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Approdato a Recanati dopo aver subito un tentativo di assassinio imputabile probabil- mente a dei conniventi di Pantasilea, Vicino vaga per due giorni per le vie della città quando finalmente vince la propria renitenza e decide di andare a vedere il polittico di Lorenzo Lotto alla ricerca dell'effigie del padre Gian Corrado. Dopo aver scandagliato in lungo ed in largo il dipinto del suddetto Lorenzo Lotto, Vicino individua nel perso- naggio di San Sigismondo i tratti morfologici paterni risalenti a più di un lustro dalla sua scomparsa, nel tentativo di discernere un'ermeneutica plausibile sulle motivazioni che spinsero Lotto ad includerlo nell'opera ma, soprattutto, che cosa intendesse esprime- re l'artista veneziano associando la personalità ieratica di San Sigismondo a quella guer-

riera di Gian Corrado. Dopo essersi posto numerosi quesiti a riguardo, Silvio de Narni gli sussurra di notare una vaga somiglianza tra Orsini padre e figlio, sovvertendo ancor più le già confuse idee del Duca di Bomarzo che, nonostante l'estemporanea obnubila- zione, rivolge una prece alla memoria del padre e simultaneamente manifesta l'intenzio- ne di farsi ritrarre per mano di Lorenzo Lotto.

Poco prima di intraprendere il cammino verso il ritorno a Bomarzo, Vicino riceve una lettera, da parte della nonna Diana Orsini, fitta di congratulazioni per il riuscito raggiun- gimento degli obiettivi prefissati in un arco di tempo estremamente contenuto. Viene al- tresì acclusa un'accurata descrizione dei principali membri della famiglia Farnese, di cui Diana si compiace per l'azzeccata scelta da parte del nipote sull'immediato apparenta- mento che, a suo dire, garantirà a Bomarzo la prosecuzione della storica nomea. Ma l'in- no al giubilo viene presto spezzato da un ammonimento piuttosto severo che Diana muove a Vicino, imputandolo di eccessiva levità nell'aver consentito a Sigismondo di andare al servizio di Pier Luigi Farnese, figlio di Alessandro, uomo dalla controversa condotta morale in grado di campare solo mediante espedienti. Diana Orsini è inoltre adontata col nipote per essersi lasciato relegare nelle file secondarie durante la cerimo- nia d'incoronazione di Carlo V, con conseguente danno simbolico e d'immagine per la famiglia Orsini.

Per vincere l'afflizione derivata dalla stigmatizzazione di Diana, Vicino si dedica alla scrittura di epistole da indirizzare alla futura moglie Giulia Farnese (l'accordo sottoscrit- to con Galeazzo prevedeva che Giulia rimanesse per un altro anno nella dimora paterna), quando una sera, nel mentre della lettura di una missiva scrittagli da Giulia, il Duca di Bomarzo subisce il secondo tentato omicidio da parte di un individuo masche- rato, cavandosela con una lieve escoriazione sulla spalla destra. Il romanzo si tinge sem- pre più di tinte fosche secondo un meccanismo che Lainez sembra prediligere per ap- portare scompiglio nella narrazione al fine di non depauperare l'interesse suscitato da un particolare fatto o personaggio. Dopo aver introdotto il motivo del presunto attentatore alla vita di Vicino, lasciando in sospeso la questione in modo da incrementare l'attesa spasmodica per l'evolversi della situazione, con maestria l'autore argentino sposta il fo- cus narrativo su due nuovi accadimenti, la nascita di un bambino chiamato Fulvio e l'ar- rivo di una lettera sbagliata nella corrispondenza tra Vicino e Giulia, uniti dal comun de- nominatore di Maerbale, assurto ormai ad ossessione del Duca di Bomarzo. La nascita

del piccolo Fulvio viene attribuita infatti ad un atto di concupiscenza tra il fratello mino- re di Vicino ed una contadina del territorio, mentre l'epistola, letta casualmente da Vici- no per un mero errore nella consegna da parte dell'emissario, attesta l'esistenza di una corrispondenza segreta tra Maerbale e la futura moglie del Duca di Bomarzo, il quale, come preventivabile, sospetta un soverchiamento ai suoi danni da parte dell'inviso ter- zogenito di Gian Corrado Orsini, dibattendosi a più riprese sull'eventualità se finirlo o meno.

Il tanto abiurato modus operandi paterno incline alla violenza pervade pertinacemente l'animo viciniano, celante dietro la maschera dell'indifferenza nella facoltà di prendere decisioni sull'eliminazione fisica di possibili nemici o concorrenti il consustanziale gene orsiniano della rivalsa mediante il cospargimento di sangue dell'antagonista. Sembra fi- nanco che, per un capzioso disegno creato ad arte dal fato, il Duca di Bomarzo sia chia- mato a sterminare la parte più diretta della sua progenie (il padre ed i due fratelli) per poter condurre un'esistenza scevra da inquietudini e potersi dedicare esclusivamente alla famiglia ed al progetto in fieri della trasformazione del giardino del palazzo di famiglia. Maerbale scampa momentaneamente al destino mortifero riservatogli dal fratello ar- ruolandosi nelle truppe in servizio a Venezia ed allentando in tal modo l'affiorare di pro- positi fratricidi da parte del Duca di Bomarzo, desto a sorvegliare l'amministrazione dei possedimenti terrieri a lui intestati. Tuttavia, salvo risolvere un'asettica disputa tra due signore per la cura dei gatti presenti nel territorio, Vicino si segnala per una condotta di vita dedita allo sfrenato edonismo promiscuo alla crescente neghittosità che lo avvolge, spingendolo ad abbandonare per la seconda volta Bomarzo in direzione di Venezia. Nel- la città lagunare, il protagonista del romanzo anela ad incontrare Lorenzo Lotto, desi- gnato ad eseguire il suo ritratto, e Paracelso, oggetto del contendere dialettico da parte di due opposte fazioni studentesche incontrate durante il viaggio in quel di Ancona.