… Tante volte penso con nostalgia alle mie velleità di fanciullo di andare missionario e annullarmi negli esseri che popolavano mondi allora davvero ignoti. Erano, si capisce, bambinate alle quali non si deve dare alcun peso, ma esprimevano forse inconsciamente quello che è stato il dramma di tutta la mia vita: non aver saputo rinunciare a nulla per poter essere me stesso. Mi è mancata in tutto la vocazione, nel bellissimo senso etimologico della parola.35
Cosa vuole dirci Satta con vocazione? In tedesco vocazione è tradotto Beruf e, significa sia vocazione sia lavoro. Per Satta il lavoro è un principio fondante della società:
un grande conservatore, Salvatore Satta, […] che sa riconoscere il valore del lavoro
come fondamento della società […].36
La vocazione per il Diritto arrivò solo dopo il conseguimento della Laurea come si è colto poc’anzi nei Soliloqui e colloqui di un giurista nel descrivere il professor Mossa:
… Mi precipitai per le scale, mi slanciai felice nella notte. Avevo trovato la mia vocazione, avevo trovato l’assurdo.37
E dopo un periodo di lotta interiore, ed un vagare con le valigie tra regioni e regie universitarie, da ultimo si legge:
… nel terzo anno di università, quando misi finalmente giudizio e affrontai lo
studio del diritto, tornando nel romitaggio di Sassari.38
34 Nella lingua sarda Salvatore è detto Bobore (o Badore), per cui Bob è il diminutivo.
35 V. Gazzola Stacchini, op. cit., pp. 115-116. 36 Ivi, p. 46.
37 S. Satta, Soliloqui e colloqui di un giurista, cit. p. 412. 38 V. Gazzola Stacchini, op. cit., p. 6.
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“Misi finalmente giudizio”: il greco ci viene in aiuto e ci conferma la radice del termine “giudizio” ossia decidere, criticare, tagliare, scegliere.
Satta scelse il cammino verso la formazione della professione (beruf/vocazione?) giuridica. Eppure, quel suo scrivere non aveva un ritmo sonoro che lo avvicinasse all’arte dell’avvocato.
Lui, timido, riservato, riflessivo, introspettivo. Sotto la guida del fratello Filippo (avvocato penalista nel foro di Nuoro)
… dopo una seria preparazione giuridica e una vasta cultura maturate negli anni dello studio divorando biblioteche intere39
iniziò una carriera nel penale. Tuttavia, fu dissuaso dallo stesso fratello poiché era privo di quel carattere e di
… quella forza della parola capace di suscitare l’emozione, di stupire, ma
soprattutto di persuadere, nel momento dell’arringa;40
aspetto, quest’ultimo, fondamentale richiesto dal pubblico del tribunale di quell’epoca e non allineato con l’animo detto di Satta.
Un animo che rispecchiava l’originaria vocazione di Satta, anch’essa dissuasa dai fratelli maggiori:
… la vocazione letteraria metteva salde radici nel suo animo in quegli anni, in quella terra mitopoietica.41
La memoria romanzata Il giorno del giudizio pubblicata postuma ne dà la conferma:
… Don Sebastiano passava a cavallo su quella strada, come i pastori avvolti nella
mastruca, e non era che un elemento della natura. Ma i figli andavano a piedi, e in quell’atmosfera rarefatta, in quella visione orrida e dolce, in quel silenzio infinito ricevevano inconsapevoli il tocco della poesia. Il sogno galoppava su quelle brulle lande, e si impadroniva di loro, li rapiva a Don Sebastiano. Terribile cosa per chi doveva vivere nel mondo, che non ammette diaframmi di poesia. Se ne sarebbe accorto un giorno il più piccolo dei figli, quando avrebbe lasciato il borgo, e la
39 Ivi, p. 8. 40 Ibidem. 41 Ivi, p. 6.
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campagna, e Locoi, e si sarebbe sentito incatenato ad essi tra uomini che non
avevano mai visto quelle cose, e perciò non potevano comprenderlo […].42
Una vocazione letteraria che nasce in quella terra natia, in una dimensione, la natura, che per ragioni di ceto sociale nobile43 della
propria famiglia, non poté che vivere come figlio di Don Sebastiano, nobile, proprietario della campagna.
Eppure il suo animo profondo sopravvisse e si nutrì di ogni dettaglio e di ogni frammento dato dalla vita con libertà:
… I figli salivano come gatti per il tronco scaglioso, e lassù si abbandonavano al
vento […].44
Satta si abbandonò alla scrittura, attenta e minuziosa, alcun dettaglio pareva mancare e, se da un lato si discostava dallo scrittore professionista asserendo «scrivere non è il mio mestiere»,45 dall’altro
personificava con maestria l’arte dell’essere scrittore poiché
… gli artisti trasformano la vita e la rappresentano in modo «acuto» ed espressivo, al fine di dare dei suoi aspetti sociali l’interpretazione affettiva più efficace e compiuta possibile. Essi non lo fanno con calcolo intellettuale, né con intenzione
cosciente e premeditata, bensì direttamente e spontaneamente46.
Diligente e capace studente liceale, si diploma nel luglio del 1920 presso il Liceo governativo Azuni in Sassari, con una media di 7/10 (figura n. 8) e spicca una particolare propensione per le materie letterarie e storiche nelle quali mostra capacità di espressione, di comprensione e di acquisizione soprattutto nella prova orale (8/10).
42 S. Satta, Il giorno del giudizio, 1999, cit., p. 78.
43“Don Sebastiano era nobile se è vero che Carlo Quinto aveva distribuito titoli di piccola nobiltà agli
autoctoni sardi che avevano innestato gli olivastri nelle loro campagne” Cfr. S. Satta, Il giorno del
giudizio, 1996, cit., p. 5.
44 S. Satta, Il giorno del giudizio, 1999, cit. p. 79.
45 S. Satta, Il giorno del giudizio, 1996, cit., p. 51.
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Figura 8. Diploma di licenza completa, Sassari a.s. 1919-1920
Discipline storiche e letterarie (italiane, latine e greche) culle o incubatrici per un Salvatore Satta quale
… uomo che racconta, con sensibilità e la sintesi del grande scrittore e con rigore e la scrupolosità dello storico.47
L’interesse di Satta per la storia, per le biografie di personaggi storici48
affiora anche dai racconti di amici e conoscenti; in particolare, la moglie Laura ricorda:
47 Ugo Collu, La scrittura come riscatto. Introduzione a Salvatore Satta. Donzelli editore, Roma, 2005,
p. 7.
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… insieme esploravamo interi periodi della storia, dei quali leggevamo tutto ciò che
potevamo reperire, sistematicamente.49
Ed ancora un Salvatore Satta fine lettore di letteratura, soprattutto classica:
… amava i nostri classici, Dante e Manzoni sono stati sue assidue letture; … Leopardi […] Foscolo […] amava leggere Luigi Pirandello […] tra le letterature straniere apprezzava la produzione russa […]. Che io sappia mio marito non aveva particolari interessi per la letteratura tedesca […]. Invece la sua attenzione fu più spesso attirata dalla letteratura francese.50
Una propensione letteraria che, apparentemente assopita dopo quel diniego dei fratelli maggiori, si rianimerà nel 1921. L’immatricolazione nel 1920 a Pavia nella facoltà di Giurisprudenza non distolse Satta dall’interesse che covava nel profondo fin dal principio, fin dal suo essere bambino, e così nel 1921, valigia alla mano, si trasferì alla Regia Università di Pisa. Sarà qui a Pisa che gli atti, ingialliti e con spilli arrugginiti dal tempo, riporteranno alla luce un dato che non ho ritrovato in alcun altro dossier e manuale su Satta.
Infatti, gli atti conservati in archivio e contenuti nel fascicolo registro n. 26, e ribadisco inaspettatamente alle mie previsioni, svelano un dato inedito ed inconfondibile sulla vocazione inibita negli anni della giovinezza:
… Il sottoscritto, avendo terminato il primo anno di Leggi, chiede che gli venga concesso il passaggio da questa facoltà a quella di Lettere (figura n. 9).
49 N. de Giovanni, op. cit., p. 7. 50 Ivi, p. 6.
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Figura 9. Dettaglio richiesta di trasferimento dalla facoltà di Giurisprudenza di Pavia alla facoltà di Lettere a Pisa
Un documento che conferma la passione di Satta per la letteratura, che, però, subirà un’inversione di tendenza con una immediatezza temporale che, come precedentemente, mi lasciò stupefatta: un’integrazione a posteriori nello stesso atto, a fondo pagina, evidenzia la rinuncia alla facoltà di Lettere.
L’incertezza (?) di Satta persiste: l’uso dell’avverbio temporale “per ora” (figura n. 10) ricalcherebbe quanto ritroviamo nelle sue lettere datate anno 1972:
… Erano, si capisce, bambinate alle quali non si deve dare alcun peso, ma esprimevano forse inconsciamente quello che è stato il dramma di tutta la mia vita:
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non aver saputo rinunciare a nulla per poter essere me stesso. Mi è mancata in tutto la vocazione, nel bellissimo senso etimologico della parola.51
«Mi è mancata in tutto la vocazione, nel bellissimo senso etimologico della parola …»!, pertanto, nonostante l’illuminazione dopo l’incontro con il professor Mossa, dopo la Laurea conseguita a Sassari nel 1924, pare persistere, pochi anni prima dalla sua morte e dopo 50 anni di carriera forense, un’incertezza sulla sua vera arte, nonostante - come è noto - la scelta ultima di proseguire gli studi in Giurisprudenza.
Figura 10. Dettaglio richiesta di trasferimento da Pavia a Pisa di S. Satta
Tale Beruf vocazione/professione ossia scrittore/giurista sarà in Satta sempre un binomio, un alter ego, una maschera pirandelliana, vissuto e condiviso nella sua vita di avvocato, di professore, di marito, di padre e di uomo. Suddetto binomio si rivela essere monomio in una lettera inviata da Satta a Moretti52, al quale si
presentava come affermato giurista e si dichiarava «di essere guarito da ogni tentazione di gloria letteraria»53
,
anche se l’altro monomio“letterato”, velato (ma non svelato pubblicamente), riprendeva il suo posto affiancandosi al giurista e, curiosamente, visto dagli stessi colleghi giuristi che notarono
51 Lettera scritta da Salvatore Satta all’amico Bernardo Albanese nel settembre 1972, Cfr. V.
Gazzola Stacchini, op. cit., pp. 115-116.
52 Marino Moretti era uno giurati presenti nella commissione per il premio letterario sezione
inediti alla quale partecipò, nel 1928, Salvatore Satta con il suo primo manoscritto La Veranda, per la quale opera Moretti era convinto estimatore. Cfr. S. Satta, Il giorno del giudizio, Il Maestrale, Nuoro, 2005, p. VIII.
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… l’antica ambizione trapelava […] dalla tornitura stilistica della sua prosa
scientifica.54
Nella sua vita, le figure preminenti e di spicco con una valenza formativa umana e professionale, furono, come già detto, il professor Mossa, il professor Zanzucchi e, in forma diversa, anche la sua amata moglie Laura, l’amico Albanese e i figli55 Filippo e Gino. Tutte persone
che, a vario titolo, ascoltarono e guidarono, con giudizio obiettivo e con una poiesis non indifferente, il sentimento di Satta.
Tant’è che il nascere dell’opera Il giorno del giudizio, fu, per certi versi, uno “scrivere” interattivo: da una parte la propria famiglia alla quale leggeva i capitoli in divenire, per poi dettarli alla segretaria; e, dall’altra, l’amico Albanese lettore e confidente. Sarà quest’ultimo che riceverà una lettera (una tra le tante) da Satta:
… sono disposto al racconto. Il quale dovrebbe riprendere da quel breve e intenso
soggiorno nella mia terra natale della quale qualcosa devo averLe scritto56
e, ancora, in data 29 luglio 1970:
… Poi le dirò che ho iniziato un’impresa pazza. Ma appunto perché è pazza non
aggiungerò nulla fino a quando non sarò giunto al grande bivio di continuare o stracciare.57
Ed è così che quel bambino - sognante nelle campagne di Locoi, arrampicandosi sugli alberi, affascinato dalla lievitazione del pane o dalla vinificazione, desideroso di apprendere da eruditi e dalla laica natura, incerto di fronte alla scelta formativa – svelò, divenuto Rettore, ai suoi studenti il suo più profondo segreto:
… nell’invitare i triestini ad amare la facoltà di lettere li esorta «con autorità che mi proviene non dal mio effimero ufficio, ma dal perenne rimpianto che ho sempre avuto di non poter seguire le mie inclinazioni».58
54 Ibidem, p. XI.
55 Salvatore Satta sceglierà per i figli gli stessi nomi di due dei suoi fratelli maggiori, il fratello
avvocato Filippo (Ludovico ne Il giorno), e Gino (Peppino, morto per tisi dopo il rientro dalla guerra). Cfr. Ivi, p. XXXIII.
56 V. Gazzola Stacchini, op. cit., p. 77. 57 Ivi, p. 83.
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Un invito o una preghiera affinché i suoi studenti non perdessero di vista l’effettiva attitudine, da perseguire senza rammarichi. Quel rammarico che forse nasce dalle ali tarpate nella sua fanciullezza e nella titubanza nel periodo universitario e, che, leggendo Il giorno del giudizio, si riesce a dare un’interpretazione della scelta ultima di Satta di divenire colui che sappiamo, ossia giurista:
… Don Sebastiano non aveva mai letto un vero libro […]. I libri erano libri di scuola, quelli che si studiano, non si leggono, ed egli li aveva studiati a suo tempo […]. In fondo, Don Sebastiano non voleva dai suoi figli e per i suoi figli altro che questo: che studiassero, e ripetessero su per giù la sua vita […].59
Certo, Satta studiò e fece una carriera notevole, e, nonostante tutto, continuò a coltivare nella sua persona e nelle relazioni con gli altri la nota poetica della vita, attrazione fatale per Salvatore bambino ritrovata nella fantastica novità di casa SATTA quando entrarono appunto i libri:
… Intanto i figli portavano a casa questa novità che erano i libri […] per la verità quell’enorme biblioteca […] era stata fondata dai due più piccoli, Sebastiano e Peppino. […] Per loro due i libri erano venuti in casa di soppiatto, come se essi cercassero loro e non loro i libri. Forse era amore, forse era gioco, se pure si possono distinguere l’uno dall’altro. […] Peppino e Sebastiano […] leggevano per la stessa ragione per la quale Zerominu suonava la cornetta, cioè per nessuna ragione, perché gli uomini avevano un pertugio per il quale penetrava il mistero. E il mistero erano anche le pagine rosa che avevano scoperto in fondo al volume […] rivelavano la meravigliosa cornucopia che era la vita. […] Donna Vincenza guardava con amore i libri che i figli raccoglievano con amore […]. Sebastiano che ancora le saltava in grembo, voleva talvolta leggerle qualche pagina, ma essa gli chiedeva prima se erano ‘cose vere’: e l’ingenua domanda aveva una sua profondità, perché era l’inconsapevole rifiuto della fantasia. Vi era in questo un punto di contatto con Don Sebastiano, perché anch’egli non viveva che della verità, e il suo mestiere era proprio quello di registrare la verità. E invece la fantasia entrava nella casa austera coi libri, e
operava silenziosamente, toccando con la sua bacchetta magica uomini e cose.60
58 Ivi, p. 46.
59 S. Satta, Il giorno del giudizio, 1996, cit., p. 56. 60 Ivi, pp. 56-63.
77 3.3.1 L’ultimo saluto
Sabato 19 aprile 197561, Salvatore Satta, nella sua casa romana,
diede il suo ultimo saluto alla moglie, ai figli e ai nipoti. Ormai erano giorni che non riusciva più a comunicare, e l’ultima lettera all’amato amico Albanese non fu di pugno suo ma per il tramite della moglie che scrisse sotto dettatura.
Il destino sembrava si fosse accanito contro di lui, infierendo sulla sua mente e sul corpo con avversione, colpendolo al cervello, togliendogli le facoltà gradualmente: «la mia paralisi è totale: è il pensiero che non fluisce più»62. Così scriverà, infatti, Salvatore Satta nel 1972. La
malattia gli portò via proprio la linfa vitale che gli permise, in quasi 73 anni, di divenire quell’uomo sapientemente socratico, dote che lo caratterizzò e lo distinse e, chissà, forse anche per questo non fu pienamente compreso e riconosciuto:
… il grandissimo letterato […] nientemeno che Salvatore Satta, quel “giurista scrittore” che già la stessa critica aveva inizialmente tentato (addirittura) di ignorare, in quanto “abusivo” nel campo della letteratura; e che, dopo un iniziale, necessitato riconoscimento, era andato inopinatamente scomparendo quasi del tutto dai manuali scolastici di letteratura e, perciò, dall’attenzione generale. I critici Vittorio Spinazzola e Vanna Gazzola Stacchini […] restituiscono a Salvatore Satta quella meritata collocazione culturale […]. All’iniziale successo de Il giorno del giudizio è seguito il silenzio, giacché «di questo scrittore non si è continuato a parlare come si fa per gli scrittori ammessi nell’olimpo delle storie letterarie (e Satta lo fu)».63
Forse aveva ragione la moglie che:
«
… Tutto il suo mondo era in due valige …».64
61 Salvatore Satta era affetto da neoplasia cerebrale. 62 S. Satta, Il giorno del giudizio, 2005, cit., p. XVIII.
63 Mario Corda, La filosofia della vita in dimensione esistenzialista, Armando editore, Roma, 2004,
pp. 9-10.
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“… La casa del contadino odorava di pane e formaggio, cioè del suo cibo quotidiano, ed era un odore rustico, buono, lo stesso odore della vanga, della zappa, della bisaccia appesa alla parete, anche del gatto che dormiva davanti al focolare spento.
Tutte cose vive …”
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