• Non ci sono risultati.

PARTE II IL CASO DI STUDIO “DRIPPING TASTE, L’ARTE NEL PIATTO”

3.5 Dripping Taste: sulle tracce della Piccola Atene e del Festival

Non è certamente un caso che la manifestazione “Dripping Taste: l’arte nel piatto” abbia luogo a Treviso. Dripping Taste si presenta in qualche modo come il rinnovato riflesso di quell’ambiente vivace in cui viveva la città attorno agli anni ’50-’60 del Novecento e che aprì la strada ad iniziative indirizzate alla valorizzazione e alla riscoperta delle nostre tradizioni, in particolare della cucina popolare.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale che portò a Treviso grandi distruzioni e lutti, l’intera città seppe rialzarsi e superare momenti di grande povertà grazie all’umiltà delle sue genti, dei suoi contadini e di tanti emigranti. Nel periodo di pace che seguì il conflitto ci fu una vera e propria rinascita anche dal punto di vista culturale, la città si guadagnò così il titolo di “Piccola Atene”, come la definì Dino Buzzati31. Treviso, le sue piazze e le tipiche osterie furono pervase da una ventata di cultura, accogliendo tra le sue mura poeti ed artisti come Giovanni Comisso, Sante Cancian, Arturo Martini e Gino Rossi, per citarne alcuni tra i più importanti. Quest’atmosfera di joie de vivre si respirava soprattutto nelle piccole e tipiche osterie cittadine che in quegli anni diventarono anche dei luoghi di cultura essendo molto spesso luogo di ritrovo per personaggi di spicco del capoluogo veneto, acculturati e artisti apparendo anche nei loro schizzi e nelle opere d’arte (l’ambiente delle osterie si ritrova ad esempio nei disegni di S. Cancian). In questi locali, dove aleggiava una cordialità spontanea e popolare, ci si poteva scaldare con un piatto tradizionale di zuppa di trippe o gustare altri piatti caratteristici come musetto e nervetti. Ogni osteria era comunque conosciuta per un suo piatto forte, tanto da richiamare anche forestieri che venivano in città solo per assaggiare queste leccornie; l’Osteria Toni da Spin, ancora oggi esistente, era famosa ad esempio per il baccalà, mentre la celebre Osteria Boschiero di Piazza Pola era conosciuta da tutti per la sua personale versione della sopa coada, una sorta di zuppa di piccione molto ricercata nel trevigiano di cui oggi si è un po’ perso il gusto.32

31 Fonte non certa. Tale denominazione, dopo varie discussioni, è stata attribuita a Dino Buzzati

il quale avrebbe parlato per la prima volta di Treviso come “La Piccola Atene” in un suo articolo apparso sul Corriere della Sera.

32 Interessante è la storia della sopa coada, piatto tipico della cucina trevigiana. L’origine rimane

incerta, i primi riferimenti nelle vecchie liste delle vivande servite nelle osterie di Treviso appaiono solo dopo l'Unità d'Italia. Sono state riscontrate similitudini con una zuppa della tradizione gastronomica sarda, chiamata suppa quatta, che si compone di brodo ristretto di carni miste, di pane e di formaggio in abbondanza. Si narra che nel Risorgimento durante la guerra un tamburino sardo arrivò a Treviso e s’innamorò di una fanciulla, donò così alla sua famiglia la ricetta di questa zuppa. La famiglia trevigiana però sostituì l’uso della carne di pecora

con quella di piccione.

Nel Novecento molte osterie di Treviso proponevano la loro versione del piatto. Nel libro “La cucina trevigiana” (1983), Maffioli ricorda la variante dell’Osteria Boschiero, una delle più note,

3.5.1 Il Festival della Cucina Trevigiana

E’ soprattutto grazie a personalità come Dino De Poli, Giuseppe Maffioli e Giuseppe Mazzotti che la ristorazione trevigiana ricevette un impulso determinante. Giuseppe Maffioli, in arte Beppo Maffioli, è sempre stato grande appassionato di cucina e si è sempre adoperato nel far conoscere in Italia e nel Mondo la cucina trevigiana, lasciando con il suo operato ed i suoi scritti un’impronta importante nel mondo della gastronomia. Alla fine degli anni ‘50 Dino de Poli, all’epoca assessore alle attività produttive, ebbe un’idea creativa che accolse subito l’entusiasmo di Maffioli e Mazzotti, allora direttore dell’Ente Provinciale per il Turismo, i quali colsero subito l’importanza del progetto, anche da un punto di vista turistico. L’idea era di organizzare una sorta di itinerario dei ristoranti trevigiani, una gara-spettacolo della cucina trevigiana tradizionale da proporre durante le Fiere di San Luca nel quale gli esercenti partecipanti presentavano i loro piatti ideati seguendo un determinato tema. La proposta nacque dall’amore per quella cucina tradizionale costituita da piatti semplici realizzati con i prodotti del territorio di cui la Marca era ricca, cucina che doveva essere incoraggiata e salvaguardata nel rispetto della tradizione. Nel 1959 venne così istituto il Festival della Cucina Trevigiana, in assoluto il primo festival gastronomico in Italia, che divenne poi esempio non solo in Veneto ma anche nel resto del Paese per questo tipo di manifestazioni, di cui oggi abbiamo numerosi esempi. Il festival venne riproposto per altre 6 edizioni, dal 1959 al 1967, omaggiando l’autentica tradizione della cucina locale.

La prima edizione, dedicata alla cucina popolare dell’Ottocento, ebbe luogo nello stand del grande parco di divertimenti delle Fiere di San Luca. Qui 14 esercenti della provincia di Treviso, già molto noti al pubblico considerata la fama di cui godevano le pietanze che preparavano nei loro locali, cucinavano i loro piatti nella cucina del Bar Peruzza di fronte alle Fiere per poi presentarli ad trasponendone anche la ricetta in modo tale da tramandarne l’autentica ricetta che oggi è salvaguardata anche dall’Accademia italiana della cucina, delegazione di Treviso.

una giuria che proclamava infine il piatto vincitore. Il festival durava all’incirca una ventina di giorni, i giorni in cui si svolgevano le Fiere di San Luca, ed ogni sera i visitatori avevano l’opportunità di gustare un menù differente che proponeva i piatti caratteristici della cucina trevigiana potendo anche esprimere il loro giudizio tramite l’utilizzo di schede che venivano poi prese in considerazione dalla stessa giuria che stilava la graduatoria.

Particolarmente d’interesse fu l’edizione IV del 1962. In quell’anno Treviso ospitava nel Palazzo dei Trecento la mostra di Cima da Conegliano che fu uno degli eventi artistici più riusciti in quell’anno in Italia. Il Festival della Cucina Trevigiana, a conferma del fatto che la cucina è intimamente legata a civiltà e cultura, volle continuare la scia creata dalla mostra rendendo omaggio al pittore e all’atmosfera di fine ‘400, partendo dall’opera di un cuoco poco posteriore al Cima: il ricettario-cronaca del Messibugo.

Il Festival della Cucina Trevigiana si concluse con l’edizione del 1967, ma la sua esperienza aprì le porte a svariati altri eventi di impronta enogastronomica, primi fra tutti quelli organizzati dal Gruppo Ristoratori della Marca Trevigiana che venne istituito pochi anni più tardi e a cui facevano parte molti tra gli esercenti partecipanti alla gara-spettacolo.

Tra i premiati che vinsero il piatto d’oro nelle varie edizioni troviamo nomi come Leoni Agnoletti (maestro nella cottura dei funghi), Lino Toffolin, Carletto (il primo a presentare il radicchio rosso cotto alla griglia e proprietario di una trattoria fuori città, tappa ambita da molti foresti, sulla strada per Cortina), i Campeol delle storiche “Beccherie” e i fratelli Zanotto del “Gambrinus” di San Polo di Piave.

La rassegna gastronomica fu un notevole successo e viene ricordata dai partecipanti che gareggiarono in uno spirito di sana competitività come un evento sicuramente stimolante, sia dal punto di vista professionale che personale.

Essa ha avuto il vanto di essere il primo evento in Italia ideato non tanto per sostenere la gastronomia da un punto di vista industriale e commerciale quanto per rivalorizzarla e riscoprire l’autenticità e genuinità dei cibi della Marca, delle sue genti e delle sue tradizioni. La cucina, infatti, è strettamente legata alla storia di un territorio ed è uno tra gli elementi che più concorrono alla formazione dell’identità culturale di una comunità, per questo gli uomini di punta dell’Accademia italiana della Cucina (Delegazione di Treviso)33 hanno sin da subito cercato di preservarla e tramandarla negli anni. Lo stesso Mazzotti affermava: “Non si tagliano le radici che ci uniscono al passato. Da esse viene nutrimento di vita per le generazioni che sopraggiungono e che devono avere coscienza e conoscenza di ciò che è stato nel passato la loro città”. Inoltre, cosa non meno importante, furono confermate le potenzialità turistiche dell’evento. Il Festival della Cucina Trevigiana, infatti, seppe creare delle occasioni non solo gastronomiche, ma anche culturali e turistiche tali che Treviso e la sua provincia diventassero una meta desiderata e potesse tornare alla memoria come la cosiddetta “Marca gioiosa”.

La Marca, che grazie a questi appuntamenti godette di un’accresciuta visibilità sul panorama nazionale, fu riconosciuta come la miglior provincia veneta dal punto di vista gastronomico. Tutt’oggi, a conferma della giustificata fama della provincia di Treviso per la sua gastronomia, il territorio vanta di una produzione agroalimentare variegatissima e di prodotti di qualità riconosciuta (ricordiamo eccellenze quali il Prosecco, e il radicchio di Treviso e di Castelfranco).

33 Istituita nel 1954, è veicolo di promozione culturale e divulgazione dei principi e dei valori

fondamentali dell'Accademia stessa. L’Accademia Italiana della Cucina, nata nel 1953, si prefigge come mission la salvaguardia delle tradizioni della cucina italiana e della cultura della civiltà della tavola, espressione viva e attiva dell'intero Paese.