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CAPITOLO III : IMMAGINARIO E SIMBOLICO NELLA FILOSOFIA PROCLIANA

3. Teologi e teologia

Come osservato in precedenza, il lavoro dello scolarca ateniese fu volto non soltanto ad elaborare l’intreccio metafisico-teologico che esplica in un complesso sistema nel quale la tradizione neoplatonica di circa cinque secoli assume la sua più alta e completa espressione, ma fu indirizzato anche ad intrecciare, per così dire, questa struttura speculativa con la più antica tradizione poetica ed epica, da un lato, e magico sacrale dall’altra.

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Ibidem VI, 3, 14, 18 e sgg.

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Spinosa è la questione se l’opera fosse o meno mutila di un ulteriore libro all’interno del quale venivano poi spiegate tutti i livelli infeiori di divinità che erano preposte alla conservazione e al dominio dei rispettivi livelli di realtà. Per questo si veda M. ABBATE (2008: 54-55).

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M. ABBATE (2009: 161): anche se Proclo non tematizza a pertamente, descrivendoli nei particolari, tutti gli ordini di divinità del cosmo senisbile, è chiaro che nella sua ottica tutto è pieno di dèi.

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Il valore delle opere poetiche per Proclo travalica la sacralità del testo ispirato per assurgere a parte fondante della sua propria speculazione. Nella misura in cui, infatti, la teologia diventa il corrispettivo della metafisica e viceversa, secondo quella teologizzazione del reale a cui si è fatto riferimento, figura divina e ordini metafisici del reale non sono in alcun modo scindibili.

L’opera che più di ogni altra testimonia il valore e l’importanza di cui il diadoco investe la poetica è senza dubbio il Commento alla Repubblica (specialmente le dissertazioni V e VI), nella quale egli cerca di difendere Omero ed Esiodo dall’accusa di produrre miti falsi, osceni e diseducativi secondo i celebri argomenti sostenuti da Socrate nei libri II e X Repubblica.

Il lavoro di Proclo, paradossalmente, arriva a ribaltare le posizioni del maestro Platone per sostenere non solo che non si può accusare i poeti di essere empi e di offendere gli dèi, ma anche che determinate dottrine sostenute da Omero sono riprese dal filosofo ateniese.

L’obiettivo del recupero di questi testi e il lavoro esegetico che di essi viene portato avanti si configura come il ritorno alle più antiche origini di quella tradizione alla quale Proclo stesso si allinea e che, passando per Pitagora e Platone, acquisiva i crismi di una rivelazione originaria.

Di conseguenza, le dottrine neoplatoniche, in quanto prodotto (che sempre in Prolco è esegesi) delle più longeve e segrete dottrine, si fondavano su una verità antichissima e divina.

In diversi passi dei suoi commenti, ma anche nel I libro della Teologia Platonica, infatti, Proclo avrà modo di affermare che le dottrine dei sacri teologi derivano direttamente dalla divinità e che in un certo senso i nomi stessi recano in sé la traccia della loro prima essenza in quanto comunicati dalla divinità.

Il diadoco di Atene indica diversi tipi di teologia che corrispondono ad altrettanti modi della comunicazione divina agli stessi teologi. Questo fa sì che i testi omerici ed esiodei, prima di tutti gli altri, e gli stessi oracoli caldaici, siano interpretati come dei veri e propri testi sacri che, racchiudendo in sé verità divine, proprio come i dialoghi di Platone, devono essere oggetto di esegesi.

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La teologia è quindi per Proclo non solo la riflessione sulle verità divine che i teologi tramandano secondo tradizioni segrete e simboliche, ma è in prima istanza, la comunicazione divina, secondo simboli e d immagini particolari, che gli dèi stessi fanno alla categoria dei poeti che sono, nei fatti, teologi.

È chiaro, quindi, il motivo per il quale il diadoco di Atene, deve difendere Omero dalle accuse di Platone: considerandoli teologi allo stesso modo e postulando addirittura il fondamento omerico di alcuni punti platonici, non solo il secondo non poteva in alcun modo muovere critiche al primo, ma le rispettive verità non potevano essere in contrasto.

D’altra parte bisogna che ogni singola dottrina appaia in perfetto accordo con i principi platonici e con le mistiche dottrine tramandate dai teologi: infatti tutta quanta la teologia presso i Greci proviene dalla mistagogia orfica, dato che Pitagora per primo fu istruito presso Aglaofamo nei riti estatici degli dèi, mentre Platone per secondo ricevette la perfetta scienza sugli dèi dagli scritti orfici e pitagorici. (TP I 25, 5.)

Come vedremo, è proprio questa concezione di teologia nel doppio senso di comunicazione tra Dio e uomo, da un lato, e reportatio degli stessi teologi in forma si Scrittura, che Dionigi eredita dal diadoco di Platone. Altresì, proprio nel modo della conciliazione tra teologi, o meglio, nel recuperare Omero dalle critiche di Platone, la teologia dionisiana trova i suoi fondamenti per una nuova concezione del metodo allegorico applicato alla Scrittura.

I diversi generi di teologia formulati nella Teologia Platonica e, in parte, nel

Commento al Timeo, individuano differenti modalità di espressioni e una corrispondente

eterogeneità nei soggetti rappresentati. La differenza tra il simbolo e l’immagine, evidente soprattutto nel Commento alla Repubblica, intesa quale distinzione tra una comunicazione mistica e nascosta e una comunicazione chiara e meno criptica, scinde la teologia in due forme: una simbolica ed una iconica. In tal senso risulta essenziale il ruolo di simboli ed immagini che non sono utilizzati solo sul versante dell’esegesi teologica dei testi poetici ma caratterizzano la speculazione procliana in modo trasversale.

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Nella misura in cui, infatti, l’universo procliano è strutturato come una concatenazione di livelli di realtà strettamente legati tra di loro, all’interno del quale, ogni grado inferiore di realtà è un’immagine depotenziata, eppure fedele, del precedente, una dottrina estetica particolarmente complessa si può delineare nei commenti del diadoco come risvolto di quell’universale sympatheia che tiene il Tutto unito.