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Le mansioni affidate a Jacopo del Duca vengono così modificate in corso d'opera nel tentativo di individuare soluzioni scultoree ed architettoniche audaci per quello che do- veva essere il giardino signorile più anticonvenzionale di tutti i tempi. Ciononostante, il primo manufatto a sorgere è il tempietto in onore a Giulia Farnese, per nulla confacente, nella sua armonia classica, ai precetti di eccentricità ostentati a più riprese dal Duca di Bomarzo, ma funzionale a rendere plastica l'antitesi caratteriale tra la complessità di Vi- cino, rappresentata dalle future colossali sculture, e la morigeratezza di Giulia. Segue quindi l'omaggio ad Abul ed Annone, situato dietro al Ninfeo, con lo schiavo rannic- chiato sulla schiena del pachidermico amico che cinge con la sua proboscide il paggio Beppo travestito da guerriero. Giorno dopo giorno, il “Sacro Bosco” si orna di nuove statue che ripercorrono simbolicamente gli accadimenti maggiormente significativi della vita condotta da Vicino.

Il sesquipedale Nettuno, sul cui capo si erge un mostro deforme a rappresentare la fi- gura di Vicino, è l'allegoria del mare e, in un certo senso, dell'immortalità, mentre la tar- taruga sormontata dalla figura musicale rinvia alla vena poetica insita nel protagonista del romanzo. La balena rimanda ad una scena dell'ariostesco Orlando furioso in cui Astolfo scambia l'enorme cetaceo per un'isola. La sfinge richiama invece l'impassibilità di Adriana dalla Rosa di fronte alle profferte avanzate da Vicino nei suoi riguardi, così come la ninfa abbandonata evoca l'episodio in cui il Duca si congeda, senza giacere, dalla meretrice Con l'opima donna nuda, trasposizione scultorea della corpulenta serva Nencia, si conclude la sezione affettiva per dirigersi a quella concernente le umiliazioni infantili ed i combattimenti, probabilmente la parte più avvilente dell'esistenza vicinia- na. La circostanza della visione dello scheletro si delinea nel teschio e nelle tibie scolpi- te su un pilastro, mentre quella, sfociata nel sangue, del travestimento da donna di Vici- no da parte di Girolamo e Maerbale trova la sua realizzazione nelle due creature semia- late torcenti la forma di un ragazzino poste alla base della gigantesca donna svestita. Il

combattimento del drago e di due cani simboleggia la furia devastatrice di Carlo V con- trapposta agli insuccessi delle campagne militari a cui prende parte il Duca di Bomarzo. La morte di Maerbale è effigiata nella lotta tra due titani identici, mentre l'ambivalente Giano, costituito dall'inscindibilità di un volto maschile ed uno femminile, indica l'em- blema dell'Eros, sovente presentatosi in maniera bifacciale nell'esperienza del Duca di Bomarzo.

L'elencazione dei manufatti da parte di Vicino-narratore non è completa poiché, nel corso degli anni, vengono apportate diverse modifiche all'impianto architettonico del “Sacro Bosco” da renderlo indubbiamente differente rispetto all'incipiente concezione. Frattanto non accadono avvenimenti degni di menzione, se non la fuga di due collabora- tori di Jacopo de Duca verso la nativa Sicilia ed il propanare mistiche apparizioni da parte degli abitanti del luogo. Dopo gran parte della propria esistenza trascorsa ad errare dentro e fuori i patrii confini, finalmente Vicino raggiunge la tanto agognata tranquillità d'animo che solo il locus amoenus di Bomarzo gli può garantire, e non è un caso che an- che la narrazione subisca una parziale stasi nell'atto di seguire la progressiva obsole- scenza del protagonista.

Tornato a Bomarzo uno dei due fuggiaschi, di nome Zanobi Sartorio, la cui personalità esercita fin da subito un fascino maliardo in Vicino, quest'ultimo decide di affrescare la sala del castello con una Gigantomachia espetorrante rabbia affidata allo stesso Zanobi. La solitudine attanaglia di giorno in giorno il Duca in quanto, oltre alla lontananza dei figli per motivi bellici o coniugali, cominciano a spirare i suoi più stretti collaboratori ed amici, su tutti Messer Pandofo e l'astrologo Silvio de Narni, trovato con la testa fracas- sata ed i manoscritti di Dastyn ancora in mano in prossimità dei luoghi dov'era solito ce- lebrare i suoi rituali esoterici. Ma è ancora la morte a rendere protagonista l'ormai at- tempato Vicino di un triviale gesto eseguito nei confronti di Zanobi dopo un acceso al- terco verbale tra i due in cui l'artista siciliano turpiloquia il Signore di Bomarzo, reo di averlo interrotto in un momento d'intimità con una non ben identificata concubina. La reazione di Vicino è veemente e, sguainato il pugnale, conduce Zanobi, sotto la minac- cia della lama affilata, fino alla stanza dello scheletro, rinchiudendolo lì dentro per sem- pre. Un'altra vittima si aggiunge alla sequela di omicidi commessi dal Duca durante l'ar- co della sua vita, la maggior parte delle volte mosso dall'invidia mista a desiderio di emulazione del malcapitato che denota ancor di più la complessità di un personaggio ca-

pace di incontrollabili slanci emotivi sia in positivo che in negativo.

Perseguitato dai fantasmi dei caduti per sua sponte, Vicino riceve notizia dell'immi- nente matrimonio fra Sigismondo e Pantasilea celebratosi in quel di Bomarzo, rivelatosi effimera distrazione dal tormento procurato dai demoni dei defunti che addirittura pro- curano allucinazioni e deliri ad Duca di Bomarzo, caduto nel frattempo in disgrazia eco- nomica per aver depauperato il patrimonio famigliare in leziosità e capricci. La salvez- za, e nuova Duchessa, di Bomarzo e del suo Signore risponde all'identità di Cleria Cle- mentini, discendente di un'agiata famiglia commerciante riminese che con Vicino non ha nulla a che spartire (se non l'opulenta dote economica che mette al riparo Bomarzo da eventuali sventure finanziarie), tanto da venir presto aborrita dal marito (lo sposalizio viene celebrato dal Cardinal Madruzzo), spingendolo alla veneranda età di settant'anni ad arruolarsi per un'altra campagna militare.

La suddetta vicenda mette in mostra la componente opportunistica del protagonista, intento a cercare una copertura economica in seguito alla dilapidazione del patrimonio di famiglia. Tuttavia, anche la nuova coniuge approfitta del lignaggio orsiniano per po- tersi introdurre nella cerchia nobiliare da sempre anelata e così i novelli sposi danno prova di una discutibile deontologia che indubbiamente degrada quel sentimento amoro- so che, soprattutto nel microcosmo viciniano, sembrava redimere le deprecabili azioni di un personaggio ripiombato invece precipitosamente nella sua antinomia esistenziale.