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ECONOMIA DI MERCATO E CAPITALISTA SERVO SCIOCCO

Costantino Bresciani Turroni, Introduzione alla politica economica, Giulio Einaudi, Torino, 1942. Un voi. in 8° di 380 pp. Prezzo netto L. 40.

1. — Avendo già scritto una prefazione al volume di Bresciani non mi at­ tento a scrivere una recensione. Ho già detto nella prefazione che reputavo essere questo uno dei migliori libri modernamente pubblicati intorno ai problemi che più interessano uomini pratici banchieri industriali commercianti agricoltori politici am­ ministratori uomini vivi in genere. Tutti costoro poco gustano i teoremi di scienza pura, che vedono distanti dai problemi quotidiani che li toccano, o di cui, pur intuendone la portata, non sono in grado di valutare l’applicazione alle tormentose domande che li urgono. Ecco un libro, scritto da uno scienziato vero, da un econo­ mista di lena, il quale offre una risposta a domande che tutti si pongono : che cosa si deve pensare dell’intervento che modifica le condizioni generali nelle quali si esplica l’attività privata, dell’intervento diretto del governo sul mercato a fissare i prezzi, orga­ nizzare industrie, modificare metodi produttivi? Quali gli effetti di lina economia socialistica? dell’economia regolata? Si possono combattere le crisi e come? Che cosa si deve dire dei lavori pubblici? Che cosa della politica monetaria, del sistema dei clearings, della teoria dello spazio vitale e dei grandi spazi? Che della legislazione sociale, delle riforme intese a modificare la distribuzione della ricchezza e dei red­ diti? Basta enunciare i quesiti ai quali Bresciani risponde per vedere che essi sono proprio quelli a cui moltissimi, praticamente tutti quelli che pongono a sé stessi quesiti economici, desiderano una risposta. La risposta la dà una delle menti più lucide che onorino la scienza economica italiana nel momento presente.

In fondo, se i ragionamenti dell'autore sono superbamente obbiettivi, se il prò e il contro sono in ogni caso pesati con somma imparzialità, non si può tacere che le simpatie dell’autore verso i moderni sistemi di economia regolata, socialistica, verso i clearings monetari, verso le teorie dei grandi spazi, verso i regolamenti go­ vernativi dei prezzi, verso tutto ciò che è il tipico armamentario della politica

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ECONOMIA DI MERCATO E CAPITAUSTA SERVO SCIOCCO 39 nomica contemporanea sono assai limitate; e sono pur ragionati in modo impecca­ bile i meriti del sistema automatico di libertà di scambi e di contrattazioni che do­ minava innanzi al 1914 ed è messa in luce la natura artificiosa del suo progressivo decadimento.

2. — A questo punto si pone una domanda, che è l'oggetto specifico della presente pseudo-recensione. L'autore di altra, e meditata, recensione del libro, po­ sto di fronte alla tesi del Bresciani non essere

« un sistema che soffoca l'iniziativa privata e sopprime la concorrenza e il mercato, adatto a una situazione normale, perché impedisce l'azione della molla più potente del progresso eco­ nomico e pone gravi ostacoli alla diminuzione dei costi di produzione »,

osserva che la tesi non

« avrebbe alcun significato se fosse dimostrato che non dipende da arbitrio di uomini ripro­ durre le condizioni che garantiscono la libera concorrenza, sopprimono privilegi e monopoli e inducono le libere iniziative degli individui, sospinte dagli interessi privati, ad operare nei modi che favoriscono l'interesse generale » (cfr. Guido Ca r li, Una introduzione a lla politica

econom ica, in «Civiltà fascista», dicembre 1942, p. 115).

La contro tesi del Carli appartiene a quell’insieme non so come chiamarle se teorie o osservazioni storiche o complesso di inferiorità, per cui molti, i quali pur riconoscono che, se di possibile attuazione, il sistema imperniato sulla libera concorrenza darebbe risultati migliori economicamente e socialmente di quelli socia­ listici o regolamentaristici, allargando le braccia, esclamano: non illudiamoci; pur­ troppo « il bell’ideale va contro i tempi, ché forze potenti insite nel meccanismo medesimo della industria e del commercio contemporaneo ne ostacolano il ristabi­ limento. Non è in arbitrio degli uomini l’andare contro le cose, contro l’evoluzione storica, contro la necessità dei grandi complessi industriali. Monopoli, trusts, accordi nazionali ed internazionali possono essere dannosi; ma sono, è necessario regolarli, poiché non si possono abolire ».

Altri, ad esempio Robbins in tutti i suoi libri o Ropke nella sua recentissima opera, ha già protestato contro questo atteggiamento rassegnato e fatalistico. Ho protestato da tempo e seguito a protestare anch’io. Non nel senso di voler andare contro ad una fatale corrente storica; ma nell'altro di pretendere dagli scropritori della tesi, che è di storia, la dimostrazione del loro assunto. Che cosa è questo fato che trascina; questa necessaria evoluzione verso il colossale monopolistico; quali sono le forze vere le quali hanno a poco a poco indebolito l’operare della concor­ renza? Prima di dire che non c'è niente da fare per modificare queste forze cieche le quali trascinano, volenti o nolenti, gli uomini, alziamo il velo. Analizziamo e pre­ cisiamo; diamo un peso ed un luogo alle forze che si dicono irresistibili. Vediamo quale sia la parte dovuta alle trasformazioni della tecnica produttiva, del tipo di intrapresa, al prevalere delle imprese colossali per minori costi di produzione, per maggiore attitudine a comprare e vendere. Va da sé che se il monopolista (o il grosso che spesso è scambiato per monopolista) produce al costo 5, laddove molti

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concorrenti produrrebbero a costi da 8 a 20, il monopolista trionfa; e si tratterà solo di costringerlo, in sede di provvedimenti di politica economica, a vendere a qual­ cosa di meno di 8 . Ma quanti sono i casi nei quali il monopolista o il grosso deve il suo trionfo a cotal causa — spesso allegata, ma assai più raramente provata — ; e quanti son quelli nei quali la sua vittoria è dovuta a dazi doganali, a divieti di concorrenza, a contingentamenti, a brevetti, a preferenze ferroviarie o marittime, a costi generali a r t i f i c i o s a m e n t e minori dei costi che il piccolo o il medio debbono sopportare per ottenere permessi, licenze, favori, appalti, decreti a Washing­ ton, ad Ottawa, a Parigi, a Londra od a Berlino? I dazi ecc. ecc. sono forze fatali necessarie storiche? SI e no. SI, se non c'è nessun mezzo di farli abolire o variare; no, se è possibile la lotta educativa politica per indurre il legislatore a mutar re­ gimi di dazi, brevetti, ecc. ecc. SI, se si ammette che il grosso, solo perché è grosso, abbia in suo potere coloro che fabbricano leggi; no, se si è persuasi che si può mettere l’opinione pubblica contro il grosso e distruggere la sua potenza legifera- trice. Insomma, la tesi del f a t o per sé non ha contenuto; ed è incredibile che si metta innanzi, crudamente, sul terreno scientifico.

Diventa tesi storica, quando la si scinda nei suoi elementi costitutivi, la si defi­ nisca con precisione e si tenti di valutare, tempo per tempo e paese per paese, il contenuto reale dei moltissimi fattori di cui evidentemente si deve comporre il con­ cetto oscuro e indefinibile del fato.

3. — L’autore della recensione che qui è assunta ad argomento di discussione, in un sol punto adduce una ragione precisa del suo dubitare della possibilità di ristabilire la libera concorrenza; ed è dove afferma che

« Due generazioni or sono — all'incirca — l'industria americana si componeva di aziende rela­ tivamente piccole con una tecnica produttiva relativamente modesta. Queste aziende erano nella maggior parte di proprietà di individui singoli, di famiglie o, in qualche caso, di ristretti gruppi di capitalisti. Le officine erano generalmente dirette dagli stessi proprietari; funzioni addizio­ nali di direzione e controllo potevano anche essere affidate ad un qualsiasi operaio esperto. At­ tualmente le industrie più importanti sono organizzate in grandi società. Il processo di produ­ zione è diventato estremamente complesso. La direzione, il coordinamento, il controllo della produzione, a causa dei metodi perfezionati e razionalizzati in uso, sono diventati compiti deli­ cati, che richiedono una vera specializzazione.

« Si è venuta creando una classe di dirigenti specialisti, che, salvo eccezioni, non appar­ tengono alla categoria dei titolari del diritto di proprietà degli strumenti di produzione. I po­ teri di questi dirigenti non derivano dalla proprietà di titoli azionari, ma dalle funzioni assolte. I dirigenti si distinguono al tempo stesso da tutti gli altri lavoratori dell’impresa non soltanto per le funzioni loro affidate, ma anche per la loro educazione, per la loro cultura, per la loro preparazione, per le loro aspirazioni. L'esistenza di questa nuova classe, distinta e diversa da quella dei capitalisti e da quella di tutti gli altri salariati dell’impresa, costituisce un fenomeno nuovo, che si verifica con l'estendersi della produzione e della distribuzione su grande serie. Si potrebbe fissarne l'inizio nel 1913, quando Ford introdusse i propri metodi organizzativi ». Il Carli, pur non affermando positivamente che si sia verificata la traslazione delle funzioni economiche un tempo assunte dai proprietari degli strumenti di pro­ duzione in una nuova categoria sociale priva della proprietà di questi, chiede: se

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ECONOMIA DI MERCATO E CAPITALISTA SERVO SCIOCCO 41 fosse provato che il proprietario-capitalista non dirige più la propria impresa, ma questa è gerita da un ceto nuovo di dirigenti non interessati nella proprietà dell’im- presa, esisterebbe ancora un mercato, esisterebbe ancora un sistema spontaneo di prezzi, la organizzazione economica sarebbe ancora fondata sulla proprietà privata, vivrebbe ancora la categoria degli imprenditori, esisterebbe, insomma, il sistema eco­ nomico universalmente conosciuto come sistema di concorrenza?

4. — E perché no? Non è forse un postulato della piena concorrenza che il mercato sia aperto a tutti, al massimo numero possibile di concorrenti, e che tutti, imprenditori banchieri capitalisti venditori di mano d’opera di materie prime di macchine di semi-lavorati, possano uscire ed entrare dal e nel mercato? Quando mai l’unione in una sola persona fisica delle due figure dell'imprenditore o gestore della produzione a suo rischio e vantaggio e del capitalista o fornitore di capitali fu condizione preliminare all’attuarsi del sistema? Il postulato di un’unione ne­ cessaria delle due figure dell'imprenditore c del capitalista è fondato sulla con­ fusione fra il concetto chiaro dell' e c o n o m i a di m e r c a t o od economia di concorrenza, ossia di una organizzazione sociale nella quale il piano di quel che si deve fare è risoluto dal complicato e sapiente meccanismo dei prezzi e del gioco della domanda ed offerta sul mercato ed il concetto informe del cosidetto c a p i t a l i s m o che è parola inventata dai socialisti al principio del secolo scorso, resa incomprensibile per l’abuso che ne fecero Marx e Sombart, e divenuta inser­ vibile, mera parola di uso mistico, a poco a poco, con salto logico, personificata e trasformata in ente al quale si attribuiscono coscienza e intenzioni, dicendosi ad esempio che il capitalismo annoda intrighi diplomatici, spinge alla guerra o go­ verna gli stati ( 1 ).

Se noi, come si deve in omaggio alla chiarezza del linguaggio ed alla verità storica, respingiamo l'identificazione fra l’economia di mercato ed il capitalismo ed assumiamo solo la prima come caratteristica della struttura economica imperniata sulla persona dell’imprenditore, il quale acquista sul mercato i fattori di produ­ zione e li combina insieme, dobbiamo chiederci : è connotato necessario del sistema di economia di mercato o di concorrenza la unione in una sola persona fisica o giuridica delle due figure dell’imprenditore ( 2) e del capitalista? No. In quell’unione sta invece un vincolo, che rende imperfetta la concorrenza. L’imprenditore che sia anche capitalista non può liberamente muoversi sul mercato, entrarvi od uscirne, senza l’accompagnamento fisico del capitalista, che è lui stesso, provveduto di capi­ tale proprio nella quantità necessaria all'esercizio dell’impresa o almeno di una parte notevole di esso. Può affittare sul mercato l’uso di una dose nuova; ma trova difficoltà a sbarazzarsi, se necessario, temporaneamente o permanentemente, del ca­

li) Oltre alla maggior opera del Ropke della quale a lungo discorsi nel quaderno del giugno scorso di questa rivista, cfr. dello stesso autore il saggio W irlschajtverfassung u n i po-Utische W ehordnung in «Die Friedens- Warte ». Polygraphischer Verlag, Zürich, 1943, n. 1 , pp. 24-35.

(2) Identifico cosi il concetto dell’« imprenditore privo di capitale», e quello dei «diri­ genti specialisti non appartenenti alla categoria del diritto di proprietà degli strumenti di pro­ duzione ». Nel sistema nuovo che si afferma esistente negli Stati Uniti, non esiste nessun altro personaggio intermedio fra il capitalista e il dirigente.

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pitale proprio divenuto esuberante. L'ideale imprenditore sarebbe colui che non possedesse nemmeno un centesimo del capitale dell'impresa, salvo acquistare sul mercato l'uso di quella certa quantità di capitale e per il tempo che per lui sia più conveniente; e l'ideale capitalista — s'intende ideale ai fini dell'attuazione del­ l'ipotesi di libera concorrenza — sarebbe colui che non gerisce il capitale proprio ma lo dà a mutuo, con partecipazione ai lucri dell'impresa o ad interesse fìsso, al dirigente od imprenditore. Sarebbe cosi raggiunta la massima mobilità dei fattori personali e materiali della produzione e l'imprenditore sarebbe quale la teoria della perfetta libera concorrenza suppone e cioè l'acquisitore sul mercato dei capitali per­ sonali, compreso il proprio e dei capitali materiali, il combinatore di essi ed il ven­ ditore dei risultati della combinazione. Né l'imprenditore cesserebbe di assumere l'impresa a proprio rischio. Non si rischiano solo capitali materiali, ma anche capi­ tali personali : il proprio nome, la carriera, l'avvenire, i guadagni futuri, che pos­ sono ben volere di più del capitale conferito nell'impresa dai capitalisti. G li econo­ misti che delinearono la figura dell'imprenditore nell'ipotesi di concorrenza la repu­ tarono necessariamente legata alla figura del capitalista?

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5. — Apro il libro di Cantillon, il primo thè dal 1730 al 1734 abbia ado­ perato nel senso suo proprio la parola E n t r e p r e n e u r e leggo :

« Le fermier est un entrepreneur qui promet de païer au propriétaire, pour sa ferme ou terre, une somme fixe d'argent, sans avoir de certitude de l'avantage qu'il tirera de cette entre­ prise (E ssai sur la nature du comm erce en général, p. 62 dell'ed. or. 1755 e 46-48 della ristampa di Londra 1931) »....

« Le drapier est un entrepreneur qui achète des draps et des étoffes du manufacturier à un prix certain, pour le revendre à un prix incertain, parce qu'il ne peut pas prévoir la quan­ tité de la consommation; il est vrai qu'il peut fixer un prix et s'obstiner à ne pas vendre à moins qu'il ne l'obtienne, mais si ses pratiques le quittent pour acheter & meilleur marché de quelqu'autre, il se consumera en frais en attendant de vendre au prix qu'il se propose, et cela le ruinera autant ou plus que s'il vendoit sans profit (67 e 50) ».

« Tous les autres [qui ne sont pas à gages certains] sont entrepreneurs soit qu'il s'éta­ blissent avec un fond pour conduire leur entreprise, soit qu'ils soient entrepreneurs de leur propre travail sans aucuns fonds et ils peuvent être considérés comme vivant à l'incertain (71-72 e 54) ». « Si dans un Etat il n'y avait pas d'entrepreneurs qui pussent faire du profit sur l'ar­ gent ou sur les marchandises qu'ils empruntet, l'usage de l'intérêt ne seroit pas probablement si fréquent qu'on le voit. Il n'y auroit que les gens extravagans et prodigues qui feroient des emprunts. Mais dans l'abitude où tout le monde est de se servir d'entrepreneurs, il a une source constante pour les emprunts et par conséquent pour l’intérêt (280 e 21 0 )» .

Dove si vede che, secondo Cantillon, secondo quest'uomo straordinario che vide a fondo nella società economica, la caratteristica peculiare dell’imprenditore non era il possesso dei capitali, che potevano essere suoi o presi a prestito, ma l'as­ sunzione del rischio dell'acquisto dei fattori produttivi a prezzo di mercato, del costo della loro combinazione e della vendita a prezzo incerto. Se taluno avesse pre­ detto a Cantillon che il sistema economico da lui descritto con tanta vivacità in quel primo terzo del secolo X V III sarebbe stato definito « capitalistico », egli si sarebbe grandemente stupito. Ché il perno del sistema, l'agente motore del meccanismo

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ECONOMIA DI MERCATO E CAPITAUSTA SERVO SCIOCCO 4 3 nomico di concorrenza non era per lui e non fu mai, salvo che per i romanzato» dell'economia e per i demagoghi, la cosa morta detta capitale ma la persona viva detta imprenditore. Ricordate la celebre pagina di Bagehot? Egli descrive colui che egli chiama indifferentemente e m p l o y e r e c a p i t a l i s t , datore di lavoro e capitalista. Quel che importa non è il vocabolo adoperato, è il contenuto che il Bagehot reputa proprio della figura dell'imprenditore.

« Egli determina quali beni debbano essere prodotti c quali no; quali recati sul mercato c quali no. Egli c il generale dell'esercito; determina il piano delle operazioni; organizza i suoi mezzi e sovraintende alla sua esecuzione. Se egli fa bene, l'impresa prospera e vive; se fa male, l'impresa fallisce e muore. Ogni cosa dipende dalla correttezza delle decisioni invisibili, dalla sagacia nascosta, dal cervello che decide. Insisto sul punto, sebbene esso sia ovvio e sebbene nessun uomo d'affari pensi valga la pena di ricordarlo, perché i libri ignorano questa verità e perché gli scrittori di libri non hanno con essa familiarità. Gli scrittori sono colpiti dalla im­ portanza esteriore delle classi lavoratrici; sentono gli operai dire: * Noi costruimmo Birmingham noi tirammo su M anchester'; ma si potrebbe dire con ugual ragione che i c o m p o s i t o r i fanno il giornale T h e Tim es. Certamente gli operai furono necessari a fabbricar città e giornali; ma da sé non bastavano all’uopo. Gli stampatori non determinano ciò che deve essere stampato; i redattori e collaboratori non stabiliscono neppure essi ciò che deve essere scritto. Il diret­ tore fissa ogni cosa. Egli crea i Tim es di giorno in giorno; la prosperità c la potenza del gior­ nale riposano sulla sua capacità a colpire la fantasia del pubblico; ogni cosa dipende dall'essere egli capace ad offrire quotidianamente al pubblico esattamente ciò che il pubblico desidera acqui­ stare. Il resto dell'impianto tipografico, le macchine da stampare a vapore, i banconi di carat­ teri, i redattori ed impiegati ed operai, per quanto molti di essi siano abilissimi, sono meri stru­ menti che il direttore fa agire. Nella medesima maniera il capitalista lancia l'affare; egli de­ termina quali merci debbano essere offerte al pubblico; come c quando offrirle e tutte le altre cose materiali all'uopo necessarie. La struttura monarchica dell'impresa si afferma a mano a mano che la società progredisce, cosi come si evolve la struttura della condotta della guerra c per le stesse ragioni. Nei tempi primitivi l'esito di una battaglia di­ pende dalla prodezza dei migliori combattenti, di un Ettore o di un Achille almeno tanto quanto dalla sapienza del generale. Oggi un uomo posto al termine di un filo telegrafico, un conte Moltkc col capo chino su una carta geografica, decide quali uomini debbano essere uccisi e così guadagna la vittoria. Così nell'economia. I tessitori primitivi erano uomini isolati, muniti di un telaio ciascuno, i primitivi fabbricanti di armi erano uomini isolati anch'essi, provvisti di pietra da affilare; non vi era azione organizzata, non vi erano piani, progetti e previsioni in nessuna industria, salvo in scala ridottissima. Oggi tutto è un problema di danaro c di dire­ zione; é il problema di un uomo il quale in un ufficio oscuro calcola il prezzo dei cannoni e dei tessuti.... Produrre con successo esige in ogni caso la capacità di adattare i mezzi ai fini, di offrire ciò che il pubblico desidera e nella guisa in cui lo desidera. Ma, con la divisione del lavoro, il successo esige ben più; che il produttore conosca i bisogni del consumatore, di un uomo che per lo più egli non ha mai visto, di cui probabilmente non conosce neppure il nome, che probabilmente parla un'altra lingua, vive secondo altre costumanze e non ha alcun punto di contatto con il produttore, salvo un desiderio per ciò che egli produce. Se un uomo, il quale non vede deve soddisfare al desiderio di chi non è visto, egli deve avere molta intelli­

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