Fin dai primi secoli, com’è noto, l’interesse esegetico fu uno dei cardini della speculazione cristiana. Non solo in quanto religione del libro ma soprattutto come setta fuoriuscita dalle maglie dell’Ebraismo, essa cercò l’armonizzazione tra gli scritti veterotestamentari e quelli evangelici tramite l’interpretazione cristologica dei primi. Nei primi secoli il centro pulsante dell’attività d’interpretazione scritturistica fu senz’altro Alessandria d’Egitto dove, sulla scorta di Filone prima e di Clemente poi, il metodo esegetico si arricchì prima del senso cosmologico e poi di quello psicologico.
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Essenze celesti e sovra celesti, vicine a Dio talvolta senza mediazioni, e per questo semplici e immateriali, ipercosmiche dunque avulse dal mondo sensibile e dalla frammentarietà che lo caratterizza, intellettive e intelligibili allo stesso momento e dunque, riassuntive dell’intero universo noetico come era stato pensato prima da Giamblico e sviluppato poi da Proclo, gli angeli, possono essere in virtù di ciò oggetto di pura contemplazione e non di conoscenza. Non se ne conosce il numero, infinito, ma soprattutto indefinito che solo Dio può conoscere. Purificanti, illuminati e perfezionanti e allo stesso tempo oggetto di una purificazione, illuminazione e perfezione che si configurano come eliminazione della ignoranza e della conoscenza imperfetta, ricezione delle illuminazioni divine e partecipazione alla perfezione del Principio. Sono inconoscibili, tanto che la loro organizzazione in schiere e i loro nomi sono il frutto dell’operazione umana che tenta, tramite la loro manifestazione, di ridurre per fini conoscitivi il loro orizzonte del tutto intelligibile al livello della λέξις umana e della forma sensibile del comunicare. Per questo i loro nomi sono manifestativi così come, a dispetto delle caratteristiche che i DN ci tramandano e che li incardinano nell’ordine dell’universo dionisiano come esseri mediani tra l’assoluta inconoscibilità e la perfetta trascendenza divina e il mondo sensibile nel quale l’uomo si trova ad esistere, non possono essere da noi conosciuti per quello che sono nella loro essenza. Non è casuale, quindi, che l’autore non parli mai dell’ousia degli angeli o della loro gerarchia mentre in diversi luoghi di EH si concentri sulla οὐσία della nostra gerarchia. Il fatto che siano solo oggetto di celebrazione, quindi, dipende da tutte le caratteristiche che ne fanno un oggetto di pura intellezione e non di conoscenza, così come manifestato dal fatto che “dobbiamo rivolgerci a loro con occhi intelligibili”. Degli angeli si può considerare solo la manifestazione. Di più, in un certo qual modo l’angelo corrisponde alla sua stessa manifestazione e non può sussistere al di fuori di essa nella misura in cui, essendo la Scrittura il luogo, il modo e il medium di questa manifestazione. Non esistono angeli al di fuori di essa e solo in essa gli angeli si rendono manifesti e quindi, seppur in modo lontano e imperfetto, si rendono conoscibili. Il rapporto tra angeli e Scrittura poggia in ogni caso sulla manifestazione. È il caso quindi di analizzare le caratteristiche e le funzioni della Scrittura per Dionigi ma soprattutto in ch modo in essa gli angeli si rendano manifesti, in modo tale da sapere innanzitutto cosa sia la Scrittura, quale sia la forma della manifestazione angelica nella Scrittura e se, in virtù di questo, possiamo dire qualcosa di diverso rispetto alla storiografia sulla stessa Scrittura.
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L’autore che di certo contribuì in maggior grado allo sviluppo dell’esegesi fu Origene che ne fece una disciplina fondata su regole certe e ben definite. A dispetto delle critiche dei suoi detrattori, letteralismo e allegorismo sono per lui metodi integrati dove il primo ha la precedenza sul secondo502 e dove ai tre gradi di fedeli corrispondono altrettanti sensi di lettura503.
Nonostante il bilanciamento propugnato dall’autore, negli anni la cultura alessandrina fu il centro nevralgico dello sviluppo del metodo allegorico che col tempo raggiunse un eccesso inviso alla cultura più orientale di Antiochia504. Appropriandosi dell’armamentario filologico affinato proprio dagli alessandrini, intellettuali del calibro di Diodoro e Teodoro di Mopsuestia si fecero portavoce di un metodo esegetico letteralista molto radicale. La stessa interpretazione cristologica fu da loro messa da parte a vantaggio dell’esegesi grammaticale e linguistica505. Autori quali Giovanni Crisostomo e Teofilo di Antiochia ebbero sempre un atteggiamento abbastanza duro nei confronti dell’allegoresi alessandrina preferendo la lettera avendo, come in Oriente si cercava di fare anche a causa del minore radicamento della filosofia e della cultura ellenistiche rispetto ad Alessandria, il comune fine di svincolare la cristologia dall’allegoria.
Come si avrà modo di mostrare, il metodo simbolico elaborato da Dionigi, e puntualmente applicato anche alle Scritture, sembra aver proprio l’intento di superare le discordie tra alessandrini ed antiochieni in una nuova sintesi approntata grazie alle categorie neoplatoniche.
Tra gli studiosi attenti alla novità dionisiana è stato sempre vivo l’interesse per il ruolo fondamentale che l’autore affida alla Scrittura nei quattro trattati e nell’epistolario
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Basti ricordare De Princ. 4, 1-3.
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M. SIMONETTI (1978: 30 e sgg.) per la Scrittura in ambito alessandrino.
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Su questo M. SIMONETTI (2004: 27).
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Ibidem, p. 82. Nella stessa pagina lo studioso romano ricorda anche, come nel caso delle altre dottrine mai del tutto accettate dell’alessandrino, come l’apocatastasi e la preesistenza delle anime, anche nel caso dell’allegoria il problema maggior era che tali dottrine, radicate in un contesto dottrinale antignostico dell’Alessandria del II secolo, dove ad esempio era necessario cercare di conciliare il Vecchio al Nuovo Testamento proprio grazie all’interpretazione cristologica, questa venne meno quando la necessità che l’aveva generata scomparve.
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e anche alle differenze che in esse si possono individuare506. Non è stato tuttavia sottolineato abbastanza quanto importante sia il ruolo della Scrittura rispetto alla specifica trattazione angelologica e quale superamento (e, in un certo senso, selezione), esso rappresenti rispetto alla precedente tradizione cristiana. Occorre dunque stabilire cosa l’autore intenda quando fa riferimento ad essa e quale sia la sua importanza rispetto allo specifico problema angelologico.