art. 2486 c.c. .
173 e infatti si è ritenuto in giurisprudenza che il tribunale sia tenuto a verificare, in sede di
omologa del concordato preventivo, l’effettiva capacità del piano concordatario di ristabilire i requisiti di capitale previsti dalla legge per l’operatività della società, cfr. Trib. Ancona, Decr. 12/04/2012 in Fallimento, 2013, 110;
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predetti istituti ma a stabilire che, nel periodo in questione, non vi sia la necessità che questi obblighi trovino applicazione (174) .
Dal combinato disposto di queste norme è allora possibile ritrarre alcune considerazioni sia rispetto alla funzione dei doveri stabiliti dalle norme che impongono il divieto per la società di proseguire nell’ordinaria gestione dell’attività caratteristica quando sia venuto meno il livello di capitalizzazione previsto dalla norma per l’adozione di un determinato tipo societario che con riguardo ai doveri che insorgono in capo agli amministratori al momento dell’insorgere della crisi .
Sotto il primo profilo, la disposizione in questione vale a confermare che la norma posta dal combinato disposto degli artt. 2484 comma 1 n. 4 e 2486 c.c. non stabilisce l’obbligo di adottare particolari rimedi per far fronte ad una certa situazione economica della società ma impedisce semplicemente ai soci di operare sul mercato, ricorrendo ad un particolare modello contrattuale che preveda la limitazione della responsabilità patrimoniale, quando siano venuti meno i presupposti stabiliti per la sua adozione (175) . Coerentemente rispetto a quanto stabilito dalle disposizioni in materia di costituzione della società, il legislatore pretende che i soci, per beneficiare dei particolari vantaggi che ciascuno di questi tipi societari conferisce (176)
174 così confermando peraltro l’orientamento dottrinale prevalente antecedentemente
all’introduzione della norma in questione, cfr. NOBILI-SPOLIDORO La riduzione di capitale in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, Torino, Giappichelli, 1993, 328 e ss.; GUERRERA sub. art. 152 in Il nuovo diritto fallimentare Commentario diretto da Jorio, Bologna, Zanichelli, 2007, 2224; D’ATTORE I limiti alla disciplina sulla
perdita di capitale sociale in www.ilfallimentarista.it 03 agosto 2012 .
175 e neppure la legge presume che dal fatto che la società presenti un livello di
capitalizzazione inferiore a quella prevista per il corrispondente tipo consegua che questa, se continuerà ad operare, produrrà perdite, come dimostrato dal fatto che l’ordinamento consente la prosecuzione dell’attività senza apporto di nuove risorse economiche in seguito alla trasformazione nel tipo societario (la s.r.l.) che presenta il capitale minimo meno elevato (cfr. FERRI jr Struttura finanziaria dell’impresa e funzioni del capitale sociale in
Riv. not, 2008, 756) . La funzione del capitale sociale nominale andrebbe allora ricostruita in termini più ampi rispetto alla semplice prevenzione dell’insolvenza e, in particolare, alla stregua di istituto volto ad agevolare (e/o anche incentivare) la società di capitali nell’attuazione del processo per il raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario in vista della permanente valorizzazione degli investimenti in essa operati, cfr. in questo senso: GINEVRA (NT 167, 10); PORTALE Capitale sociale e conferimenti nella società per
azioni in Riv. Soc. 1970, 60 e ss.) .
176 si potrebbe allora pensare che i diritti connessi all’investimento in società di capitali
siano caratterizzati da un certo gradualismo in dipendenza dell’ammontare dell’investimento iniziale effettuato (e quindi della parte del proprio patrimonio che si
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per l’esercizio dell’impresa, destinino stabilmente una certa parte del loro personale patrimonio a finanziare l’attività della società, ritenendo che altrimenti sarebbe troppo alto il rischio di comportamenti opportunistici da parte loro a danno dei terzi che entrino in contatto a vario titolo con la società .
Pertanto, dal momento in cui il predetto requisito di capitalizzazione viene meno, il legislatore inibisce la possibilità di orientare la gestone ad obbiettivi troppo rischiosi, imponendo agli amministratori di rivolgere la gestione alla conservazione dell’attuale consistenza del patrimonio sociale fino a che i soci non abbiano ristabilito le condizioni indispensabili per potere utilizzare il tipo prescelto per l’esercizio dell’impresa.
Dal dettato del primo comma dell’art. 182-sexies l.f. si può rilevare poi anche che, in questo caso, la gestione conservativa non dovrà necessariamente volgersi anche ad attuare la ristrutturazione dell’impresa che, come la disposizione in questione evidenzia, rappresenta tecnica alternativa (anche se complementare) ad una pianificazione strategica di natura conservativa.
Quanto invece al diverso profilo della condotta dovuta dagli amministratori al momento dell’insorgere della crisi, la disposizione contenuta all’art. 182- sexies l.f. stabilisce che la stessa debba informarsi all’indirizzo stabilito dall’art. 2486 c.c. anche qualora non si siano verificate le condizioni al ricorrere delle quali, in base alle disposizioni citate al primo dei predetti articoli, si verifica lo scioglimento della società .
Il dato più significativo di questa disposizione sembra allora proprio l’imposizione dello stesso limite alla capacità degli amministratori (ed indirettamente dei soci) di proseguire nell’esercizio dell’impresa sulla base del cd “criterio di funzionamento” al momento dell’insorgere di una situazione di crisi (177).
A differenza però di quanto accade al verificarsi della semplice perdita del capitale sociale, la predetta limitazione è in questo caso giustificata non solo dall’esigenza di non fare ricadere sui terzi il rischio della prosecuzione della gestione ma anche da quello di impedire il deterioramento al patrimonio
accetta di esporre al rischio d’impresa), nello stesso senso Ginevra (NT 167, 13); Portale (NT 175, 24 e ss.) .
177 cfr. B
ENAZZO Il capitale sociale nella crisi d’impresa in Il nuovo capitale sociale a cura di Cappelli-Patriarca, Milano, Giuffrè, 2016, 126 e 132 e ss.; NIGRO Riduzione o perdita
del capitale della società in crisi relazione al convegno su Le operazioni straordinarie nella crisi d’impresa tenuta a Roma, 29/11/2013, reperibile in www.ilcaso.it , 14 aprile
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della società per lo svolgimento della stessa in una situazione di tensione finanziaria. Per questa ragione si prevede, al comma 1 dell’art. 182-sexies l.f., che dal momento dell’adozione di uno degli strumenti di composizione della crisi normativamente previsti la limitazione predetta non abbia ragione di restare in vigore .
Non pare invece che la norma in questione imponga una particolare presa di posizione sulla rilevanza dei dati di bilancio al fine di rilevare l’esistenza dello stato di crisi.
Ciò in particolare se la si considera alla luce della norma di cui all’art. 2423- bis comma 1 n. 2 c.c. che prevede il ben noto criterio della continuità aziendale nella valutazione delle poste di bilancio (178) .
In particolare, quest’ultima disposizione (come si vedrà subito di seguito) sembra stabilire una relazione biunivoca tra l’emergere dello stato di crisi e la svalutazione degli attivi presenti nel bilancio e l’esame della stessa sotto il profilo funzionale (che sarà svolto di seguito) pare per di più evidenziare indirettamente la necessità per gli amministratori di impiegare un particolare grado di diligenza nella valutazione di talune poste di bilancio .
Anticipando le conclusioni alle quali si giungerà sulla base delle osservazioni formulate di seguito, si rileva che la norma contenuta al predetto art. 2423-bis comma 1 n. 2 c.c. si volge a permettere ai soci ed ai terzi di rilevare attraverso il bilancio la situazione di sbilanciamento economico-patrimoniale in cui si troverà la società quando non sembra ragionevole ritenere che l’attività d’impresa da questa esercitata possa proseguire nel medio-breve periodo (179).
A tal fine la norma impone una deroga all’applicazione degli ordinari criteri di valutazione delle poste di bilancio che, se utilizzati, impedirebbero la corretta percezione di questo dato.
178 se la dottrina meno recente coglieva principalmente il dato strutturale del principio di
continuità aziendale, e dunque la sua funzionalità a delineare lo schema di bilancio (e le conseguenti regole redazionali da impiegare nella predisposizione di questo documento, cfr. sul punto COLOMBO Bilancio di esercizio e consolidato in Trattato delle società per azioni
diretto da Colombo e Portale, Torino, Utet, 1994; SASSO L'iscrizione in bilancio dei debiti
contestati, in Giur. Comm. 1996, 756;) mentre la dottrina più recente non manca di
sottolinearne l’aspetto normativo e, dunque, l’implicito dovere che la stessa pone in capo agli amministratori di accertare l’esistenza della continuità aziendale (cfr. CARATOZZOLO Il
bilancio di esercizio, Milano, Giuffré 2006 170 e ss.; ma già prima QUATRARO La clausola generale ed i principi di redazione del bilancio di esercizio in Riv. Dottori Commercialisti,
1992, 740
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in particolare quello del successivo esercizio, all’esisto del quale l’esistenza della continuità verrà nuovamente verificata .
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6. Sui doveri degli amministratori nella redazione dei bilanci della