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Le prime configurazioni normative del principio di conservazione del patrimonio aziendale nella legge fallimentare e nella prima legge

CAPITOLO SECONDO

4. La conservazione del patrimonio aziendale nella disciplina dell’insolvenza delle “grandi imprese”

4.1. Le prime configurazioni normative del principio di conservazione del patrimonio aziendale nella legge fallimentare e nella prima legge

Prodi .

Dev’essere a questo punto evidenziato come la normativa introdotta dal Legislatore del ’42 non mancava neppure di prendere in considerazione l’esigenza della conservazione del valore del patrimonio aziendale dell’imprenditore insolvente.

63 Rileva la compressione dei poteri dei creditori nel regime introdotto dalla legge

fallimentare del ’42 rispetto al regime previgente, JORIO (NT 55, 19) . Da un rapido raffronto tra le disposizioni contenute nel predetto Codice di Commercio e quelle accolte nella legge fallimentare nella sua versione originaria (anche se i successivi interventi di riforma hanno toccato solo marginalmente le norme sul curatore fallimentare) si evince chiaramente l’accentuazione del carattere officioso della procedura in questione . Si consideri in particolare che sotto l’imperio del Codice di commercio la nomina del curatore era meramente provvisoria finché non fosse stata ratificata dai creditori del fallito in adunanza (cfr. artt. 691-717 Cod. Comm. 1892 disponibile su http://www.antropologiagiuridica.it/codecomit82.pdf), che questi, successivamente, potevano, con la maggioranza dei creditori ammessi corrispondente ai ¾ del totale dei crediti ammessi, revocare il curatore in ogni momento e senza neppure esporre le ragioni di tale decisione e sostituirlo con diverso soggetto (art. 719 Cod. Comm. 1982, salva in ogni caso anche la possibilità che la revoca del curatore fosse disposta su decisione del tribunale di commercio, previa richiesta di ciascun creditore o da parte della Delegazione dei creditori, cfr. art. 720 e 726 Cod. Comm. 1892);

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La legge fallimentare infatti, ancora innovando rispetto al quadro precedente, introduceva le procedure di concordato preventivo e, soprattutto, l’amministrazione controllata, aprendo così la strada all’adozione di strumenti di gestione dell’insolvenza che si fondassero sulla prosecuzione dell’attività d’impresa invece che sulla sola liquidazione dell’attivo patrimoniale dell’imprenditore insolvente.

Come noto, con quest’ultima procedura si prevedeva la possibilità da parte del tribunale, previa deliberazione favorevole della maggioranza dei creditori che rappresentassero almeno i due terzi dell’intera esposizione del debitore, di concedere all’imprenditore insolvente la possibilità di proseguire nell’esercizio della propria attività al riparo dalle azioni esecutive e sotto la vigilanza del commissario giudiziale (64) per un tempo massimo di due anni (65) .

All’esito dell’opera interpretativa compiuta da certa dottrina e dalla giurisprudenza (66) riguardo al presupposto oggettivo che legittimava l’apertura della procedura (identificato dall’art. 187 l.f. nella temporanea difficoltà di adempiere (67)), si stabiliva che questo dovesse identificarsi con lo stato d’insolvenza vero e proprio e dunque emergeva correlativamente che questa procedura si caratterizzava, in chiave strettamente funzionale, per la sua strumentalità a rendere l’insolvenza dell’imprenditore temporanea . Si riconobbe conseguentemente, pure facendo leva sul dato formale contenuto all’art. 197 l.f. per cui nel caso l’insolvenza non fosse stata superata in esito al predetto periodo biennale di durata della procedura questa si sarebbe convertita in fallimento, che i nuovi debiti contratti dall’imprenditore nel corso dell’amministrazione controllata per la prosecuzione dell’attività avrebbero dovuto essere collocati in prededuzione nel successivo fallimento.

64 che poteva, su domanda dei creditori, essere immesso nella titolarità della gestione

dell’impresa.

65 prorogabile una sola volta per altri 2 anni se il tribunale riteneva esservi la possibilità di

addivenire al risanamento dell’impresa ex art. 2 l. 24/07/1978 n. 391 .

66 G

AMBINO Sull’uso alternativo della procedura di amministrazione controllata in AA.VV. Atti del convegno di Verona 28-29 ottobre 1977, L'uso alternativo delle procedure

concorsuali, in Giur. comm., 1979, 237; LOCATELLI Amministrazione controllata in Novissimo Digesto Italiano, Appendice, Torino, Utet, 1981 295; in giurisprudenza: Cass.

14/10/1977 n. 4370 conf. Cass. 04/06/1980 n. 3636 .

67 ma del tutto equivalente all’insolvenza sotto il profilo economico, secondo quanto

evidenziato dalla dottrina prevalente: cfr. SATTA (NT. 56, 421-424); PROVINCIALI, Trattato

di diritto fallimentare, IV, Milano, Giuffrè, 1974, 2407 e ss.; PELLEGRINO G., Lo stato

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Nella procedura di amministrazione controllata si colgono i caratteri strutturali minimi che qualificano l’operare della disciplina concorsuale nella sua funzione di tecnica per la salvaguardia del patrimonio aziendale dell’imprenditore e, cioè: la conferma dell’impiego dell’azienda allo svolgimento dell’attività impresa, la protezione degli elementi di cui esso si compone dal pericolo di subire la disgregazione in conseguenza delle iniziative dei creditori per l’attuazione dei loro diritti, il vincolo imposto sulle utilità emergenti dallo svolgimento del ciclo produttivo a remunerare i soggetti fornitori dei mezzi di produzione durante la fase in cui l’impresa è esercitata in stato d’insolvenza .

La predetta funzione conservativa del patrimonio dell’imprenditore, e correlativamente questi stessi predetti caratteri strutturali, informano di sé la legge sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi (68

), introdotta dal D.L. n. 26 del 30/01/1979 convertito in legge 03 aprile 1979 n. 95 .

Le norme sulla gestione della procedura, che come noto è affidata all’Autorità amministrativa che nomina fino a tre commissari straordinari coadiuvati da un comitato di esperti (il comitato di sorveglianza) e non più all’Autorità giudiziaria al pari della liquidazione coatta amministrativa (alla cui disciplina la legge fa richiamo per quanto non espressamente previsto), prevedono infatti che la prosecuzione dell’attività caratteristica dell’impresa insolvente venga disposta dal decreto che stabilisce l’apertura della stessa, tenendo conto dell’interesse dei creditori che però non sono chiamati a deliberare sulla predetta iniziativa a differenza di quanto previsto

68 La procura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi,

nell’originario impianto previsto dalla l. 95/1979, era riservata a quelle imprese che avessero almeno 300 dipendenti da almeno un anno antecedentemente l’insorgere dello stato d’insolvenza e che presentassero un indebitamento verso creditori finanziari (istituti di credito speciale e aziende di credito) ed enti previdenziali non inferiore a lire 35 miliardi e superiore a 5 volte il capitale sociale sottoscritto e versato (cfr. art. 1 l. 95/1979-abr.). Quest’ultimo limite dimensionale attinente all’indebitamento, veniva aggiornato periodicamente dal Ministero dell’industria. Si prevedeva poi, anche, l’ammissione alla procedura della società controllante una società in possesso dell’ultimo suddetto requisito . Da ultimo (art. 1-bis l. 95/1979-abr. introdotto dal D.l. 17/1993 conv in l. 19/1993) era prevista anche la sottoposizione ad amministrazione straordinaria degli imprenditori (sempre che avessero alle proprie dipendenze almeno 300 lavoratori), divenuti insolventi in ragione dell’obbligo di restituire finanziamenti pubblici di importo pari ad almeno 50 miliardi di lire, erogati in violazione degli artt. 91-92 TCE e di quelli, già insolventi, che avessero tra i loro debiti almeno euro 50 miliardi erogati per finanziamenti in ricerca e innovazione tecnologica, purché avessero alle loro dipendenze almeno 800 lavoratori .

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nell’amministrazione controllata disciplinata dalla legge fallimentare (art. 2 comma 1 l. 95/1979 abr.) .

L’esercizio dell’impresa, che si poteva protrarre per un tempo massimo di cinque anni (nel caso in cui fossero coinvolte nella stessa anche le società controllate e/o collegate a quella ammessa alla procedura), veniva portato avanti sulla base di un piano dell’organo commissariale che si doveva volgere, per espressa disposizione di legge, alla conservazione dell’unità dei complessi aziendali e svolgersi sulla base delle indicazioni di politica industriale fornite dall’Autorità amministrativa.

I crediti che sorgevano nel corso della procedura non erano soltanto prededucibili ma beneficiavano altresì di un’apposita garanzia fornita dallo Stato che si sarebbe rivalso poi sul patrimonio dell’imprenditore insolvente (art. 2-bis l. 95/1979 abr.) .

Nel caso in cui il programma dell’organo commissariale avesse previsto la cessione dei complessi aziendali, il cessionario avrebbe potuto “scontare” dal prezzo di acquisto dell’azienda il valore negativo dell’avviamento, e cioè, le perdite che questi avrebbe prevedibilmente subito nei due anni successivi l’acquisto del complesso aziendale per la continuazione dell’esercizio dell’impresa (69

) .

4.2. La “tecnica” della Legge Prodi-bis e la conservazione del

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