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Il potere di impugnazione degli organi amministrativo e di controllo della società e la funzione del diritto di voto del socio nel diritto

CAPITOLO QUARTO

4. Il potere di impugnazione degli organi amministrativo e di controllo della società e la funzione del diritto di voto del socio nel diritto

societario riformato.

L’affermata possibilità del giudice di valutare il contenuto della decisione adottata dai soci porta immediatamente ad interrogarsi sulla posizione che tanto gli amministratori quanto l’organo deputato al controllo sulla gestione (257) assumono rispetto alla decisione .

Il tema, certo, non si pone soltanto con riguardo alle decisioni assunte con il voto determinante del socio in conflitto d’interessi ma rispetto a tutte le decisioni invalide posto che, come noto, l’art. 2377 c.c. (e correlativamente l’art. 2479-ter comma 1 c.c. per le s.r.l.) stabilisce che questi soggetti siano legittimati all’impugnazione di tutte le decisioni dei soci che si pongono in contrasto con la legge o con l’atto costitutivo .

Tuttavia, la decisione invalida per conflitto d’interessi con la società certamente propone, se si ammette (come si ritiene) che il giudice possa svolgere un controllo sulla posizione della società rispetto alla decisione adottata (e quindi valutare se la stessa possa essere vantaggiosa o, al contrario, dannosa per essa), degli aspetti problematici di maggiore momento per il fatto che, in questo caso, gli amministratori e l’organo di controllo si esprimerebbero su questioni che la legge riserva alla valutazione dei soci .

La questione, dunque, si lega a quella della possibilità di affermare l’esistenza di limiti di natura funzionale al diritto di voto del socio e, conseguentemente ad un’eventuale affermazione in tal senso, in quella

257 nel senso per cui possa impugnare la deliberazione soltanto il collegio e non anche i

singoli sindaci, Circolare Assonime 37 del 2004, parte III, par. 2.2.; GUERRIERI Art. 2377 in

Commentario breve al diritto delle società a cura di Maffei Alberti; ZANARONE L’invalidità

delle deliberazioni assembleari, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e

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correlativa di identificare le situazioni in cui la legge stabilisce queste limitazioni, così determinando un vincolo all’agire dei soci.

Sarà conveniente trattare separatamente le due diverse questioni per agevolare la comprensione delle opinioni espresse.

Primariamente, va allora evidenziato che diversi dati contenuti nella disciplina relativa ai doveri dell’organo di controllo della società risultano indicativi dell’esistenza in capo a questo del dovere di valutare la legittimità delle decisioni dei soci .

Depone in tal senso, in primo luogo, il dettato dell’art. 2403 c.c. che, come noto, stabilisce il dovere dei sindaci di vigilare sul rispetto della legge e dello statuto senza poi specificare il soggetto destinatario del dovere primario conformarvisi e denunciando così una latitudine del dovere di controllo che non vi sono ragioni per ritenere sia riferita al solo organo amministrativo. Ciò tanto più se si considera che la stessa disposizione, nell’inciso immediatamente successivo, stabilisce altresì, in aggiunta, che il collegio sindacale sia pure tenuto a vigilare sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, così evidenziando una specificazione dei doveri su di questo gravanti nel controllo sui soggetti che svolgono l’amministrazione della società che implica, correlativamente, un’estensione in via generale del predetto dovere di vigilanza sul rispetto della legge e dello statuto (258) .

La stessa predetta dicotomia, indice dell’esistenza di una duplice regolamentazione per il controllo sull’attività degli amministratori e per quello sulla società in generale (e quindi anche sugli atti compiuti dai soci), si coglie pure nell’ambito della disposizione che disciplina la responsabilità dei sindaci verso la società (cfr. art. 2407 c.c.) nella quale si stabiliscono, in due commi separati, da un lato l’autonoma responsabilità dei sindaci per i danni derivanti dalla violazione dei loro doveri di vigilanza e, dall’altro, la responsabilità degli stessi, in solido con gli amministratori, per i danni derivanti dagli atti che non sarebbero stati compiuti qualora questi avessero adempiuto al dovere di vigilanza sulla gestione da parte loro della società.

258 il controllo sulla legalità delle decisioni dei soci si inquadra infatti nella generale

funzione di sopraintendenza sull’attività della società che l’organo di controllo è chiamato a svolgere nell’adempimento del proprio dovere di vigilanza: cfr. IRRERA, Collegio sindacale e assetti adeguati, in Il collegio sindacale. Le nuove regole, Milano, 2007, 273 s. MARCHETTI Le raccomandazioni Consob in materia di controlli societari: un contributo

alla riforma in Riv. Soc., 1999, 199; ALESSI, La nuova disciplina del collegio sindacale Società, 1998, 554;

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La sussistenza di un dovere di controllo dei sindaci sulle decisioni dei soci sembra peraltro confermata sia dalle norme sui poteri di quest’organo che da quelle che si volgono a tutela della sua indipendenza.

Sotto il primo profilo viene in considerazione (oltre chiaramente all’art. 2377 c.c.) in particolare la previsione contenuta all’art. 2405 c.c. che, come noto, stabilisce il diritto-dovere dei sindaci di partecipare alle assemblee dei soci e sanziona il sindaco che si astenga dalla partecipazione alle assemblee con la decadenza dall’incarico .

Con riguardo al secondo profilo sopramenzionato vengono in considerazione, da un lato, l’art. 2400 comma 2 c.c. che stabilisce che la revoca dei sindaci, per cui come noto è competente l’assemblea ai sensi dell’art. 2364 comma 1 n. 2 c.c., debba essere confermata dal tribunale, essendo altrimenti inefficace, dall’altro, la previsione contenuta all’art. 2402 c.c. che stabilisce che il compenso dei membri dell’organo di controllo venga stabilito al momento della nomina per tutta la durata della carica al chiaro scopo di evitare la possibilità di indebiti condizionamenti “di fatto” sull’operato di questi da parte dell’assemblea .

La considerazione dei dati finora esaminati induce a ritenere che la disciplina stabilisca in capo all’organo di controllo un potere svincolato funzionalmente dall’attuazione dell’interesse dei soci e, correlativamente, un regime di doveri e responsabilità strutturato senza tenere in conto degli stessi.

Questo dato sembra peraltro essere confermato dalla considerazione per cui, con la riforma del 2003, si è stabilito in capo al collegio sindacale il potere di sanzionare il comportamento inadempiente dell’organo amministrativo attraverso l’impiego di strumenti che non presuppongono il coinvolgimento necessario dei soci (neppure di quelli di minoranza), in particolare attribuendo al collegio sindacale la legittimazione all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità (ex art. 2393 comma 3 c.c.) e all’introduzione del procedimento del controllo giudiziario sulla società (nelle s.p.a.).

Le osservazioni finora svolte sembrano essere valide anche per l’organo di controllo nei sistemi alternativi di amministrazione e controllo della s.p.a., salvi gli adattamenti resi necessari sia dalla particolare struttura degli organi di controllo previsti in questi sistemi che dalle plurime lacune presenti nella relativa disciplina .

Accertata la sussistenza del dovere dell’organo di controllo di estendere la vigilanza dovuta in base all’art. 2403 c.c. anche alle decisioni dei soci, diviene fondamentale prendere posizione sulla possibilità di prospettare

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l’esistenza di un vincolo funzionale gravante in capo ai soci nell’esercizio del diritto di voto .

L’esistenza, accertata ai sensi delle disposizioni finora considerate, di un dovere di vigilanza dei sindaci sulle determinazioni adottate dai soci nelle materie di loro competenza è chiaro induca a ricostruire in termini particolarmente intensi l’eteronomia delle norme sull’organizzazione della società di modo tale per cui si potrebbe essere indotti a credere che, ai sensi della vigente disciplina, l’interesse utilitaristico del socio debba realizzarsi necessariamente per mezzo ed in conseguenza dello sviluppo dell’attività che costituisce l’oggetto sociale della società .

Per vero, un ulteriore elemento idoneo a far propendere in questo senso potrebbe essere individuato nella riconfigurazione nella s.p.a. (avvenuta con la riforma del diritto societario del 2003), da un lato, degli istituti dell’impugnazione delle delibere assembleari e del diritto di recesso del socio e, dall’altro, del regime di divisione delle competenze gestorie tra assemblea dei soci e consiglio di amministrazione .

In particolare, si potrebbe ritenere che con la definitiva soppressione della possibilità di riservare competenze attinenti alla gestione sociale all’organo assembleare (259) cui si sono significativamente accompagnati, da un lato, l’eliminazione del potere di impugnazione delle deliberazioni di questa da parte di ciascun socio e, dall’altro, l’ampliamento delle cause di recesso dalla società (260), si sia perseguito l’obbiettivo di “smorzare” il rilievo da

259 che sarebbe rilevabile in ragione del combinato disposto dell’art. 2380-bis comma 2 c.c.,

che come noto stabilisce che la gestione sociale spetti in via esclusiva all’organo amministrativo, e dell’art. 2364 comma 1 n. 5 che prevede ora che gli amministratori possano sottoporre all’assemblea soltanto le materie espressamente indicate nello statuto e che, comunque, questa sia chiamata ad autorizzare la decisione che, si deve allora ritenere, spetti comunque, pure in questo caso, solo all’organo amministrativo (che, indipendentemente dall’autorizzazione dell’assemblea sarà perciò libero di decidere se compiere o meno l’atto autorizzato cfr. GALGANO, Il nuovo diritto societario, Bologna, Zanichelli 2003, 203; SPADARO La controversa qualificazione giuridica del rapporto che

lega la società di capitali al suo amministratore in Le Società, 2017, 605 e ss.) come

peraltro avviene pure nell’ambito delle società personali in caso di amministrazione disgiuntiva ex art. 2257 c.c. (ma anche nella s.r.l. quando i soci abbiano deciso di adottare questo sistema di amministrazione) con riguardo alla decisione circa il compimento dell’atto che è stato fatto oggetto di opposizione dall’altro socio amministratore che questo potrà decidere di non porre in essere anche in caso di decisione positiva dei soci sul suo compimento cfr. DI SABATO, Diritto delle società, Milano, Giuffrè, 2011, 118; CAMPOBASSO (NT 246, 91) .

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oltre all’approntamento di una disciplina che rende effettiva la tutela del socio recedente, permettendogli, da un lato, di esercitare effettivamente l’exit dalla società, dall’altro, di

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riconoscersi alla posizione personale del socio rispetto all’attuazione del contratto sociale .

L’interesse del singolo socio verrebbe allora in considerazione, nella nuova disciplina delle società di capitali (261) (e/o quanto meno nell’ambito della nuova società per azioni), non come l’interesse in concreto perseguito dal socio mediante la partecipazione personale al contratto ma unicamente in relazione alle posizioni “tipiche” (262) ad esso riconosciute dalla normativa sull’organizzazione della società in funzione dell’attuazione del progetto associativo e di quello imprenditoriale delineati nell’ambito dell’atto costitutivo dell’ente e rappresentati, rispettivamente, dallo scopo e dall’oggetto della società.

La volontà singolare del socio pertanto, anche quando obbiettivamente rilevante in base alle norme sull’organizzazione della società per la determinazione dei predetti elementi (in funzione della struttura della partecipazione del socio, cfr. art. 2359 c.c.), si potrebbe spiegare soltanto nei limiti di accettare o rifiutare un determinato programma (modificando l’oggetto sociale, determinando la trasformazione dell’ente e/o la messa in liquidazione dello stesso), giammai nella possibilità di imporre una particolare interpretazione dello stesso conforme agli obbiettivi individuali (e perciò extrasociali) da esso perseguiti.

In quest’ottica, la tutela del socio trasfigurerebbe nella salvaguardia della possibilità per esso di svincolarsi in modo economicamente efficiente dalla partecipazione alla società quando ritenga che l’investimento in essa effettuato sia divenuto insoddisfacente.

Non a caso, il legislatore della riforma del diritto societario è intervenuto in modo quanto mai incisivo sull’istituto del recesso, introducendo (nella s.p.a. come nella s.r.l.) la possibilità per ogni socio di recedere liberamente nei casi in cui la società sia stata contratta a tempo indeterminato (salvo che si tratti di società quotata per la quale l’esistenza di un mercato secondario

conseguire la liquidazione dell’effettivo valore della partecipazione detenuta cfr. BIONE, Il

nuovo diritto delle società diretto da Abbadessa e Portale, Utet, Torino, 2007, 206;

ANGELICI, La riforma delle società di capitali, Padova, Cedam, 2003, 71) .

261 che però incide sistematicamente anche sulla disciplina della società personale, visto che

questa presenta vistose lacune e che, dall’altro, si ritiene che il dato intimamente connesso alla natura “personale” della società si sostanzi nella possibilità concessa ai soci di derogare ampiamente alle norme di organizzazione che, tuttavia, qualora questo potere di deroga non fosse esercitato, troverebbero comunque piena applicazione per quegli aspetti non disciplinati da disposizioni specifiche .

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della partecipazione viene evidentemente ritenuta garanzia sufficiente della possibilità di disinvestimento del socio) ed ampliando in maniera significativa il novero dei presupposti al ricorrere dei quali il recesso può essere esercitato nelle società contratte a termine (cfr. artt. 2437 e 2473 c.c.). La posizione giuridica del socio risulterebbe così sempre più assimilabile a quella degli altri soggetti che apportano mezzi finanziari alla società (segnatamente gli obbligazionisti e i titolari di strumenti finanziari partecipativi), differenziandosi il socio rispetto a questi solo per essere munito di un potere di incidenza sull’organizzazione societaria più forte in correlazione con il maggior profilo di rischio assunto con il proprio investimento che, come noto, non garantisce una remunerazione periodica attraverso la corresponsione d’interessi (263

).

Si tratterebbe, ad ogni modo, di un potere concessogli per tutelare in via diretta un interesse contrattuale predeterminato, definito integralmente dal contratto societario cui questi ha deciso di aderire mediante l’effettuazione del conferimento .

5. Sull’utilizzo del diritto di voto per il perseguimento di interessi

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