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La teologia secondo Dionig

Secondo l’ottica dell’autore del CD, la sua opera non aggiunge né toglie alcunché alla Scrittura. L’inizio della sua analisi, di fatti, dichiara di lasciare la sapienza umana per affidarsi alla parola di Dio507. Tutto quanto riportato nel Corpus si inscrive nella tradizione dei sacri autori che hanno ricevuto un messaggio trascendente direttamente da Dio.

Con la parola “teologia” si può indicare quindi un oggetto o un metodo, a seconda si voglia far riferimento alla comunicazione trascendente che uomini ispirati hanno ricevuto direttamente da Dio508 o il metodo che gli iniziati a questa stessa tradizione apprendono da questi primi teologi nelle rispettive indagini509.

La teologia come metodo contempla due modi principali derivabili dalla distinzione fatta in EP IX in merito al discorso attorno alla Teologia Simbolica. A margine del commento di numerose figure scritturali e aprendo a una ulteriore, l’autore afferma:

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In merito alle caratteristiche della Sacra Scrittura all’interno del Corpus si vedano W. VOLKER (1958: 84-92) R. ROQUES (1949: 200-212), (1954: 210-224), J. PEPIN (1976); P. ROREM (1984: 11- 26), P. SCAZZOSO (1968: 1-28), S. LILLA (1982: 553-555) (M. SCHIAVONE: 1963 ).

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DN 585 B. considerando, è necessario ripetere ancora una volta, DN come il nucleo primigenio attorno al quale o al seguito del quale si svilupparono poi gli altri trattati.

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Essi sono in tal senso teologi nel senso forte del termine e, come tali, si distinguono dagli iniziatori o dai ministri di EH che si ispirano e che continuano tale tradizione, ma non hanno un rapporto diretto col divino.

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Si veda in merito R. ROQUES (1949: 201) rispetto alla distinzione tra teologia come metodo e teologia come oggetto. L’autore francese, inoltre, per chiarire tale distinzione, puntualizza che il teologo per lo pseudo-Dionigi non è il teologo medievale, e cioè esso è l’interlocutore che ha un rapporto diretto con Dio e non una persona incline alla riflessione teologica inerente al testo sacro.

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Non dobbiamo pensare infatti che le parti esteriori di tali composizioni siano state inventate per se stesse: sono come delle coperture che salvaguardano una scienza segreta e inaccessibile ai più, affinché le cose santissime non cadano nelle mani dei profani, ma vengano rivelate solo ai sinceri amatori della Santità, perché si spogliano di ogni immaginazione puerile riguardo ai simboli sacri e sono capaci di penetrare con la semplicità della mente e con l’opportunità della virtù contemplativa fino alla verità semplice e supereccellente e fondata al di sopra degli stessi simboli. bisogna d’altronde capire anche questo; duplice è la tradizione degli autori sacri: una segreta e occulta, l’altra chiara e più conoscibile; l’una si serve dei simboli e riguarda i misteri, l’altra è filosofica e dimostrativa. Ciò che non si può dire si incrocia con ciò che si può dire; l’una persuade e conferma la verità delle cose dette; l’atra opera e colloca Dio mediante insegnamenti misteriosi e che non si possono insegnare510.

L’inesprimibile si concilia con ciò che è permesso dire, quindi, nell’articolazione di due metodi che procedono in modo opposto: il primo in modo nascosto e simbolico, il secondo in modo filosofico e dimostrativo. E se il primo poggia sulla costruzione di simboli attingendoli dal mondo sensibile, il secondo si articola sulla pura riflessione intellettiva.

La prima applicazione della teologia è allora quella simbolica: di grado basso, in quanto radicata nella sensibilità: “Nella Teologia Simbolica abbiamo esposto quali sono i nomi ricavati dalle cose sensibili per riferirli alle cose divine; quali sono le forme divine, le figure divine, le parti, gli strumenti, i luoghi e gli ornamenti divini, i furori, i giuramenti, le imprecazioni, i sonni, le veglie e tutte le altre forme santamente foggiate che rappresentano Dio simbolicamente”511

.

Come dimostrato dal II capitolo di CH512, questi simboli non vanno interpretati alla lettera513, ma la loro funzione, proprio nel loro essere dissomiglianti, è quella di spronare la parte superiore dell’anima a non soffermarsi sulla loro parte intelligibile ma a sfruttare la loro bruttezza come strumento anagogico.

La teologia non è intesa come Bibbia tout court ma anche come metodo interpretativo frutto dell’esperienza propria tipica di chi è stato già iniziato ai misteri

510 EP. IX 1105 D. 511 MT 1033 B. 512

Non a caso il capitolo nei manoscritti riporta il titolo: “come le cose divine e celesti si manifestano anche attraverso simboli dissimili”, si veda R. ROQUES (1949: 207, n. 35).

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Avremo modo di ricordare, in fase di conclusione, che l’autore inidca decisamente il distcaco da una certa tradizione letteralista.

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cristiani e, di contro, non si confà a quanti siano al di fuori della stessa iniziazione e continuino quindi a permanere tra le schiere dei profani:

Ma sta bene attento che nessuno di coloro che non sono iniziati ascolti queste cose; voglio dire quelli che aderiscono alle cose che sono e non immaginano che esista alcunché in modo sopraessenziale, al di là degli enti, ma credono di conoscere con la loro propria scienza colui che ha posto le tenebre come proprio nascondiglio. Ma se gli insegnamenti del mistero divino sono fuori dalla portata di costoro, che cosa diremo di quelli ancora più profani, i quali raffigurano mediante le più basse delle creature la Causa che trascende tutte le creature e affermano che per nulla essa supera le forme empie e molteplici da esse plasmate? È necessario, invece, attribuire a lei e affermare di lei, in quanto causa di tutte le cose, tutto ciò che si dice degli enti ed è ancora più importante negare tutto questo, in quanto essa è superiore a ogni cosa, né si deve credere che le negazioni si oppongano alle affermazioni, ma che molto più sopra delle privazioni sta essa che trascende ogni privazione e ogni attribuzione514.

I limiti della teologia simbolica impongono la necessità di altri due processi teologici: quello aferetico-positivo e quello catafatico-negativo. Essi superano il metodo simbolico in quanto poggiano non più sulla percezione ma sull’affermazione e negazione di predicati intelligibili.

Ciò nonostante, in essi si riflette in parte la distinzione tra somiglianza e dissomiglianza propria del metodo simbolico. E se in questo ambito l’autore predilige la dissomiglianza sulla somiglianza, nel secondo egli afferma chiaramente la maggiore opportunità delle negazioni sulle affermazioni515.

Come dimostrano i capp. IV-V di MT, nei quali l’autore nega della divinità qualunque predicato sensibile e, allo stesso modo, qualunque predicato intelligibile della Causa di ogni cosa sensibile e di ogni cosa intelligibile, la negazione si conforma maggiormente alla semplicità che caratterizza il Principio che descritto prima secondo la sua manifestazione sensibile e gerarchica (CH, EH), poi secondo la predicazione brachilogico-onomastica (DN), in MT si dimostra per ciò che davvero può rappresentare per il pensiero umano: una non-immagine, un punto oscuro, la caligine intesa come assenza di immagini e di parola (ἀλογία). Le negazioni maggiormente si confanno alla trascendenza e alla semplicità del Principio:

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MT 1000 A-B.

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Così ora, penetrando nella divina caligine che sta sopra all’intelligenza, troveremo non la brevità delle parole, bensì la mancanza assoluta delle parole e dei pensieri. Là il discorso, discendendo dalla sommità verso l’infimo, secondo la misura della sua discesa, si allargava verso un’estensione proporzionata, ma ora esso, salendo dalle cose inferiori verso ciò che sta al di sopra di tutto, man mano che si innalza, si abbrevia; e finita tutta l’ascesa si fa completamente muto e si unirà totalmente a colui che è inesprimibile516.

Il momento stesso della negazione, quindi, è superato al culmine dell’ascesa mistica, punto nel quale l’anima non ha più alcuna coordinata spazio temporale e si fonde, nell’assenza totale di parole e luce, al silenzio e alla tenebra mistica dove incontra il Principio.

La teologia intesa come oggetto prima che metodo si identifica per Dionigi innanzitutto con la Sacra Scrittura. Costante riferimento per la stesura dei suoi trattati, egli utilizza la Bibbia citandola in tutte le sue parti, sia pure le citazioni dei Vangeli abbiano una certa preminenza sugli scritti veterotestamentari517.

Il continuo riferirsi ad essa si esplica in formule che, apparentemente ridondanti, indicano, invece, la volontà dell’autore di rimanere entro le maglie della sapienza teologica comunicata da Dio direttamente ai teologi: “come dice la Sacra Scrittura”518

, “secondo la nostra santa tradizione”519, “in conformità ai libri sacri”520, “tutte le ragioni

che abbiamo trovato conformi a Dio nelle Scritture”521, “come dice la verità degli scritti

sacri”522, “”la sacra teologia insegna”523, “come insegna la tradizione scritturale

occulta”. Queste espressioni introducono spesso citazioni dirette e indirette oppure le incorporazioni di citazioni bibliche all’interno del Corpus e fregiano la Scrittura di aggettivi quali “formativa e vivificante”524, “santissima”525, “venerabile”526, “che porta

516 MT 1033 B-C. 517 P. ROREM (1984: 14). 518 CH 121 A 519 EH 501 A 520 DN 592 B 521 Ibid., 644 D 522 Ibid., 721 C 523 Ibid., 916 A 524

Ibid., 433 A. Per tutti questi riferimenti si veda P. SCAZZOSO (1968: 2-3).

525

EH 372 C.

526

146 verso il meglio”527, “infallibile”528

. Gli aggettivi che più comunemente Dionigi applica alla Scrittura rimandano sempre alla sua provenienza divina: essa è πάνσοφος529; sacra, nel senso più ampio del termine530. Segno di questa venerazione sono anche le definizioni di ιεράτος531 ma anche intelligibile e vera, giusta e divina, “Bene” e tramandata da Dio532.

Costituendosi come unica regola di verità per l’uomo, essi saranno il necessario punto di partenza per qualunque discorso si voglia cogente e veritiero. Essi sono l’inizio di ogni conoscenza tanto che non accettarli come necessario ἀρχή gnoseologico significa restare al di fuori della sapienza533.

Tutto quanto l’umana sapienza abbisogna, è comunicato da Dio nelle Scritture: Egli parla di sé e del mondo noetico534 e lo fa attraverso simboli; ci insegna la nascita del Figlio e la sua eterna generazione; apprendiamo l’angelologia e le sue regole e tutto quanto è stato creato.

La Scrittura non è però un libro semplice e omogeneo: infatti Dionigi ha premura di spiegare ogni libro e ogni fase dal Genesi fino all’Apocalisse dove la netta linea di demarcazione tra il prima e il poi è la figura di Cristo. Il Nuovo Testamento completa, ricapitolandolo, l’Antico. La Scrittura è in ogni caso mai semplice, chiara o lineare, ma sempre κρύφιος o μυστικός λόγια che non tutti possono conoscere.

Diversi motivi concorrono a rendere il messaggio rivelato non chiaro: l’oggetto della Scrittura che è Dio è sostanzialmente trascendente; anche la Scrittura gli appone delle immagini necessariamente affette da antropomorfismo o da materia, caratteristiche che andrebbero poi tolte con un processo di negazione; per comprendere la Scrittura si dovrebbe avere un intelletto purificato nella misura in cui l’intelletto umano non può svincolarsi della sensibilità.

527 Ibid., 436 A 528 Ibid., 561 D 529 CH 180 C 530 CH 145 B, 201 A, DN 588 A-C, 589 D, 640 D, ep VIII 1089 D, 1096 A 531 Ibid., 372 C, 481 A 532

Come notava già H. KOCH (1901: 44) l ’espressione λόγια θεοπαράδοτα è termine procliano: In

Crat. 64; In Tim. 27 B, 238; In Remp. 78; In Parm. 4.14. il VOLKER invece lo riscontra in Origene,

Gregorio ed Eusebio (1958: 87, n.7).

533

EH 533 640 B

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Come si nota dai passi appena citati lo pseudo Dionigi utilizza indifferentemente i termini di θεολογία, λόγια, γραφή ma anche per segnalare l’autorità dello scritto sacro. Così la concezione patristica della teologia intesa come Sacra Scrittura, si fonde a quello di λόγια gli oracoli che per gli autori neoplatonici indicavano la manifestazione del divino nell’ambito umano; tale fusione dovrebbe considerarsi, simultaneamente, come l’incorporazione degli scritti sacri cristiani all’interno di una nozione particolare di teologia, secondo quell’accezione mistica e religiosa fortemente accentuata dagli ultimi diadochi di Platone (soprattutto, come si vedrà a breve, in Proclo)535.

Se i termini indicati per riferirsi alla Scrittura sono quindi intercambiabili, essi formano una nozione di teologia che potrebbe sì indicare prima di tutto la Scrittura intesa come oracolo divino direttamente comunicato ad uomini prescelti, i teologi, ma non ridursi semplicemente a questo. Infatti, quando essa è accompagnata da tutti gli aggettivi a cui poco prima si è fatto riferimento, essa indica lo scritto sacro nel suo insieme, introduce citazioni delle sacre scritture ed è sostituibile con γραφή e λόγια; altre volte, invece, essa indica direttamente il contenuto di questi scritti, cioè, il messaggio contenuto nella Bibbia, e generalmente è questo il caso nel quale si parla di teologia per indicare una certa verità di origine divina senza far ricorso alla citazione biblica ma riferendosi alla manifestazione divina secondo la sua stessa parola: “Riassumendo, si potrebbe dire che il termine ‘scritture’ indichi sempre gli scritti stessi mentre ‘teologia’ o ‘la parola di Dio’ spesso significhi il messaggio che questi scritti contengono”536

.

Se da un lato la teologia, unita ad altri termini che ne sono sostanzialmente sinonimi, indica la Bibbia, nella sua totalità o in alcune sue parti, dall’altro essa indicherebbe il significato che si estrapola da questi scritti, nei quali esso è insito, dopo una certa interpretazione secondo metodi ben precisi. In tal senso però, la teologia non

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Lόγια erano infatti gli oracoli ispirati presso gli autori neoplatonici, una sorta di rivelazione, tanto quanto i discorsi profetici o la Bibbia in generale presso alcuni padri della chiesa. H. KOCH (1901 38-49), LEWY (1956: 454). Sulla presenza dello stesso termine inteso come l’insieme degli scritti sacri, come Antico Testamento o come un luogo singolo degli scritti, presso i Padri della Chiesa, si veda P. Rorem p. 16 n. 20-21.

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P. ROREM (1984: 18). Lo studioso canadese riporta questo significato presente all’interno della Bibbia all’interpretazione che dei passi scritturali viene fatta da parte dei lettori-iniziati, allineandosi, in tal senso, alla linea interpretativa del Roques dei quattro metodi di teologia. Per quanto corrette, queste interpretazioni sembrano comunque parziali, come di seguito si avrà modo di spiegare.

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indicherebbe la parola di Dio, bensì, la parola dell’uomo su Dio, nel senso del nuovo contesto veritativo che l’adepto estrapolar da uno scritto che si presenta oscuro, simbolico o criptico.

Nel senso più ampio del genitivo θεοῦ λόγος(discorso divino), si dovrebbe invece pensare al significato insisto nella Scrittura come qualcosa che incorpora la stessa e che ricopre uno spazio semantico più vasto. Ridurre la teologia al binomio scritto- significato, equivale a perdere gran parte della pregnanza semantica che l’autore, proprio intessendo un particolare intreccio di tradizioni, vuole rendere. La teologia è, in senso primo, la parola di Dio nel senso più ampio possibile.

Prova ne è il paradosso nel quale si incorre interpretando la θεολογία strettamente come Bibbia o come significato ad essa soggiacente. Infatti non è dato in alcun modo che Dio parli direttamente all’uomo537

eppure in più parti del testo, e secondo una tradizione chiaramente procliana, la scrittura è definita come oracoli tramandati da Dio, oracolo conferito direttamente agli uomini ispirati o comunicata agli iniziati tramite il vescovo (gerarca)538.

L’apparente contraddizione si risolve considerando come termine medio tra la comunicazione diretta di Dio all’uomo e l’impossibilità di questa stessa comunicazione, un particolare linguaggio tramite il quale Dio stesso si rende manifesto all’uomo, modulando la propria parola sulla base delle possibilità cognitive umane per permettere all’uomo di comprenderlo e, d’altra parte, mantenere un rapporto indiretto col mondo creaturale fornendo una parola che è intermediario e che quindi non implichi la Sua diretta esposizione.

In tal senso nella nozione di teologia intesa come parola di Dio, non rientrano soltanto i due significati di Bibbia e di significato esegetico della stessa, ma tutte le forme nelle quali la parola di Dio si incorpora e si rende manifesta all’uomo secondo la un rimando mediano e indiretto.

Ogni manifestazione di Dio, in tal senso, è per l’uomo Sua parola: lo sono tanto le gerarchie quanto i nomi divini, tanto la Bibbia quanto i significati che essa veicola.

537

CH II.

538

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A partire da tale constatazione, risulta evidente che il linguaggio tramite il quale Dio si comunica all’uomo sarà un linguaggio speciale: quando Dio parla degli angeli, Egli lo fa non semplicemente attraverso la Scrittura ma attraverso quelle particolari figure, che in CH rendono la Bibbia una iconografia, nelle quali la parola di Dio si fa immagine caratterizzata dai caratteri della somiglianza e della dissomiglianza al tempo stesso. Prima, dunque, dell’interpretazione del testo, lo pseudo Dionigi evidenzia che nella teologia stessa è insito il carattere immaginifico che si esplica nella somiglianza dissimile e poi questo viene interpretato dagli adepti.

È la parola di Dio a farsi immagine per comunicarsi direttamente, in quanto immagine, indirettamente, in quanto parola di Dio, all’uomo, prima che il metodo della (teologia) simbolica lo interpreti. In un secondo momento, Dio si dà all’uomo tramite i sacramenti (descritti in EH) e poi si lascia pensare tramite i nomi divini. Nel disegnare la parola divina come oracolo mediato da immagini e simboli, viene riprodotto un linguaggio pregno di senso immaginale, il “linguaggio iconografico” che trova il riscontro poi nell’estetica della liturgia bizantina e nell’iconografia giustinianea.

Nella misura in cui la parola divina intesa come teologia e viceversa è il primo passo di Dio verso l’uomo, il primo momento del suo rendersi conoscibile, il verbo divino diventa attività e azione: la teologia e la teurgia, nel loro senso più ampio, procedono su due piani vicini e spesso intersecati.