• Non ci sono risultati.

dunque, perché appartenente a un’umanità eroica, ben distinta da quella comune: Penelope regina e degna sposa di un re Un’ultima volta nel poema,

infatti, ella riceve questo epiteto: quando, riunita infine nell’abbraccio

coniugale al marito, nel talamo che sancisce gli antichi diritti dell’eroe sulla

moglie e sul regno

45

, gli racconta le sofferenze causatele dai pretendenti (Od.

XXIII 302), ed egli, da parte sua, le proprie peripezie. È il momento di

definitiva conferma di un’affinità perfetta tra due anime gemelle, che non

possono addormentarsi prima di aver condiviso ogni passata esperienza ed

emozione (Od. XXIII 308s.); è l’estrema dimostrazione di quell’o(mofrosu/nh,

bene supremo nella coppia, che Odisseo un tempo aveva augurato a Nausicaa

(Od. V 180ss.): e la perfetta specularità dei due sposi si riflette anche negli

epiteti, perché, come Penelope è qui diÍa gunaikw½n, così Odisseo è diogenh/j

prendere come marito un mortale, almeno senza gravi conseguenze per lui (cf. Pomeroy 1978, 11). Analogamente, nel poema è costantemente evidenziata la superiorità fisica, morale, intellettuale e sociale di Penelope sui Proci, tanto è vero che essi sembrano piuttosto reticenti all’idea di chiederla regolarmente in sposa al nobilissimo padre Icario (Od. II 52-54, XVIII 275-280): ci si può infatti chiedere se i loro titoli e le loro ricchezze siano all’altezza della moglie (vedova?) di un re, eroe famoso, come Odisseo, per giunta figlia del fratello di Tindaro, ex-sovrano della potentissima Sparta. Dunque, se Penelope sposasse uno dei Proci, dovrebbe necessariamente scegliere un uomo non solo socialmente inferiore, ma che per di più ella non può né stimare né rispettare, sia per il comportamento incivile e indecoroso da lui tenuto nella sua casa, sia per l’inettitudine e la stoltezza dimostrata lasciandosi ingannare da lei per ben tre anni con la beffa della tela. Per questo, Penelope cerca di selezionare un marito che si dimostri degno di almeno u n a qualità di Odisseo, con la prova di a b i l i t à e v i g o r e dell’arco che, non per nulla, nessuno dei Proci riesce a superare, che Telemaco potrebbe compiere se il padre non gli facesse cenno di desistere, e di cui infine si dimostra all’altezza solo l’eroe, in quella che si può considerare la prima tappa della ‘riconquista’ della sposa (seguiranno l’eliminazione fisica dei rivali e la suprema prova i n t e l l e t t u a l e della bugia di Penelope sul letto).

45

Vd. cap. I, n. 77; cf. inoltre Frontisi Ducroux-Vernant 1998, 224s.; Vernant 2001, 136s., che conclude: «l’inalterabilità del piede del letto nuziale è espressione dell’immutabilità del segreto condiviso da entrambi: la virtù di Penelope, l’identità di Ulisse. Nello stesso tempo, i l l e t t o i n c u i P e n e l o p e e U l i s s e s i r i c o n g i u n g o n o è a n c h e q u e l l o c h e c o n f e r m a e c o n s a c r a l ’ e r o e n e l l e s u e f u n z i o n i d i r e d i I t a c a . Il letto in cui dormono il re e la regina è radicato nel più profondo della terra di Itaca. Rappresenta i diritti legittimi della coppia a regnare su questa terra e a essere un re e una regina di giustizia, in rapporto con la fecondità del suolo e delle greggi. Ma ancora, tale segno segreto, che loro sono i soli a condividere e a ricordare malgrado gli anni trascorsi, evoca ciò che li lega e fa di loro una coppia: la homophrosyne, la concordia, la comunione di pensiero [...]. Ed è proprio questo che il letto nuziale rappresenta»; analogamente, secondo Mossé 1988, 25, condividere il letto della regina significa diventare il padrone di Itaca, perché ella «possiede [...] nella sua persona una parte del potere che distingue il re dagli altri nobili, ed è anche in grado di trasmetterlo. Tale potere [...] è essenzialmente di c a r a t t e r e r e l i g i o s o ». Sull’estrema complessità del simbolo del letto ritorneremo – come già accennato – nel cap. III.2a.

(Od. XXIII 306)

. Il paragone con gli dèi acquista allora uno specifico

significato: «l e c o r p s g r e c , aux temps anciens, se donne à voir sur le

mode d’un blason faisant apparaître, en traits emblématiques, les multiples

“ v a l e u r s ” – d e v i e , d e b e a u t é , d e p o u v o i r – dont un

individu se trouve pourvu, dont il est titulaire e qui proclament sa timé: sa

dignité et son rang [...]. Le corps revêt la forme d’une sorte de tableau

héraldique où s’inscrit et se déchiffre le statut social et personnel de chacun:

[...] sa place dans une échelle de “perfection” qui s’élève jusque vers les dieux

campés en son sommet et dont les humains se répartissent, à divers niveaux,

les étages inférieurs» (Vernant 1989, 20s.

47

).

¹Arte/midi i¹ke/lh h)e\ xrusv= ¹Afrodi¿tv ¹Arte/midi i¹ke/lh h)e\ xrusv= ¹Afrodi¿tv ¹Arte/midi i¹ke/lh h)e\ xrusv= ¹Afrodi¿tv ¹Arte/midi i¹ke/lh h)e\ xrusv= ¹Afrodi¿tv è apparentemente una formula

quasi sinonimica della precedente, anche per il contesto in cui ricorre, che –

s’è detto – è quello di un’apparizione davanti a qualcuno, ma colpisce il fatto

che: a) nonostante possa fungere quasi da esegesi di diÍa gunaikw½n, non vi sia

mai associata; b) sia invece sempre preceduta da un altro epiteto caratteristico

della nostra eroina, peri/frwn; c) sia molto rara (le due sole occorrenze

indicate sopra); d) sia riservata, nel doppio paragone ad Afrodite e Artemide,

alla sola Penelope. Sembrerebbe di conseguenza di poterne trarre due

46 Anche in un altro momento del poema (in cui ancora una volta Penelope è diÍa gunaikw½n) si verifica un

perfetto scambio spirituale tra i due sposi, in questo caso però a livello inconscio, cioè nei sogni: cf. Od. XX 54-94, in particolare vv. 88-90 e 92-94.

47 Per l’argomento qui in questione, suggeriamo però di leggere l’intero primo capitolo di Vernant 1989

(«Mortels et immortels, le corps divin», pp. 7-39), che evidenzia come gli dèi, appunto per mettere in piena luce le qualità dei loro protetti, spesso intervengono per ‘abbellirli’, come fa ripetutamente Atena con Odisseo (davanti a Nausicaa, a Telemaco e alla stessa Penelope: Od. VI 229ss., XVI 172ss., XXIII 156ss.) e, come abbiamo visto nel cap. I, n. 90, con Penelope dinanzi ai Proci (e al marito che la rivede per la prima volta dopo vent’anni, senza farsi riconoscere) in Od. XVIII 187ss. (Vernant 1989, 23ss.). Analogamente, la dea può intervenire per nascondere il valore di Odisseo, facendolo apparire più vecchio e laido: cf. Od. XIII 397ss. Tuttavia, «non que l’individu, dans ce cas, ait changé de corps. Affreux ou splendide, c’est toujours le même que conserve Ulysse. Mais l’identité corporelle se prête à ces mutations subites, ces changements d’apparence [...], sans cesser d’être le même, monter ou descendre dans la hiérarchie des valeurs de vie» (ibid. 25).

conclusioni preliminari: il binomio di qualità suggerite in questo caso per