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CAPITOLO SECONDO

2. La gestione della crisi oltre la teoria dei commons

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Come certa dottrina (50) non ha mancato correttamente di evidenziare, la disciplina delle situazioni di insolvenza del debitore (51) non svolge infatti la

50 Il fatto che, in concreto, la disciplina della composizione della crisi d’impresa sia

conformata in modo tale per cui la stessa si volge al perseguimento, anche, di esigenze differenti dalla sola massimizzazione del valore economico (inteso in senso lato e non soltanto meramente monetario) che la collettività dei creditori può ricavare dall’escussione del debitore insolvente (e, in particolare, alla predisposizione di un sistema di redistribuzione delle perdite sistemiche che determina l’insolvenza dell’imprenditore) è dato condiviso nella dottrina che si è concentrata sul fondamento funzionale della disciplina della crisi d’impresa la quale si divide però sul giudizio, in termini di razionalità, da attribuirsi a questo dato (senza neppure omettere di considerare anche il fenomeno della coincidenza tra istanze redistributive e di massimizzazione dell’utilità per i creditori): cfr. sul punto, con diversi accenti valutativi rispetto alla natura intrinsecamente polifunzionale della disciplina di regolazione della crisi di impresa: JACKSON-SCOTT On the Nature of

Bankruptcy: An Essay on Bankruptcy Sharing and the Creditor’s Bargain in Virginia Law

Review, 1989, 75, 157-158 e162 e ss.; WARREN Bankruptcy Policymaking in an imperfect world in Virginia Law Review 1992, 336 e ss.; STANGHELLINI (NT 45, 67-115) .

51 E cioè sia di quelle situazioni nelle quali il debitore venga a trovarsi in una situazione di

strutturale ed inemendabile illiquidità per qualsiasi ragione ciò avvenga che in quelle nelle quali è comunque ragionevole ritenere che lo stesso, per lo stato di crisi in cui versa, finirà per trovarsi nella predetta situazione . Sembra allora opportuno precisare che, seppure non possano esserci dubbi sul fatto che la legge fallimentare, al pari di molte altre a livello europeo e internazionale, dispone l’ ”attivazione” delle misure in essa contenute a tutela del valore del patrimonio aziendale e dell’interesse dei creditori, allo stesso tempo, la stessa ha preso coscienza di come i valori predetti necessitino di una tutela non inferiore pure in quelle situazioni nelle quali l’illiquidità dell’imprenditore sia, ragionevolmente, da ritenere lo sbocco inevitabile della pianificazione strategica che questi sta implementando .

Questo dato mi pare sia reso chiaro dal dettato del comma 3 dell’art. 160 l.f. nell’affermare che lo stato di crisi è anche lo stato d’insolvenza. Ciò a prescindere dal fatto che si consideri la predetta nozione di crisi, introdotta dal Legislatore della riforma del 2005- 2007, come uno stato di tensione finanziaria che non si risolve nell’insolvenza in quanto venutosi a verificare per particolari elementi contingenti (che possono consistere, in concreto, nella particolare natura dell’impresa e/o del settore in cui essa opera; cd. insolvenza temporanea) o per l’attuale mancanza di gravi inadempimenti da parte dell’imprenditore (pericolo di insolvenza) secondo quanto ritenuto da certa parte della dottrina (cfr. AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei

debiti in Trattato di diritto commerciale diretto da Cottino, Padova, Cedam, 2008, 23 e ss.;

GUGLIELMUCCI Diritto fallimentare, Torino, Giappichelli, 2011 , 60 e ss.; CAVALLI La dichiarazione di fallimento: presupposti e procedimento, in La riforma della legge fallimentare profili della nuova disciplina a cura di Ambrosini, Zanichelli, Bologna, 2006;

RACUGNO Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale. Profili

di diritto sostanziale in Trattato di diritto fallimentare a cura di Bassi e Buonocore, Padova

Cedam, 2011 o invece come un concetto privo di un riferimento materiale sostanzialmente differente dall’impresa insolvente (cfr. PRESTI Rigore è quando l’arbitro fischia? in Fallimento 2009 allegato 1, 25; GALLETTI Commento sub. art. 160 l.fall. in Il nuovo diritto

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sola funzione di coordinare le iniziative dei creditori al fine di evitare che questi pregiudichino la possibilità di adottare la soluzione più efficiente, in primis per loro stessi, relativamente all’impiego del patrimonio del comune debitore ma si volge anche ad altri parimenti importanti obbiettivi (52). Si è così evidenziato come la disciplina sulla gestione della crisi dell’impresa ponga le basi indispensabili per preservare (a beneficio di tutto il sistema economico e non solo dei creditori dell’imprenditore in crisi) il valore dell’azienda dell’imprenditore in crisi, scongiurando la disgregazione della stessa, da un lato, e, dall’altro, evitando che la stessa continui a rimanere “intrappolata” in impieghi improduttivi come il perseguimento del progetto imprenditoriale, evidentemente inefficiente, attuato fino a quel momento dall’imprenditore in crisi e/o la gestione meramente conservativa cui è sottoposto durante la procedura concorsuale in vista della sua liquidazione (53) .

Le norme sulla gestione della crisi dell’imprenditore sono poi chiamate a predeterminare il criterio di distribuzione del valore correlato a quel patrimonio in accordo con i principi stabiliti dall’ordinamento (come risulta nel nostro ordinamento dalla disciplina dei privilegi, cfr. artt. 2741 e ss. c.c.). Ciò sia che lo stesso venga liquidato all’esito della relativa procedura, sia nel caso in cui questo venga ricondotto alla funzione produttiva sua propria (con conseguente salvaguardia del complesso dei rapporti economici correlati all’impresa) .

Non di meno, la disciplina di composizione della crisi svolge un ruolo di primario rilievo nell’incentivare la generalità degli operatori economici a predisporre adeguati sistemi per monitorare e gestire l’insieme dei rischi cui le relative imprese sono sottoposte (54) e nel minimizzare l’esternalizzazione della perdita derivante dalla crisi verso soggetti diversi dall’imprenditore e dai soggetti che con questo hanno intrattenuto rapporti (assumendo così su di sé, correlativamente, il relativo rischio e l’onere di monitorare l’andamento dell’impresa) .

fallimentare, a cura di Jorio e Fabiani, Bologna, Zanichelli, 2010, 2275 e CENSONI, Il nuovo

concordato preventivo in Giur. comm. 2005, 725 e ss.).

52

Warren (NT 43 p. 343-344) .

53

cfr. EIDENMÜLLER (NT 7 p. 252); PAULUS et al. (NT 35, 12 e ss.);NIGRO-VATTERMOLI

Diritto della crisi delle imprese, Bologna, Il Mulino, 2012, 25 e ss.

54 G

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3. Dal Codice di commercio alla Legge fallimentare. Primi profili di

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