architettonico dell’‘altezza’: in particolare, nel canto XXI apprendiamo che
Penelope è dovuta salire al piano di sopra per prendere l’arco (si noti:
kli¿maka d' u(yhlh\n prosebh/seto oiâo do/moio, v. 5), ma nel suo movimento
successivo verso la sala non c’è cenno a una discesa (bh= r(' iãmenai
me/garo/nde, v. 58)
40. In questo canto, infatti, il poeta mira a convogliare
l’attenzione non sulla maestosità della figura di Penelope, ma piuttosto sul
momento, per lei drammatico, della scelta definitiva del suo destino:
particolare rilievo assume allora, ad esempio, la serie di oggetti indispensabili
alla gara, ch’ella e le ancelle si portano dietro, e che sono posti per così dire in
‘primo piano’ con la loro puntuale rassegna (vv. 58-62: arco, faretra, frecce,
cassa, ferro, bronzo)
41. La scena ha quindi due punti di focalizzazione:
Penelope e l’arco ‘fatale’, che rappresenta agli occhi dell’eroina sia,
40 Anche in altri passi, il movimento di Penelope non sembra ‘verticale’ ma ‘orizzontale’: cf. ad es. Od. XVI
413; XVII 36 = XIX 53; XXI 354.
41 La scena tipica dell’‘apparizione di Penelope in pubblico’ si interseca qui (vv. 5-62) con quella che De
Jong 2001, 505 chiama «‘storeroom’ type-scene», che si riscontra – ma in forma sempre più breve – anche in
vita
42. Per questo, Penelope,
e(zome/nh de\ kat' auÅqi, fi¿lois' e)piì gou/nasi
qeiÍsa, / klaiÍe ma/la lige/wj, e)k d' vÀree to/con aÃnaktoj (Od. XXI 55s.)
43: si
tratta, ci pare, di un pianto ‘fuori’ degli schemi topici
44, motivato com’è da
quel guazzabuglio di sentimenti – dalla nostalgia al sollievo, forse, che si
prova quando si scioglie la tensione di una prolungata incertezza, perfino se la
soluzione è diversa dai nostri desiderî – che verosimilmente si agitano nel
cuore di Penelope. Questa volta, però, proprio per la sua speciale natura,
questo pianto non induce il sonno (cf. Od. I 362-364, IV 793s., XVI 450s.,
XIX 63s., XXI 357s.), ma prelude all’azione:
bh= r(' iãmenai me/garo/nde meta\
mnhsth=raj a)gauou\j / to/con eÃxous' e)n xeiriì pali¿ntonon h)de\ fare/trhn /
i¹odo/kon (Od. XXI 58-60)
45.
42 Secondo Lateiner 1995, 198, l’arco di Odisseo convoglia più significati contrapposti: è segno di amicizia
(XXI 13s.) e portatore di morte; la sua essenza è dolore e penetrazione, e perciò esso determina i diritti economici sui beni di Odisseo e quelli sessuali su sua moglie; è quindi il correlato oggettuale dell’eroe: infatti, come il letto – e la prova che gli è associata – trasforma Penelope da vedova di nuovo in moglie, così l’arco – con una prova parallela – trasforma Odisseo da mendicante in padrone di casa.
43 Secondo Fränkel 1993, 92, nell’espressione fi¿lois' e)piì gou/nasi, la parte del corpo rimanda a una realtà
psicologica: «da Adjektiv “lieb, befreundet” (fi/loj) hat überhaupt bei Homer einen weiten Gebrauchbereich. Es kann auf alles angewandt werden was mit der Person im Bunde steht, nicht nur auf “die lieben Gefährten”, sondern auch auf die eignen Organe. Denn die Organe sind Helfer und Repräsentanten des Ich, wenn man [...] sich e t w a s a u f “ d i e l i e b e n K n i e e ” legt was man gern bei sich behalten würde, aber alsbald herausgeben muß [...]. Die Organe sind mit dem Ich “befreundet”, und überhaupt alle Elemente – der Person – Glieder, Intellekt, Gefühl und Wille – wirken in gleichem Sinne zusammen zu sachlicher Tätigkeit, ohne Konflikte und Komplikationen». Su questa concezione dello spirito in Omero, vd. infra § 1d.
44
Anche in altre occasioni, però, nell’Odissea, il pianto di Penelope esula dalla stilizzazione del carattere, e si giustifica pienamente nella logica dell’azione: quando ella apprende del pericoloso viaggio compiuto da Telemaco a sua insaputa (IV 703ss.); quando, dalle parole del presunto mendicante, si convince ch’egli ha delle informazioni attendibili su Odisseo (XIX 204ss.); e quando infine riconosce lo sposo (XXIII 207s.). Del resto, molto si è insistito – e spesso malignamente – sui pianti di Penelope, ma non è raro vedere piangere o gemere anche Odisseo, sin dalla sua prima apparizione in scena, anche se per lo più egli cerca di nascondersi: cf. ad es. Od. V 151ss.; VIII 84ss. e 522ss.; IX 294 e 306; XII 234, 370; XIII 198, 219ss.; XVI 191, 215ss.; XXIII 231ss.; XXIV 318s.; celebre è inoltre il pianto di Achille all’inizio dell’Iliade (I 349ss.). Sul valore ‘tipico’ di queste scene di pianto, cf. ad es. Fenik 1974, 102s.
45 Questa scena ha un parallelo nel canto XVII, quando è invece Odisseo a dover entrare nella sala del suo
palazzo e affrontare per la prima volta i Proci: egli indugia dapprima un poco sulla soglia, conversando con Eumeo, e scorge il suo cane Argo (il solo a riconoscerlo immediatamente, per puro istinto) che, malconcio e vetusto, gli offre come il riflesso del suo aspetto di vecchio e miserabile mendicante (Od. XVII 284s.e)peiì
Ora, si osservi che l’espressione
bh= d' i¹e/nai/r(' iãmenai me/garo/nde
compare in Omero solo in Od. XVI 413 e XXI 58
46, ma è completata in
ognuno dei due contesti da formule antitetiche, su\n a)mfipo/loisi gunaici¿n e
meta\ mnhsth=raj a)gauou/j, che nel caso di Penelope rimandano da una parte
al mondo solidale delle donne, dall’altra a quello ostile degli uomini. Così, nel
momento in cui la regina affronta, sola e impotente, i pretendenti che
minacciano il figlio, ella incede nel me/garon con al fianco le sue ancelle
(anche se, come abbiamo visto, esse non sono più menzionate al momento
dello scontro decisivo coi Proci); quando è lei a decidere infine
risolutivamente, in un modo o nell’altro, della vicenda, avanza sicura tra i
pretendenti per proporre la gara nuziale, e la formularità dei vv. 63-66 sembra
perfettamente appropriata ad esprimere la solennità del momento tramite
un’immagine altrettanto solenne
47: quella per così dire statuaria di Penelope
ferma nella sala, in mezzo alle due ancelle che, come il suo velo calato sul
volto, ne rappresentano simbolicamente la castità
48.
kaka\ polla\ pe/ponqa ku/masi kaiì pole/m%), gli ricorda – come l’arco a Penelope – il tempo felice pa/roj
d' ei¹j ãIlion i¸rh\n %Óxeto (Od. XVII 293), e rappresenta però anche il segno tangibile che questo, una volta passato, non si può più recuperare. Anche in Odisseo, allora, i sentimenti fanno groppo e, pur repressi, si manifestano, come per Penelope, nel pianto nascosto ad Eumeo: o( no/sfin i¹dwÜn a)pomo/rcato da/kru (Od. XVII 304). È interessante come la memoria del poeta abbia collegato i due episodi, tramite due versi di fattura quasi eguale e quali non ricorrono altrove: due versi che sembrano in effetti mediare il passaggio dalla scena patetica del pianto dei due sposi a quella seguente del loro confronto coi Proci. Così, nel canto XVII, dopo il discorso su Argo, che Odisseo commosso ha proposto probabilmente per distogliere l’attenzione del porcaio, Eumeo bh= d' i¹qu\j mega/roio meta\ mnhsth=raj a)gauou/j (v. 325), proprio come Penelope, dopo il pianto sull’arco di Odisseo, bh= r(' iãmenai me/garo/nde meta\ mnhsth=raj a)gauou/j (Od. XXI 58).
46 Per una disamina delle formule di questo tipo, quali quelle che includono (ei)s-)/(a)na-)bai/nw, u(perw/ion,
me/garo/nde/qa/lamo/nde, e quelle comincianti per bh d' + un infinito metricamente conveniente di eiÕmi (14++ o 14++_), cf. Nagler 1974, 73s.
47
Cf. Parry 1966, 198, n. 44: «the formulary language of the Iliad and the Odyssey gives a kind of ritual quality to all the poetry, although this quality obviously does not inhibit spontaneity and dramatic force. But within the world created by this language, s o m e p a s s a g e s a r e m o r e r i t u a l , emphasize more the recurrent patterns of life, than others».
48 Questo valore connotativo in uno specifico contesto non contrasta – come si diceva nella nota precedente –
con la natura formulare dell’espressione, le cui combinazioni linguistiche vengono «produced anew from some inchoate generative impulse each time they appear. A fortiori, absence of variation among more complex phrases, whole lines, or groups of lines need by no means imply a fixity in the tradition which hampered the poet’s creative powers or, for that matter, rendered them unnecessary. The real “variation” is