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Libri e natura: realtà tra poesia e diritto

7.2 Simboli nella vita in continuità oltre la vita

7.2.3 Libri e natura: realtà tra poesia e diritto

Riprendo un assioma basilare per gli interazionisti simbolici che permetterà di comprendere l’enfasi che Satta, attraverso la parola, pone nel descrivere l’ingresso in casa, e nella sua vita, di quello che rimase, fin dopo la sua morte, il suo segreto profondo: l’amore per la scrittura.

Nella parte dedicata alla biografia, si è ripercorso il sogno di Satta e, ne Il giorno del giudizio, si può comprendere, il valore che Satta riconosceva nei libri e in tutti quegli oggetti inutili o visti come un gioco da Don Sebastiano e, ai quali Donna Vincenza riversava stesso amore col quale si donava ai figli e a quello che li rappresentasse: … fiammiferi, libri … tutti segni di vita per ella.

Gli oggetti dell’esperienza di Satta, analizzati attraverso l’opera, ci pongono di fronte la realtà dell’io narratore, bambino prima e adulto poi, e si comprende quale significato Satta riversasse in quegli oggetti simbolici, come i libri Sonzogno - a quell’angelo52 con la tromba in

mano della collana Biblioteca Universale – o a quella poesia emergente dalla natura dalle campagne in Locoi immersa fin dentro le botti di vino o palpabile dal profumo dorato del pane:

… Coi figli erano entrati a casa i libri. […] Li aprivano di nascosto Sebastiano e Peppino […] e restavano abbagliati dalle parole che intravvedevano […]. Per loro due i libri erano venuti in casa di soppiatto, come se essi cercassero loro e non loro i

libri. Forse era amore, forse era gioco […];53

Ma se il portoncino […] non si apriva mai […] il portale che dava sul dietro era sempre aperto […]. Tutto si raccoglieva in casa, tutto si lavorava in casa […]. Per

51 Ivi, p. 93.

52 L’angelo è tra l’altro uno dei simboli iconici utilizzati in tre copertine su 9 edizioni, di cui

una, Edizione Eolo, raffigura proprio un angelo con una tromba in mano.

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cuocere il pane venivano le donne del vicinato […] i ragazzi sgusciavano nella porticina stretta […] s’inebriavano del profumo di pane […]. La creazione del vino […] nella notte, quando Don Sebastiano dorme, i ragazzi più piccoli scendono mezzi svestiti, entrano nel buio della cantina e rimangono delle ore ad ascoltare quel canto, che li accompagnerà forse per tutta la vita. […] La campagna, negata come ricchezza, entrava nei figli come poesia, che è una ricchezza anch’essa, e più pericolosa. […].54

Nella memoria di Salvatore Satta (il piccolo Sebastiano) emergono ricordi che ormai appartengono - al momento dello scrivere Il giorno del giudizio - al passato.

Un passato in cui la memoria stessa poggerà su una coscienza e un livello cognitivo, e di esperienza, differente: percorrerà periodi di un’età, diremo, dell’innocenza come quando conobbe per la prima volta il volto della morte mentre la serva Peppedda lo accompagnava in quella stanza con quattro ceri e la nonna Nicolosa distesa sul letto e, a seguire, quella favola costruita a Locoi, con il fratello Peppino (pur se malato) e zio Poddanzu, infranta dal nero più nero delle vesti della madre quando venne a mancare proprio questo fratello; fino all’età dell’adolescenza quando rifiuterà il viatico, gesto simbolico d’amore della madre (Donna Vincenza):

… con la sua intelligenza, esasperata dalla solitudine, Donna Vincenza trasferiva nel presente, che era l’avvenire, le angosce del passato […]. Non c’era che l’ultimo, quello che ella amava […]. Le restava quell’ultimo nato, frequentava ancora le scuole, ma nell’autunno sarebbe andato al liceo, a Sassari o a Cagliari. Come temeva l’avvicinarsi di quel giorno. E aveva ragione, perché quando quel giorno venne, la madre gli preparò il viatico […] Sebastiano lasciò tutto lì, vergognoso di sua madre, che pure adorava […] era il rifiuto di un atto d’amore. Il figlio

l’avrebbe capito molti anni dopo […].55

Ricordi, ammentos56, in Salvatore Satta che nel prender forma

restituisce loro un senso.

Una comunità immobile, Nuoro, nel tempo si muove con forza d’inerzia proveniente da un vento che portava quei cambiamenti esterni, come la luce elettrica di cui si è già parlato, abiti civili

54 Ivi, pp. 70-71, 73-74, 76, 83.

55 S. Satta, Il giorno del giudizio, 1999, cit., pp. 162, 210. 56 Ammentos, significa “ricordi” in logudorese.

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prendevano il posto al costume severo, l’alfabeto entrava nelle case, e quel nido di corvi rappresentava la meta ambita non solo per gli stessi nuoresi ma anche per chi arrivava da lontano, dal continente, e dagli stessi “signorotti” cagliaritani e sassaresi. E, nonostante tutto, nonostante la sua immobilità e il suo essere una realtà provinciale, il suo non esistere, Nuoro era e restava la meta ambita anche da coloro, come Pietro Catte, o Peppeddedda che credendo di far fortuna, attraversarono il mare fino a quei luoghi immaginari, per quanto reali fossero, riflessi nelle pupille come eldoradi. Un futuro migliore interpretato da Catte, nel vedersi in tasca un’eredità di poche migliaia di lire, è visto, agli occhi di Don Sebastiano, come un rifiuto per ciò che la vita gli aveva prospettato nella casa umile di Sèuna:

«… Tu vai cercando pane migliore di quello di grano … »57 esordiva Don

Sebastiano!

Catte, dopo l’esperienza lontano da Nuoro, pone d’avanti a sé una nuova visione del suo nido primordiale, e si accorse che

… C’era un punto fermo soltanto, ed era Nuoro. Nuoro era la realtà nel mondo, e i suoi occhi bovini la fissavano, non vedevano altro. Era la realtà morale, il luogo e il giorno del giudizio: la coscienza che si è fissata nelle pietre e nelle persone. Tutto il male e il bene che fai lo fai per Nuoro. Dovunque tu vada, Nuoro ti insegue,

s’apposta come un brigante all’angolo della strada […].58

Lo stesso Satta nel ritornare a Nuoro, nell’andare a visitare il luogo simbolo dell’eternità e dell’effimero, il cimitero Sa e’ Manca, dopo aver varcato anch’egli il mare che circonda l’isola (a cercare anch’egli miglior pane di quello di grano …?), non ha mai dimenticato la sua terra natia ed è ad essa che egli porge il manico dello specchio per ri-flettere e vedere come e se quelle immagini fisse rispecchiavano il tempo che passava e segnava il Sé, proprio ed altrui.

Immagini, ciascuna con caratteri propri, di visi, di gesti, di parole, di azioni, di persone che, immobili di fronte a quello specchio, sono vive e impregnate di quel mistero che è la vita e, nella vita stessa, costruiscono la realtà. E Satta costruisce la realtà disegnando la vita

57 S. Satta, Il giorno del giudizio, 1999, cit. p. 216. 58 Ibidem.

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propria ed altrui con ciò che può realmente contrassegnare la vita: il ricordo.

Quella campana, che scandirà il tempo e il ricordo per andare

… alla ricerca di se stesso […] misterioso ricercatore del tempo perduto […] che, rivivendo nella memoria le singole tessere di cui l’enorme mosaico della sua vita è

composto, cerca di coglierne il senso […]59

e indicherà, in chi la ode, il significato dettato dalla relazione che con essa e da essa ne è derivato.