(Wilamowitz 1927, 19): benché il comportamento di Penelope sia attribuito
ad Atena, ciò comunque non impedisce di scorgere le sue vere intenzioni, vale
a dire il suo intento di estorcere ricchezze ai pretendenti, e non certo – come
lei pretenderebbe – di parlare a Telemaco
25. Ed Eurinome, che si è accorta del
cambiamento d’umore della padrona, prontamente le suggerisce – per meglio
conseguire il suo scopo – di farsi bella, provocandone involontariamente un
sentimento di vergogna (v. 184), con cui il poeta vuole garantirci che la sua
fedeltà allo sposo è ancora intatta (e questa stessa preoccupazione ritroviamo
anche ai vv. 251ss.). Ma per quale ragione Odisseo si mostra compiaciuto del
comportamento della moglie (vv. 281-283)? Perché egli ha capito che lei
mente spudoratamente al fine soprattutto di prender tempo
26, ma anche di
24 Wilamowitz 1884, 33s. = 1927, 23ss. (e cf. n. 81). Improntata a simile misoginia, o quantomeno a scarsa
fiducia nelle capacità intellettuali femminili, mi pare d’altronde anche l’idea appena esposta che nella sostanza sia Odisseo e non Penelope ad ideare la prova del letto. E, in ogni caso, giudizi di questo genere non erano rari in quegli anni, anche da parte di altri illustri classicisti più simpatizzanti con Penelope, ma non certo avulsi dalla mentalità corrente al loro tempo: secondo Pasquali, ad esempio, ella «è la donna: forte e debole a un tempo, sa tenere contegno dignitoso di fronte ai Proci e difendersi, anche con artifici sottilmente escogitati, dalle loro insistenze; ma internamente si sente abbandonata, si sente troppo debole di fronte al mondo grande e terribile che la circonda; basta un sogno a infonderle speranza o a piombarla nella disperazione. Perché donna, sa anche farsi bella, quando gliene vien voglia» (1935, 336). Sulla tradizione di Penelope infedele cf. cap. IV.4 e ibi n. 61.
25 Il filologo propone anzi di cassare l’intera conversazione tra Telemaco e la madre dei vv. 214-243, perché
interrompe inopportunamente la descrizione degli effetti dell’apparizione di Penelope sui pretendenti (vv. 212s.), rappresentati in specie dalle parole di Eurimaco (vv. 244-249). In alternativa, si potrebbero conservare le parole di Penelope al figlio dei vv. 215-222 e la risposta ai vv. 226 e 230-232, che costituiscono il legame col precedente episodio del lancio dello sgabello contro Odisseo (Wilamowitz 1927, 22s.).
26 Una simile interpretazione morale, alternativa a quella letterale del testo, che suggerisce piuttosto la natura
puramente utilitaristica del compiacimento di Odisseo, era già stata proposta da Plut. Aud. poet. 27b-c, il quale osservava contrariato che pa/lin th=j Phnelo/phj toiÍj mnhsth=rsi prosdialegome/nhj ou)k a)panqrw¯pwj, e)kei¿nwn d' au)tv= xarizome/nwn i¸ma/tia kaiì ko/smon aÃllon, h(do/menoj ¹Odusseu\j ouÀneka tw½n me\n dw½ra pare/lketo, qe/lge de\ qumo/n, ei¹ me\n e)piì tv= dwrodoki¿# kaiì pleoneci¿# xai¿rei, to\n kwm%dou/menon u(perba/llei mastropei¿# Poli¿agron: eu)dai¿mwn Poli¿agroj ou)ra/nion aiåga ploutofo/ron tre/fwn (l’espressione proverbiale aiÄc ou)rani/a tre/fein, osserva Meineke, FCG I/2, 160 s., fr. XXI, che in Cratino indicava «profligatos homines, qui pecunia se corrumpi paterentur et publico furto ditescerent», «ad Poliagrum quendam, qui ex adulteriis uxoris largas opes colligebat, facetissime transtulit incertus veteris comoediae poeta» nel fr. adesp. 708 K.-A., che anche Kock, CAF I 87 e Kassel-Austin, PCG IV 255 escludono sia da unirsi appunto a Crat. fr. 261 K.-A., ricavato da Zenobio, Paroem. Gr. I,1,26. Sul
lucrare sulla situazione: il poeta, infatti, fraintende la sua fonte, che fa
riferimento all’antico uso – al suo tempo ormai desueto – degli eÀdna, i doni
nuziali offerti dai pretendenti alla sposa
27, e interpreta dunque la richiesta di
Penelope quale atto d’avidità. D’altra parte, secondo Wilamowitz, il resoconto
delle ultime parole di Odisseo prima di partire, fatto dall’eroina, è
insostenibile sia sul piano psicologico che su quello sociale
28, e dunque
assolutamente insincero.
proverbio cf. anche Hesych. a 2011; Suda ai 237, o 934; Phot. a 660 Th., o 361 Porson; su Poliagro cf. Alciphr. Ep. III 26,4; Ael. V. H. V 8; vd. anche il commento di Valgiglio 1973, 182s. al passo plutarcheo). Perciò, secondo il moralista greco, era preferibile vedere un altro intento nella soddisfazione di Odisseo: ei¹ de\ ma=llon oi¹o/menoj u(poxeiri¿ouj eÀcein dia\ th\n e)lpi¿da qarrou=ntaj kaiì to\ me/llon ou) prosdokw½ntaj, lo/gon eÃxei to\ h(do/menon au)tou= kaiì qarrou=n. E Wilamowitz quasi traduce Plutarco, nell’evidente intento di giustificare l’imbarazzante soddisfazione dell’eroe: «freut sicht beileibe nicht darüber, daß sie so viel bekommt, das wäre ja schlimmer als Kuppelei, sondern daß die Freier nun durch die Hoffnung festgehalten werden und ihm nicht entgehen können» (1927, 25). Questa linea esegetica ha goduto di notevole successo (cf. ad es. Hennings 1903, 492; Büchner 1940, 141), e recentemente ha indotto a vedere nella scena una dimostrazione dell’ o(mofrosu/nh tra sposi decantata da Odisseo a Nausicaa in Od. VI 181ss.: «la prima visione che ha di lei lo sposo travestito è di una Penelope all’opera per abbindolare accortamente i Proci [...]. Questa sua intelligenza conferma che è proprio la moglie ideale per Odisseo. E giacché si assomigliano tanto, ella è trasparente per lui. Odisseo capisce subito cosa sta facendo Penelope, e ne gode, poiché la dissimulazione dei moventi interni è esattamente il tipo di espediente a lui caro e che egli di fatto utilizzerà presto, ai vv. 344-5, dove anche lui avrà in mente cose tutt’affatto “diverse” (aÃÃlla) da quelle che manifesterà esteriormente» (Russo 1985, 213 = Russo – Fernández-Galiano – Heubeck 1992, 66s. ad Od. XVIII 281-283). Si veda invece infra, 49s. l’accento posto da Focke 1943 sulla mentalità utilitaristica del poeta (e dei suoi personaggi) e la n. 104 sulla formula no¢oj de/ oi¸ aÃlla menoin#.
27 Lo stesso fraintendimento ci sarebbe, secondo Wilamowitz 1927, 101s., anche in Od. II 53, 132s. e 195ss.
Merkelbach 1969, 14 obietta però che un simile errore potrebbe interessare anche un poeta molto antico, visto che «die Änderung der Sitte dürfte sehr weit zurückliegen». Sugli eÀdna cf. anche cap. II.3d.
28 Psicologico: un guerriero che parte per la guerra rassicura la moglie del suo ritorno, non le dà ulteriore
angoscia prevedendo il caso della propria morte; sociale: l’amministrazione dei beni dell’eroe assente non spetta alla moglie, ma ai genitori (in specie a Laerte). Credo però che occorra prudenza a voler presumere, senza solidi appigli testuali, la psicologia di un uomo notoriamente caratterizzato dalla sua previdenza, quale Odisseo, nel distacco da una sposa tanto forte e determinata da attenderlo per vent’anni. Opposto è ad es. il giudizio di Stanford 1967, 309 ad Od. XVIII 257ss.: «there is a notable realism in this excerpt from a soldier’s farewell before leaving for war»: Odisseo, riconoscendo il valore del nemico e la conseguente possibilità d’essere ucciso, ricorda alla moglie le sue responsabilità verso la famiglia e le dà istruzioni per il futuro, compresa l’ipotesi di seconde nozze (eventuali dettagli più intimi di questa sua ultima conversazione col marito – forse paragonabile a quella tra Ettore e Andromaca in Il. VI 390ss. – Penelope naturalmente non li rivela agli odiati Proci). Quanto alla gestione del potere a Itaca e alla kuriei/a su Penelope, cf. cap. II, n. 62, e cap. III.3a, in particolare n. 177: ricordiamo che non mancano, tra i critici, sospetti sulla vitalità (e sull’esser in vita) in alcune versioni del mito del personaggio di Laerte, del resto di assai scarsa importanza narrativa, se non nella sospetta ‘Continuazione’ del canto XXIV (cf. n. 66 e nel cap. II, n. 155).