• Non ci sono risultati.

Giunto a Venezia, Vicino deve fare i conti con un morbo che lo affligge dalla partenza e che non gli concede tregua per il primo mese di soggiorno. Le precarie condizioni di salute non scalfiscono però la volontà del Duca di Bomarzo di raggiungere gli obiettivi prefissati e, dopo l'incontro con Pietro Aretino e Valerio Orsini, viene finalmente a co-

noscenza di Paracelso, una della personalità, a detta di Vicino-narratore, maggiormente influenti nella sua crescita intellettuale. Effettuata una prima diagnosi, Paracelso ammet- te candidamente al protagonista del romanzo di dovergli prescrivere la sua prodigiosa

tinctura physicorum dato il periglioso stato di salute che stava attraversando. Col tra-

scorrere dei giorni, la situazione di Vicino migliora e i due, vinte le barriere del riserbo, disquisiscono dei più disparati argomenti, compreso quello concernente l'immortalità. Le teorie di Paracelso, che fin da subito riscuotono sconfinata ammirazione ed infondo- no nuovo vigore in Vicino, non contemplano la consultazione del movimento astrale perchè, a suo dire, le stelle ed i pianeti sono entità autonome che non determinano l'ac- cadimento di eventi particolari nel microcosmo di un essere umano. L'immortalità, da intendersi in direzione univoca per corpo ed anima, viene invece annoverata dal medi- co-alchimista svizzero nel computo delle varianti inespresse dall'umanità, potenzialmen- te in grado di procrastinare all'infinito la durata della propria vita.

Alla richiesta del Duca di Bomarzo di esporgli il segreto, l'elvetico scienziato asserisce che la formula esatta per l'immortalità è in possesso della famiglia Orsini, grazie alla corrispondenza epistolare intercorsa tra Giovanni Dastyn, il più celebre alchimista del XIV secolo ed il cardinale Napoleone Orsini, che sarebbe così pervenuto al paradigma dell'eternità. Tocca dunque a Vicino, entusiasta dell'idea, il compito di perquirere i luo- ghi di famiglia deputati alla conservazione di documenti scritti al fine di scoprire l'ine- narrabile arcano svelatogli da Paracelso. Chieste informazioni a Valerio, che però am- mette la propria ignoranza a riguardo, l'unica persona in grado di fornire delucidazioni in materia è come sempre la nonna Diana Orsini che, in un'epistola inviata al nipote, al- lude alla recalcitranza ed allo scetticismo di Pier Francesco Orsini (omonimo di Vicino ma nonno di Diana Orsini) al procedimento proposto da un alchimista ad un suo antena- to al fine di garantirgli l'immortalità. Diana Orsini si pone ostativamente nei confronti delle intenzioni esplicitate da Vicino, esortandolo altresì ad occuparsi della futura sposa Giulia Farnese.

Col passare dei giorni, le condizioni fisiche del Duca di Bomarzo subiscono una netta ripresa, mentre si amplia lo stuolo di personalità conosciute dal protagonista del roman- zo (tra esse compaiono Jacopo Sansovino e Claudio Tolomeo). Ristabilitosi completa- mente, Vicino viene accolto dal Doge Andrea Gritti presso Palazzo dei Signori e susse- guentemente accompagnato da Paracelso presso Piazza San Marco. Si torna a discettare

di immortalità, e in questo frangente Paracelso sembra carpire la segreta essenza dell'e- ternità racchiusa nelle fattezze di una salamandra, confinata in una gabbietta e assurta a simbolo dell'immortalità del Duca di Bomarzo. Partito Paracelso, e con sé la congerie di stravaganti teorie sulla vita eterna, a Vicino non resta che ottemperare alla volontà di farsi ritrarre da Lorenzo Lotto. Prima di conoscere di persona l'illustre artista veneziano, il Duca di Bomarzo ha modo di imbattersi nel fratello Maerbale e in Ippolito de' Medici durante una alquanto bizzarra passeggiata in gondola con Pier Luigi Farnese, ove rima- ne vittima di una burla architettata ai suoi danni dal figlio di Alessandro Fanese (le pre- sunte accompagnatrici della serata erano in realtà degli uomini travestiti) e assiste all'in- cendio di palazzo Cornaro dopo aver incrociato, appunto, l'imbarcazione di Maerbale ed Ippolito. Scesi per ammirare il monumento di Bartolomeo Colleoni, dato l'elevato tasso alcolemico in circolo negli astanti, Pier Luigi e Maerbale vengono alle mani ridicoliz- zandosi a vicenda.

La spasmodica attesa per l'incontro tra Vicino e Lorenzo Lotto viene dunque inganna- ta da Lainez con una narrazione di tipo aneddotico e confidenziale, quasi che la città del carnevale avesse trasfuso nei personaggi quella vena umoristica e scanzonata tipicamen- te veneziana in grado di strappare un sorriso al lettore. La conoscenza tra il Duca di Bo- marzo ed il ritrattista di Gian Corrado Orsini procede per piccoli passi, in quanto Loren- zo Lotto è attento osservatore della componente introspettiva dell'oggetto da trasporre iconicamente su tela e cerca pertanto di cogliere ogni minima sfumatura, sia fisica che caratteriale, del secondogenito di Gian Corrado Orsini. Vicino trova il modo di estrapo- lare un numero estremamente parco di battute a Lorenzo Lotto, uomo per nulla contrad- distinto dalla facondia, circa l'impressione suscitatagli dal padre Gian Corrado, il quale viene ricordato come una persona splendida ma non del tutto apprezzata dalla sua fami- glia, probabilmente per la singolarità del carattere.

Oltre alla rappresentazione del Duca di Bomarzo, l'artista veneziano adorna il ritratto con l'inserimento di simbolismi ed allegorie all'interno di schemi concettuali consolidati nella prassi raffigurativa dell'epoca. Vengono infatti riprodotti la lucertola catturata as- sieme a Paracelso, un mazzo di chiavi, penne letterarie, il berretto con la medaglia di Cellini, il corno di caccia e un uccello morto, che hanno il compito di risaltare la figura pallida ed adusta del giovane Duca di Bomarzo, defraudata in questo caso della sua pro- verbiale gobba. Vicino-narratore si rammarica del fatto che non sia risaputo che il prota-

gonista del Ritratto di uno sconosciuto o Ritratto di un gentiluomo nello studio è in real- tà Pier Francesco Orsini, uomo dalle mille contraddizioni ma proprio per questo archeti- po del proprio tempo.

Conclusa l'esperienza del ritratto, per il Duca di Bomarzo è tempo di tornare a casa non prima però di aver ricevuto da Silvio de Narni un manoscritto di una monaca di Murano contenente una frase di primo acchito astrusa ed enigmatica: Dentro de tanto

tiempo que no lo mide lo humano, el duque se mirarà a si mismo50. (Fra tanto tempo

che la misura umana non abbraccia, il duca contemplerà se stesso)51. La vicenda si in-

fittisce di un nuovo tassello che Vicino avrà il compito di decifrare nei seguenti capitoli, ma che sembra ancora una volta rinviare alla tematica dell'immortalità, in costante espansione all'interno di un contesto narrativo comunque riccamente intrecciato di epi- sodi relativi alla sfera personale del protagonista e, al contempo, di richiami ad eventi e personaggi storici di prim'ordine.