CAPITOLO III : IMMAGINARIO E SIMBOLICO NELLA FILOSOFIA PROCLIANA
1. L’estremo messaggio di Proclo
Con Proclo di Costantinopoli (412-485) la metafisica neoplatonica inaugurata nel II secolo da Plotino giunge al suo “compimento speculativo e storico”2
, nel tentativo di convogliare in un’unica sintesi di pensiero teologico e metafisico le tradizioni filosofiche e mitologiche quasi millenarie. In questo contesto, il maestro Platone è considerato il teologo per eccellenza che ha espresso la verità teologica e filosofica nella sua forma più alta e completa.
In linea con i suoi predecessori, a dispetto degli esiti della sua speculazione, il suo tentativo non è quello di fornire una riflessione originale sulla realtà teologica, ma quello di spiegare il pensiero del maestro che ha già racchiuso la stessa verità in forma compiuta.
Esegesi e filosofia sono due aspetti complementari e sovrapposti nel pensiero del diadoco, nella misura in cui i testi di Platone, interpretati come veri e propri testi sacri, sono oggetto di ricerca, di spiegazione e di commento, nella inamovibile convinzione
1
Sulla categoria storiografia Neopltonismo si veda F. ROMANO (1998).
2
170
che la verità sia stata già espressa dal maestro nella forma completa e che quindi i suoi dialoghi vadano semplicemente spiegati3.
Questa concezione, che diventa metodo di studio e di interpretazione, si incarna perfettamente nell’innovazione, apportata da Giamblico nel III secolo, che vedeva un vero e proprio curriculum studiorum per gli allievi della scuola di Atene e un preciso ordine di lettura per approcciarsi in modo graduale alle opere del maestro: dai piccoli misteri, si passa ai grand misteri, dirà lo stesso Proclo. In ragione di ciò, nell’ambito della scuola neoplatonica, esegesi e filosofia costituiscono un binomio inscindibile4.
Il pensiero di Proclo, punto massimo di maturazione del Neoplatonismo e fondamentale per i suoi successivi e ultimi sviluppi, può essere interpretato come l’estremo sviluppo di due concetti chiave della precedente tradizione: la divisione triipostatica in Uno-Intelletto-Anima di Plotino e il successivo inserimento della moltiplicazione delle istanze intermedie da parte di Giamblico.
Nonostante segua la tripartizione plotiniana, Proclo si fa interprete e seguace di quella proliferazione dei gradi ipostatici intermedi pensata dal maestro di Calcide contravvenendo al motto plotiniano“niente c’è di mediano tra le tre ipostasi”5
.
A Giamblico si deve anche la svolta in senso religioso del neoplatonismo post plotiniano con l’introduzione degli Oracoli Caldaici, testo sacro per gli appartenenti all’accademia dei secoli successivo al III, tra gli altri testi su cui venivano basate le lezioni.
La Teologia Platonica, opera matura del diadoco, mostra meglio degli altri commentari la stretta unione tra speculazione filosofica basata sull’esegesi dei dialoghi di Platone e una riflessione teologica molto accentuata nei suoi caratteri di trascendenza quanto concentrata al recupero della tradizione magico sacrale e mitologica della grecità. Se Proclo poteva seguire, in Plotino, l’esempio della conciliazione tra metafisica platonica e metafisica aristotelica, nella definizione di un Primo Principio come
3
Sul commento come metodo di studio si vedano i due importanti la vori di F. ROMANO (1983), (1998).
4
M. ABBATE (2008: 8). Sull’ordine di lettura dei dialoghi platonici introdotto da Giamblico si veda D. J. O’MEARA (1999).
5
171
assolutamente semplice e quindi trascendente rispetto a qualsivoglia realtà inferiore o molteplice, al maestro della scuola siriana si deve l’accentuazione della trascendenza di tale Principio ma soprattutto, come conseguenza di questa accentuazione, la moltiplicazione appunto dei livelli ipostatici successivi all’Uno.
Quella che può essere definita quindi come la “aporia originaria del neoplatonismo” assume la sua veste compiuta in Proclo, toccando poi il suo culmine con Damascio: nel tentativo di ridurre l’intera struttura del reale ad unità, si moltiplicano in modo molto accentuato i gradi intermedi di esistenza.
Questo è vero tanto dal punto di vista teologico quanto da quello metafisico. Nella misura in cui la corrispondenza tra i livelli che caratterizzano il sistema metafisico e quelli che discendono, in modo perfettamente speculare a questi, dal Primo Dio, corrispettivo teologico della prima ipostasi (l’Uno), lo scolarca ateniese compie un processo, uguale e inverso, in cui “teologizza” il reale, e allo stesso tempo, “metafisicizza” la teologia.
Tale dottrina enologica, allo stesso tempo teologica e metafisica, prende le mosse da una particolare interpretazione di due testi platonici fondamentali per tutta la la tradizione neoplatonica6: Parmenide e il IV libro della Repubblica.
Nel primo dialogo i tre interlocutori, Zenone, Parmenide e Socrate dall’si interrogano attorno alla natura dell’Uno e del reale; nel secondo, si parla del Bene come Principio, poggiando sulla metafora del Sole7.
In questo dialogo infatti gli interlocutori discutono sui rapporti tra Uno e molteplicità in merito alla dottrina delle Idee e si arriva alle famigerate due ipotesi di considerare un Uno-che-è ed un Uno che-che-non-è, considerandolo di conseguenza, nel primo caso, come fonte di unità per gli altri esseri, nel secondo, non come non-esistenze ma come “diverso da”8
.
I successori di Platone interpretano la prima ipotesi come il fondamento della molteplicità in un Uno assolutamente semplice e per questo assolutamente trascendente
6
Come sottoilnea E.R. DODDS (1928: 129-142), soprattutto l’esegesi del Parmenide fu essenziale per lo sviluppo della metafisica neoplatonica.
7
In Remp. I 287, 17.
8
172
rispetto a tutto il reale. Questo Principio viene, già con Plotino, assimilato al Bene, secondo l’interpretazione in senso trascendente dell’Idea del Bene secondo quanto tematizzato nella Repubblica.
L’Uno-Bene, nutrendosi quindi delle rispettive prerogative che l’Uno e il Bene avevano nei due dialoghi platonici è definitivamente inteso come ἐπέκεινα νοῦ καὶ οὐσίας. Origine della realtà, il Primo Principio risulta assolutamente semplice, dunque avulso da qualsivoglia molteplicità, e del tutto trascendente rispetto alla stessa.
Essendo “situato” a di là della dimensione intelligibile, la sua comprensione e conoscenza sarà del tutto preclusa alle facoltà intellettive umane e, in generale, la sua conoscenza o visione anche parziale è resa possibile solo tramite forme estatiche e mistiche.
Con Proclo, dunque, la quasi millenaria tradizione filosofica greca si fonde con l’interpretazione dei testi magico-teurgici e poetici secondo un’interpretazione in chiave teologica9.