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Il secondo capitolo, recante il titolo di Incertidumbres del amor (Trepidazioni d'amo- re), si apre con il passaggio di Vicino e dei suoi compagni di viaggio tra la fervente vita del capoluogo toscano, città estremamente magniloquente nell'esercere le proprie attivi- tà e funzioni e frammistionata, in ogni sua piccola frazione, da chiacchericci di mercato e risonanze di liuti, clavicembali, tromboni, organi ,viole, arpe e corni. La meta dei tre giovani capitanati da Messer Pandolfo prevedeva il raggiungimento dell'alloggio presso

il palazzo dei Medici, come da volere del nonno Franciotto e del padre Gian Corrado Orsini. Giunti a destinazione, la prima persona della famiglia Medici con cui Vicino ed i suoi compagni di viaggio si imbattono è il giovane Ippolito, già informato da Franciotto sull'arrivo dell'aborrito nipote. Ma a sconvolgere il futuro Duca di Bomarzo è, ancora una volta, il contatto ravvicinato con una donna, in quest'occasione dovuto alla cortese forma di saluto in auge all'epoca che imponeva alla donna il bacio sulle labbra al discen- dente di un'illustre prosapia. La dama in questione risponde al nome di Adriana dalla Rosa, previamente menzionata per i componimenti poetici dedicateli da Vicino, il quale sin da primo acchito rimane turbato dalle angeliche fattezze della giovane damigella di Caterina dei Medici. L'alterazione introspettiva causata dalle pulsioni amorose pare ri- calcare i topoi letterari dell'amor cortese e gli spasimi petrarcheschi nello scorgere l'a- mata Laura, tanto più che la descrizione di Adriana dalla Rosa converge in direzione della “donna-angelo” (chioma flavescente, grazia innata, piacevole leggiadria) di stilno- vistica memoria. Può non essere un caso che la prima donna di cui Vicino si invaghisce possieda una connotazione fisica e deontologica assai similare a quella della donna de- dicataria di numerosi scritti composti da Petrarca, autore, come abbiamo visto, tra i più influenti sulla personalità artistica del futuro Duca di Bomarzo per le numerose scritte campeggianti lungo il percorso del “Sacro Bosco” rievocanti, appunto, citazioni lettera- rie della Corona fiorentina.

Il bacio scambiato con Adriana dalla Rosa scatena in Vicino delle pulsioni talmente ir- refrenabili che lo conducono a trasmutare quell'episodio in una dimensione onirica di non semplice decifrazione. Infatti, l'ambientazione ricorda a Vicino il parco di Bomarzo ed oltre ad Adriana compaiono in sequenza Ippolito (che bacia sulla bocca Vicino alter- nativamente alla stessa Adriana), la nonna Diana Orsini (dalla cui catena d'oro pende la sfolgorante medaglia d'oro donata da Benvenuto Cellini a Vicino) ed il cardinale Passe- rini (tutore di Ippolito). Tuttavia, l'elemento maggiormente capzioso dell'immaginifica visione è costituito dallo stagliarsi della statua del David di Michelangelo, già menzio- nato nel primo capitolo a proposito di un racconto di Gian Corrado Orsini sul trasporto della medesima statua per le vie di Firenze. Non è del tutto improbo cogliere anche nel secondo sogno il medesimo intento prefigurativo del primo, data l'immancabile presen- za di Diana Orsini, preconizzatrice dell'ascesa del prediletto nipote al Ducato di Bomar- zo, e del David di Michelangelo, rappresentazione simbolica dell'umana normalità che

vince il gigante Golia, assumendone le sue colossali sembianze. Come Davide sconfig- ge il gigante Golia sfoggiando temerarietà e coraggio, così Vicino dovrà combattere ala- cremente sia contro le proprie menomazioni fisiche che contro le avversità, apparente- mente insormontabili, perpetrategli dalla famiglia per conquistare il territorio che gli consentirà di riscrivere la storia della stirpe di appartenenza, il tutto sotto l'egida della benevolenza di Diana Orsini e della catena d'oro portafortuna di Cellini. Parimenti, tale commistione di oniriche figurazioni può non aver alcun risvolto simbolico prefigurante il futuro connubio tra Vicino e Bomarzo, anche se l'insistenza di Lainez nel riservare a Vicino lauti spazi onirici addensati di futuri avvenimenti lascia presagire che non si trat- ti di una mera casualità narrativa.

Nel prosieguo dell'esperienza fiorentina, Vicino approfondisce la conoscenza di un ra- gazzo nero affiliato ad Ippolito, chiamato Abul, catturato bambino dai pirati e rivenduto ai mercanti di schiavi portoghesi. Abul era un abile ammaestratore di elefanti, in parti- colare del pachidermico Annone, con cui condivide la traversata dall'Africa all'Europa per giungere in Portogallo. Tra varie peripezie, Abul ed il suo colossale amico approda- no a Roma per intrattenere il pubblico astante a cerimoniali papali ed incoronazioni poe- tiche, divenendo in breve tempo una delle maggiori attrazioni per l'incuriosito stuolo di appassionati inclini all'esotico, sulla scia della quasi contemporanea scoperta della Ame- riche da parte di Cristoforo Colombo. La leggenda vuole che Annone, presenziando al- l'ennesima laurea poetica di un soggetto per nulla meritevole di tale attributo, getti a ter- ra e ridicolizzi il malcapitato. Poco dopo questo episodio, Annone muore ed Abul viene assunto ai servigi di Ippolito de' Medici.

La storia di Annone ed Abul affascina a tal punto Vicino che, nel momento di appul- crare il suo “Sacro Bosco” con statue e manufatti previamente analizzati, decide di ac- cludervi un omaggio alla singolare coppia di amici provenienti dall'Africa ergendo la colossale statua raffigurante l'elefante che annoda la proboscide sul corpo del soldato ro- mano, identificabile, sempre secondo il Vicino-narratore, nel giovane Beppo.

Il capitolo rimane tuttavia imperniato sul coinvolgimento emotivo di Vicino nei con- fronti di Adriana dalla Rosa, tra scambi di sguardi e tentati approcci da parte di Vicino, nella trepidante attesa, magistralmente resa dalla penna di Lainez, dello scoccare dell'a- moroso idillio da parte dei due giovani. Vicino reitera la composizione di poetiche crea- zioni decantanti la bellezza e le virtù morali di Adriana, isolandosi al contempo dal resto

della comitiva popolante il palazzo della famiglia Medici. Non lo abbandonano alla me- stizia dei giorni ferali trascorsi assieme alla sua famiglia i contatti epistolari con la non- na Dian Orsini e lo studio dei poemi cavallereschi intrapreso con l'erudito di corte Piero Valeriano, in grado di suscitargli entusiasmo e meraviglia con la lettura delle pagine del- l'ariostesco Orlando furioso che, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, fornisce cospicui spunti creativi al futuro Duca di Bomarzo nell'ideazione del suo “Sacro Bosco”. Vicino-narratore aggiunge altresì dei dettagli decisivi nell'identificazione di gran parte delle statue scolpite nel”Sacro Bosco”, abbinando, con un curioso paralleli- smo diacronico, i personaggi del poema ariostesco con amici e detrattori conosciuti a cavallo tra Firenze e Bomarzo:

Hipolito era Orlando; Clarice Strozzi, Bradamante; Pierio Valeriano, Merlin; Beppo era Branello, el siervo ladròn, el que robò a Angelica el anillo incantado....¡ ay, despues comprobè la exactitud de esa sustitucion literaria!; Benvenuto Cellini era Astolfo; mi padre y Girolamo eran Agramante y Rodomonte, los reyes enemigos de los paladines; Catalina de Medicis era Marfisa; Adriana no era sino mucha mujeres, porque era las enamoradas sucesivas que surgen en los cantos; y Abul... a Abul lo busquè dentro del poema hasta que hallè a Aquilante el Negro, hermano gemelo de Grifone el Blanco, y entonces yo quise ser Grifone, porque eso significaba que juntos partiriamos en pos de aventuras y que, protegidos por nuestras dos hadas, por el Hada Bruna y por el Hada Blanca -cuyos papeles esteban, democraticamente, a cargo de la zapatera de Portugal y de Adriana dalla Roza- combatiriamos el uno al lado del otro y matariamos al cocodrilo sanguinario que cuidaba al malhechor de Egipto, hijo de un dada y de un duende. Era- mos los amigos de Astolfo (de Cellini-Astolfo), el bromista, el que decia las verdades, y como Astolfo estuvo en una isla que era en realidad una balena, a semejanza de las de- scritas por los soldatos que iban a America y a las Indias Orientales, mande despues esculpir una balena en Bomarzo, transformando una roca colosal en un monstruo de abiertas fauces.40

(Ippolito era Orlando, Clarice Strozzi Bradamante, Piero Valeriano era Merlino, Beppo era Brunello, il servo ladro che rubò l'anello incantato di Angelica -mi accorsi più tardi, ahimè, di quanto fosse esatta cotesta identificazione! - ; Benvenuto Cellini era Astolfo, mio padre e Girolamo erano Agramante e Rodomonte, i re nemici dei paladini; Caterina de' Medici era Marfisa; Adriana non era una sola, bensì molte donne,era tutte le inna-

morate che spuntavano successivamente nei canti; e Abul... Abul lo cercai a lungo nel poema, fino a quando trovai Aquilante il Nero, fratello gemello di Grifone il Bianco, ed allora io volli essere Grifone, poiché significava che saremmo partiti insieme in cerca d'avventure e che, protetti dalle nostre rispettiva fate -la Fata Bruna e la Fata Bianca, parti democraticamente assegnate alla pantofolaia portoghese e ad Adriana dalla Rosa -, avremmo combattuto a fianco a fianco e ucciso il sanguinario coccodrillo custode del malfattore d'Egitto, figlio di una fata e di un folletto. Eravamo gli amici di Astolfo (di Cellini-Astolfo), il freddurista, quello che diceva la verità, e siccome Astolfo stette su un'isola che in realtà era una balena, a somiglianza di quelle descritte dai soldati che an- davano in America e nelle Indie Orientali, feci poi scolpire a Bomarzo una balena, tra- sformando una rupe colossale in un mostro dalle fauci aperte.)41

Ma la quiete che pervade l'esperienza fiorentina del futuro Duca di Bomarzo viene im- provvisamente spazzata via da un inusitato ed esiziale morbo che affligge Adriana dalla Rosa, probabile retaggio della peste devastatrice la città gigliata pochi anni prima. Il colpo di scena ha modo di enfatizzare lo spirito di abnegazione che Vicino riversa nel- l'accudire la tanto desiderata fanciulla durante il suo travaglio, con special riguardo nelle ore notturne assieme ad una donna della servitù di nome Nencia, che non mancherà di riservargli lascive profferte prontamente rispedite al mittente da Vicino.

Il susseguente colpo di scena attiene invece all'arrivo, presso il palazzo mediceo, di Franciotto Orsini, latore delle novità accorse nel contesto ecclesiastico romano e in quello della famiglia Orsini (la notizia che desta maggiore interesse in Vicino, addolo- randolo al contempo, è ovviamente quella circa la condizione di salute della nonna Dia- na Orsini, ormai in stato avanzato di decadenza fisica). Tuttavia, l'anziano progenitore di Vicino non si lascia sfuggire l'occasione di ridicolizzare per l'ennesima volta il nipote ri- pudiato e, col pretesto di agevolare il processo di iniziazione di Vicino alla sfera erotica, lo induce ad un contatto più che ravvicinato con l'altolocata meretrice Pantasilea (già menzionata da Cellini nel primo capitolo a proposito di una festa cortigiana), episodio raccontato, in maniera alquanto ridondante, da Lainez. L'imbarazzo di Vicino, costretto suo malgrado a sfoggiare le proprie menomazioni fisiche di fronte ad una donna di se- squipedale bellezza, non lo porta a consumare il rapporto carnale con la sensuale mere- trice, la quale, spazientita per l'accaduto, dopo aver tentato di impossessarsi dell'anello regalato a Vicino da Benvenuto Cellini, giunge a contrattare il prezioso collare di zaffiri 41 M. M. Lainez, Bomarzo, vers. it., pp. 111–112.

indossato da Vicino in cambio dell'acquiescenza a fornire dettagli circa il non avvenuto rapporto col futuro Duca di Bomarzo. La vicenda tuttavia si conclude nel peggiore dei modi quando Pantasilea mostra a Vicino il contenuto di uno scrigno occultante fram- menti ossei e resti di scheletri umani che riconducono il protagonista del romanzo, col più classico dei flash back, al momento in cui viene rinchiuso, a Bomarzo, in una stanza buia con al suo interno lo scheletro che lo terrorizzerà per diverso tempo a venire. Purtroppo per Vicino, le prime esperienze amorose si rivelano tutt'altro che soddisfa- centi in quanto, grazie alla confessione della serva Nencia, il futuro Duca di Bomarzo scopre che il sentimento di Adriana dalla Rosa è corrisposto per un'altra persona, l'auda- ce e temerario Beppo, d'ora in avanti nemico giurato di Vicino che, proprio per questo motivo, concorda con Abul le modalità di uccisione del figliastro di Gian Corrado Orsi- ni, decidendo conseguentemente di rappresentarlo nel suo “Sacro Bosco” sotto forma di soldato strangolato dalla proboscide dell'elefante Annone guidato da Abul. In concomi- tanza della dipartita di Adriana dalla Rosa, le profferte di Nencia nei riguardi di Vicino si fanno sempre più serrate ed ardimentose, fino allo scoccare di un voluttuoso bacio sulle labbra tra i due personaggi. L'incalzare di eventi si aggroviglia ad ogni pagina giungendo al climax nel momento in cui, appartatosi con Nencia, Vicino ode, da parte di Ippolito, che Beppo è spirato per un colpo accidentale di balestra infertogli da Abul, che a sua volta pare essere svanito nel nulla.

Sembra di cogliere tra le righe, a più riprese, l'esaltazione di un amore mortifero e grottesco, acuito dall'immancabile visione onirica prefigurante a Vicino, questa volta, il futuro parco di Bomarzo con annessa la sensazione di pace ed eternità trasmessagli dalle sculture popolanti il “Sacro Bosco”. A Bomarzo Vicino tornerà, complici i tumulti scop- piati a Firenze, nel 1537, riabbracciando finalmente la terra amata.

L'intricarsi delle vicende amorose consente a Lainez di dimostrare la propria poliedri- ca perizia letteraria ben immedesimata in un contesto artistico proclive al capriccio ed alla stranezza come quello rinascimentale. Inoltre, il continuo succedersi nel racconto di situazioni e sensazioni fra loro antinomiche concorrono ad accrescere l'enigmaticità del personaggio di Vicino, stupito egli stesso dal rapido evolversi di una contingenza sem- pre più difficoltosa da arginare che lo induce a porsi dei quesiti esistenziali. (¿Quien era yo, quien era a los catorce años?, ¿un monstruo? ¿La deformacion que torturaba al cuer- po se habia infiltrado hasta mi alma, retorciendola?, ¿de que me servia el escepticismo

orgulloso?, ¿quien era yo, y para que habia no me quemaba un rayo purificador? Si me hubiera animado a rezar... Pero eso hubiera sido añadir a la profanacion el sarcasmo.)42

(Chi ero io, chi ero mai a quattordici anni? un mostro? La deformazione che mi tortura- va il corpo, si era forse infiltrata fino alla mia anima, torcendola? A che mi serviva l'or- goglioso scetticismo? Chi ero io e perchè ero venuto sulla terra, e perchè non mi incene- riva un fulmine purifcatore? Se avessi avuto l'animo di pregare... Ma avrebbe significato aggravare la profanazione col sarcasmo.)43

3.3 Apparizione della magia

Fuggendo da Firenze alla volta di Bomarzo, Vicino si lascia alle spalle l'insostenibilità di una situazione che lo stava logorando interiormente e, dopo essere stato riaccolto en- tusiasticamente dalla nonna Diana Orsini, comincia in lui a germinare l'idea di modella- re a guisa di sculture le rocce disseminate lungo il giardino del palazzo di Bomarzo, complice un avvenimento che si rivelerà essere il crocevia decisivo per i destini di Bo- marzo e del suo futuro Duca.

Gian Corrado e Girolamo erano impegnati nell'espletamento delle pratiche belliche previste dalla carriera militare ma, a causa della non pervenuta risposta alle epistole in- viate a Gian Corrado, si vociferò che quest'ultimo non fosse riuscito a scampare al fato ineluttabile che attendeva la sua dipartita nel campo di battaglia. Girolamo invece tornò con le proprie gambe a Bomarzo solo per trascorrervi gli ultimi giorni della sua esisten- za. Difatti, Lainez decide di punire il tracotante primogenito di Gian Corrado Orsini (di cui non si possiedono sufficienti riscontri storici) tramite il ricorso ad un tipo di nemesi casuale e non causata da chi ha subito l'oltraggio. Succede infatti che, mentre Vicino si stava immergendo nelle acque gonfie del Tevere, Girolamo giunge a vilipendere gratui- tamente il malcapitato fratello e la nonna Diana Orsini, lanciando sassi in direzione di Vicino e proferendo ingiurie nei confronti di entrambi. Il peccato di hubrys costa caro a Girolamo che, improvvisamente, si ritrova scaraventato nelle acque del Tevere per un inaspettato imbizzarrimento del cavallo su cui stava viaggiando, andando a sbattere mortalmente la testa su di un masso e spezzando il filo che l'avrebbe dovuto legare alla 42 M. M. Lainez, vers. or., p.112

successione della sua illustre prosapia. Vicino non sembra minimamente turbato dall'ac- caduto (a corredo cita tutti gli esempi di omicidi commessi intestinamente alla propria stirpe) mentre la nonna Diana Orsini non riesce a darsi pace per aver visto spirare preco- cemente, e sotto i suoi occhi, il fratello maggiore di Vicino. Il protagonista del romanzo è lungi dal professare la propria resipiscenza per il secondo omicidio che lo vede coin- volto, seppur non nelle vesti di esecutore materiale, in maniera non del tutto marginale, suffragando la tesi difensiva dell'autotutela nei riguardi di chi, alla lunga, avrebbe potuto tendergli un agguato mortale.

Col passare del tempo (narrativo), Vicino si distanzia progressivamente dal personag- gio remissivo e soggiogato alle prevaricazioni del detrattore di turno, dimostrandosi ci- nico e spietato nel momento in cui è chiamato a sbarazzarsi di qualsiasi entità in grado di ostacolarlo nel raggiungimento di un obiettivo personale. Lainez palesa la propria pe- rizia stilistica nell'indirizzare l'evoluzione del personaggio principale verso una meta- morfosi attitudinale confacente più alla figura di un carnefice che a quella di vittima, mischiando continuamente i caratteri dei protagonisti e confondendo, di riflesso, le idee al lettore.

Pronto a prendere le redini del Ducato di Bomarzo, durante una passeggiata a cavallo Vicino si imbatte in un curioso individuo, tale Angelo Manzolli, detto Palingenio, so- prannome dalla perspicua evocazione l'illimitata durata della vita, il quale gli riferisce di aver incontrato tre creature a metà tra l'uomo e lo spirito provenienti dalla Luna, alla ri- cerca di un quarto loro simile catturato da un ragazzo del villaggio di Narni. Il giovane risponde all'identità di Silvio de Narni e così Vicino viene incaricato da Palingenio di smascherare i giochi esoterici di Silvio. Individuato il giovane negromante, accade tutta- via che tra Silvio e Vicino nasca una fruttuosa amicizia e che lo scopo per cui i due si sono effettivamente conosciuti venga procrastinato. Ciononostante, una sera Vicino si decide di rivelare a Silvio ciò che gli aveva confidato Palingenio, chiedendogli di invo- care l'aiuto dei demoni anche perchè non giungessero alle orecchie del padre Gian Cor- rado (dato per disperso nonostante il reiterato canto del pavone, solitamente foriero di infauste nuove) gli ultimi tragici accadimenti, su tutti la scomparsa di Girolamo. Nell'at- mosfera tetra ed angusta del palazzo di Bomarzo, Silvio pronuncia la formula invocativa di rito, specificando che a Gian Corrado venisse occultata la notizia della morte di Giro- lamo, e subito uno spirito si manifesta come da richiesta. Conclusa la fase concitata del

rituale, ove si ode una voce rauca e tonitruante rispondere alle esortazioni di Silvio, Vi- cino viene rassicurato dallo stesso Silvio sull'impossibilità, da parte di Gian Corrado, di essere a conoscenza del ferale avvenimento e sulla conseguente inattuabilità di un suo intervento punitivo.

Tre giorni dopo, a Bomarzo fa capolino il feretro contenente il corpo inerme di Gian Corrado Orsini, caduto davanti alle mura dell'assediata Firenze. Il ricordo del suo volto viene progressivamente espunto dalla memoria di Vicino, il quale non riesce a darsi pace per l'oblio dell'immagine del non certo amato genitore. Tuttavia, in ossequio alla tradizione cavalleresca, cominciano ad aleggiare gli spiriti dei due defunti sotto forma di angosciose apparizioni per il protagonista del romanzo che, come nelle precedenti situa- zioni di difficoltà, confida le proprie preoccupazioni alla nonna Diana Orsini. Ormai prossima anch'ella al trapasso, Diana conferma a Vicino che i fantasmi di Gian Corrado e Girolamo lo perseguiteranno a lungo ma al tempo stesso gli consiglia di recarsi a Re- canati per vedere un dipinto ritraente San Sigismondo e nel quale è anche inclusa la pre-