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IL PARADOSSO RICARDIANO E L'INFELICE CRITICA DEL PARETO

1. « Critica infelice » è stata qualificata dal Cabiati (in questa Rivista, 1939, 1°, p. 2 1 ) l’obbiezione sollevata dal Pareto, nel Manuale (1906, cap. IX, §§ 44-53), avverso il cosidetto paradosso ricardiano.

Il Ricardo, nel suo ben noto esempio di due operai di diversa valentia che sappiano fare entrambi scarpe e cappelli, aveva affermato esser meglio per tutti e due che l’operaio più valente faccia soltanto la merce da lui prodotta con maggior vantaggio (scarpe), lasciando all’operaio meno valente la produzione dell’altra merce (cappelli). E con questo aveva inteso stabilire essere conveniente la divisione in­ ternazionale del lavoro anche quando un paese abbia più elevata produttività (as­ soluta) in tutti i rami di produzione. Ma, secondo il Pareto, « ciò non sta. È strano che egli (Ricardo) non si sia accorto che ciò ha luogo solo in certi casi e non ha luogo in altri. Il ragionamento del Ricardo vale solo per mostrare un caso possibile, non un caso necessario ». E a dimostrar questo il Pareto, nonostante la tanto la­ mentata strettezza di spazio, dedicava ben sette pagine del Manuale, quale « lontano accenno, per via di esempi, del fenomeno » da lui affermato.

56 AMEDEO GAMBINO

2. Questa critica del Pareto, come ricordato dal Cabiati, è stata a suo tempo rintuzzata in termini piuttosto vivaci dal W icksell, nella recensione dell’edizione francese del Manuale, apparsa nella «Zeitschrift für Volkswirtschaft» (1913, 1°). Il Pareto, secondo il Wicksell, « avrebbe fatto meglio a risparmiare a se stesso ed ai suoi lettori le otto pagine del Manuale » destinate all’argomento. Esse, invero, varrebbero « soltanto a dimostrare che Ricardo non scriveva favole per bambini, ma si rivolgeva ad uomini pensanti » (an selbständig denkende Männer).

Eppure, nonostante questo vivace attacco del Wicksell, la critica paretiana ha avuto fortuna in Italia, specialmente nella scuola. Così, ad esempio, la si trova esposta, sia pur succintamente, in Principii di politica economica internazionale del Porri ( 2" ed., 1934, pp. 133-4). Ed è stata ampiamente svolta ed anzi estesa dal Demaria nelle sue lezioni di Politica economica internazionale (Università Bocconi, anno accademico 1937-38). E la stessa impostazione critica è stata sviluppata dal Breglia in un diffuso studio (Divisione del lavoro e scambio internazionale, in «G iornale degli Economisti», maggio 1929), le cui conclusioni sono pressocché identiche a quelle del Pareto. Anche secondo il Breglia, infatti, la teoria tradi­ zionale avrebbe avuto il torto di avere «generalizzato conclusioni valide solo in determiriate combinazioni di rendimenti e di costi assoluti : di aver reso teorema incondizionato, un teorema dimostrabile sotto condizioni ». Il paradosso ricardiano andrebbe perciò respinto quale « abbaglio » del Ricardo e dei vari studiosi fino al Bastable, eliminato alfine proprio dalla critica del Pareto.

Non a vuoto è caduta quindi la riconsiderazione di quella critica da parte del Cabiati nell'accennato scritto del 1939, le cui conclusioni erano già state esposte nella Fisiologia e patologia economica negli scambi della ricchezza fra gli Stati

(1937, pp. 31-2). Ci sembra però che, tanto nell’uno quanto nell’altro scritto, il Cabiati non abbia colto in pieno il punto debole della critica paretiana, punto debole che — diciamolo pure — consisterebbe proprio in una svista elementare.

Ed è questo quel che vorremmo stabilire nella presente nota.

3. Secondo il Pareto « perché la conclusione del Ricardo sia sicuramente vera, occorre che quando I produce solo A e II solo B, le quantità totali prodotte siano entrambe maggiori che nel caso in cui, per soddisfare direttamente i propri gusti, I produce A e B e così pure II ». E questa regola di carattere generale viene da lui illustrata con il seguente esempio.

A mercati chiusi A mercati aperti

Produzione Produzione Ripartizione

e ripartizione delle merci

delle merci delle merci

I II Tot. I II Tot. I II Tot.

A 36 22 58 — 60 60 37 23 60

B 40 38 78 80 — 80 41 39 80

(Si tenga presente che, nell'esempio posto, tanto in I quanto in II si lavora per 60 giornate: in I in ogni giornata si produce 1,2 di A oppure 1,33 di B ed in II 1 di A oppure 1 di B).

/

IL PARADOSSO RICARDIANO E L’INFELICE CRITICA DEL PARETO 57 Conformemente alla regola paretiana, la divisione del lavoro sarebbe van­ taggiosa per entrambi i paesi (I e II), in quanto la produzione sarebbe maggiore per entrambe le merci (A e B), il che consentirebbe a ciascun paese di avere una maggiore quantità dell’una e dell’altra merce:

I avrebbe 37 A, invece di 36, e 41 B invece di 4 0 ; II » 23 » » » 22, » 39 » » » 38.

Ma per contro, stando sempre alla regola paretiana, la certezza della con­ venienza dello scambio verrebbe a mancare, ove che la divisione del lavoro facesse accrescere la quantità di una merce soltanto, contro una diminuzione della quantità dell’altra merce, come nel seguente esempio:

P r o d u z i o n i

A mercati chiusi A mercati aperti Differenze

I II Tot. I II Tot. I I Tot.

A 36 30 66 — 60 60 —36 +30 — 6

B 40 30 70 80 — 80 +40 —30 +10

In tal caso, secondo il Pareto, anziché una convenienza « necessaria » si ha una convenienza « possibile », che può presentarsi o meno a seconda il modo in cui le merci si ripartiscono tra i due mercati.

Posto, infatti, che si scambino 29 unità di A contro 31 unità di B, si verrebbe ad avere la seguente r i p a r t i z i o n e delle quantità prodotte :

A mercati chiusi A mercati aperti Differenze

I II Tot. I II Tot. I II Tot.

36 30 66 29 31 60 — 7 + 1 — 6

40 30 70 49 31 80 + 9 + 1 + 1 0

E la divisione del lavoro verrebbe allora a risultare conveniente, poiché — come dice il Pareto — « per I vi è più che compenso della diminuzione di A nell’aumento di B e in quanto a II egli ottiene maggiori quantità delle due merci, onde sta sicuramente meglio di prima ».

Ma ove, invece, si scambino 28 unità di A contro 35 unità di B si verrebbe ad avere la seguente altra r i p a r t i z i o n e delle quantità prodotte :

A mercati chiusi A mercati aperti Differenze

I II Tot. , I II Tot. I II Tot.

36 30 66 28 32 6 0 . — 8 + 2 — 6

40 30 70 45 35 80 + 5 + 5 + 1 0

E la divisione del lavoro non verrebbe allora a risultare conveniente per I. « Infatti », dice il Pareto, « se I, per soddisfare i suoi gusti, principia col produrre 45 di B, gli avanza tanto tempo da poter prbdurre 31,5 di A, dunque a lui giova maggiormente produrre A e B, che produrre solo B, e procurarsi A col baratto con II. C i t r o v i a m o q u i n d i n e l c a s o i n c u i l a p r o p o s i z i o n e d e l R i c a r d o n o n s i p u ò a c c e t t a r e » (spaziato n o n dell’originale).

58 AMEDEO GAMBI NO

4. A questo ragionamento del Pareto obbietta il Cabiati che « il conto non torna, perché il Pareto introduce nel suo calcolo un fattore che Ricardo presuppone come fisso e quindi non considera, e cioè prescinde dalla elasticità delle curve di domanda-offerta ». E il Cabiati passa, quindi, a stabilire come mai il Ricardo abbia avuto ragione a non contemplare la diversa intensità della domanda-offerta e come, comunque, « il caso di Ricardo ritorni supponendo tre merci invece di due, di cui una è l'oro », ossia introducendo la moneta.

Senonché, obbiettiamo noi a nostra volta, è tutt’altro che pacifico che il Ricardo non abbia considerato il gioco della domanda reciproca. Cosi, ad esempio, 1‘ Ohlin, il quale non ha certo risparmiato critiche al Ricardo, ha tuttavia riconosciuto espres­ samente che mentre « viene spesso asserito che Ricardo abbia lasciato la teoria quale abbreviata analisi delle condizioni dell’offerta.... sta di fatto che egli ha presentato una acuta analisi dei prezzi internazionali, nella quale l'equazione della domanda reciproca è tacitamente assunta come esistente » (Interrégtonal and international /rade, 1933, p. 586, n. 1).

E comunque, come ora vedremo, la validità della tesi ricardiana risalta anche se si considera espressamente l’intensità della domanda-offerta in termini di baratto, senza considerare affatto elementi monetari.

5. Il torto del Pareto consiste piuttosto in cosa assai più semplice di quel che viene supposto dal Cabiati. Consiste nel non aver tenuto conto di cosa elemen­ tare, anche a lui arcinota: non aver tenuto conto che la ragione di scambio che viene a stabilirsi in seguito all’apertura dei mercati non può che essere compresa tra i rapporti di costo emergenti in ciascun mercato (ovvero, come si suol dire, deve essere i n t e r m e d i a a l d i v a r i o d e i c o s t i c o m p a r a t i ) . Regola questa che, anche se non sempre formulata espressamente, è comunque necessaria­ mente inerente alla teoria dei costi comparati: diversamente si incorrerebbe nel­ l’incongnienza logica di supporre che un singolo paese (o un singolo individuo) possa accondiscendere a conseguire attraverso lo scambio (ossia per produzione in­ diretta) una quantità di merce inferiore a quella conseguibile con la produzione diretta.

Ora di questa regola o necessità logica elementare il Pareto non ha tenuto conto nel presentare i suoi esempi e particolarmente nel caso della tabellina 4“, attraverso il quale egli intendeva dimostrare che « la proposizione del Ricardo non si può accettare ». In tal caso, infatti, si suppone che si abbia una ragione di scam-

28 A

bio j j - g che non può realmente sussistere in quanto non è compresa tra i costi comparati stabiliti per I e II (che sono rispettivamente — come annotato una volta

, „ , 1.2 A IA , . 31.5 A 35 A

tanto in calce alla tabellina 1 “ — ; 33 g e yg corrispondenti a 35— g e 35- 3 )-Ed è, infatti, assurdo supporre che il paese (o l’individuo) I, che può con la produzione diretta conseguire indifferentemente 31,5 di A ovvero 35 di B, accon­ discenda a dare 35 di B per avere soltanto 28 di A. L ’esempio del Pareto viene soltanto a confermare che lo scambio non sarebbe vantaggioso, ed anzi non è neppure concepibile, oltre i limiti segnati dal divario dei costi comparati. Il che

IL PARADOSSO RICARDIANO E L'INFEUCE CRITICA DEL PARETO 59 sussiste non solo nel caso di diminuita produzione di una delle due merci, ma anche nel caso in cui sia soddisfatta la regola posta dal Pareto, ovverosia le pro­ duzioni totali vengano accresciute per entrambe le merci.

Riprendendo, infatti, l'esempio della tabella 1 “ è da rilevare che in esso l’apertura dei mercati risulta vantaggiosa in quanto si suppone si scambino 37 A contro 39 B : si suppone, ossia, si adotti una ragione di scambio intermedia tra i

35 I A 39 A

costi comparati ( ^ — g e jg -g per II). Ove invece si supponga, quale caso aber­ rante, che si scambino 39 A contro 38 B si arriverebbe alla seguente nuova r i - p a r t i z i o n e delle quantità prodotte :

A mercati chiusi A mercati aperti Diffcrenzc

I II Tot. I II Tot. I II Tot.

A 36 22 58 39 21 60 + 3 — 1 + 2

B 40 38 78 42 38 80 + 2 — + 2

ripartizione attuando la quale il paese II incorrerebbe in una perdita secca.

6. In sostanza, quindi, ogni qualvolta si ha divario nei costi comparati, la con­ venienza dell'apertura dei mercati risulta confermata, in quanto l’apertura stessa porti — come non può non portare — ad una ragione di scambio intermedia fra i costi comparati. E tale convenienza è non solo possibile (nel senso affacciato dal Pareto), ma anche necessaria (nel senso stabilito dal Ricardo), quali che siano le variazioni delle quantità totali prodotte : anche, ossia, nel caso in cui la produzione aumenti per una merce (o per alcune merci) e diminuisca per altra (o per altre).

Ed è cosa piuttosto ovvia considerare che siffatte modifiche della produzione possono sussistere e perdurare solo in quanto soddisfino, oltre alle condizioni del­ l'offerta, anche le condizioni della domanda: solo in quanto, ossia, entrambi i paesi (o gli individui) guadagnino in termini di utilità. Diversamente, come posto in rilievo dal W icksell nella sua critica al Pareto, uno dei due paesi (o individui), anziché specializzarsi a produrre una sola merce, continuerà a produrle entrambe, in proporzioni tali da riuscire a soddisfare i gusti di tutti i partecipanti agli scambi. Osservazione questa che, anteriormente al Wicksell, era stata esposta dal Graziani, nella 2» edizione delle sue Istituzioni d i econom ia politica ( 19 0 8 ) ( 1 ).

La critica del Pareto può perciò servire soltanto a cosa diversa di quel che egli stesso si era proposto : può servire, ossia, a far considerare come in taluni casi la divisione del lavoro, anziché « esclusiva », non possa essere che « parziale » (2).

(1) Nelle successive edizioni, a partire dalla 3* (del 1917) il Graziani ha maggiormente accentuato e sviluppato la sua opposizione al Pareto, accogliendo le argomentazioni esposte dal Loria (A proposito d i un trattato d i econom ia politica, in « La Riforma sociale », 1907, fase. 9-10). Ma con tali argomentazioni il Graziani (come già il Loria), piuttosto che riuscire a dimostrare la infondatezza della critica del Pareto nel caso da questi considerato (di di­ minuita produzione di una delle merci scambiate, in contrapposto all'accresciuta produzione di altra merce), è venuto soltanto ad asseverare che l'apertura degli scambi non dovrebbe di per se stessa dar luogo ad un siffatto caso (che, invece, abbiamo ragione di ritenere non vada affatto escluso).

(2) In questo senso la critica parctiana è stata ammessa dal Viner, in T h e doctrine o f

com parative costs (« Weltwirtschaftliches Archiv », ottobre 1932). Ma nello stesso scritto il Viner ha confermato che tale critica va respinta in quanto sia intesa (come è stata intesa anche dagli autori da lui citati) «quale parziale negazione del principio dei costi comparati».

60 AMEDEO GAMBINO

Per altro l'adeguamento della quantità offerta alla quantità domandata, in modo da arrivare alla necessaria soddisfazione dei gusti di tutti i partecipanti agli scambi, può realizzarsi non solo limitando la divisione intemazionale del lavoro nel senso ora detto (divisione « parziale » anziché « esclusiva »), ma altresì impiegando nel paese a minore produttività una maggior quantità di la­ voro (ed altri « fattori ») nella produzione della merce nella quale il paese stesso viene a specializzarsi (come, ad esempio, rispetto alla tabellina 2a, destinando nel paese II 63, invece di 60, giornate nella produzione di A). Ed è anzi da presu­ mere sia questa l'eventualità che più frequentemente può ricorrere in realtà.

7. £ forse superfluo domandarsi come mai il Pareto sia incorso nella svista che abbiamo rilevato. Può essere risposta plausibile quanto già osservato dal Cabiati : « la confusione in questa materia è talmente caratteristica, che lo stesso Pareto a un certo punto non vi è sfuggito ». Il che è lo stesso che appellarsi al q u a n - d o q u e t a n t u m d o r m i t a t H o m e r u s .

Non è comunque superfluo avvertire che la svista occorsa nel M anuale non può attenuare il grande merito che va attribuito al Pareto per la impostazione da lui data nel Cours (del 1896) alla teoria degli scambi internazionali, inserendola nella concezione dell'equilibrio economico generale. A siffatta impostazione pare­ daña si sono, infatti, ricollegati i moderni tentativi di rielaborazione della teoria degli scambi e dei pagamenti internazionali. Basti ricordare gli espliciti riconosci­ menti fatti in questo senso dall'Ohlin (nell’appendice II dell’op. citi).

8. In chiusa non è da sottacere che, una volta ribadita l'infondatezza della critica paredaña, vien meno la possibilità di avvalersi di tale critica per cercar di avvalorare in taluni casi la convenienza economica dell’autarchia (come, ad esem­

pio, è stato prospettato dal Demaria nelle lezioni citate).

A questo riguardo entrano però in gioco molteplici altri elementi teorici, so­ pratutto di carattere dinamico, di ben più vasta portata. Sicché, anche sgombrando il terreno dalla « infelice critica » del Pareto, resta campo aperto per la discussione ci quel problema in termini ad esso appropriati.

Amedeo Gambino.

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RECENSIONI

Eleonora Df. Fonseca Pim e n t e l, II m onitore repubblicano del 1799. Articoli politici se­ guiti da scritti vari in verso c in prosa delta medesima autrice, a cura di Benedetto Croce. Gius. Laterza e figli, Bari, 1943. Un voi. (n. 382) della « Biblioteca di cultura moderna ». In 8°, di pp. 273. Prezzo L. 30.

Della sventurata scrittrice politica c patriota napoletana, vittima della reazione del 1779, il Croce ofTrc una scelta degli scritti da essa pubblicati nei cinque mesi in cui la Pimentel diresse c redasse « Il monitore repubblicano ». Il giornale è divenuto rarissimo, tal­ ché l'unica copia completa pare sia quella raccolta, attraverso anni di pazienti ricerche, dal Croce medesimo.

La lettura degli scritti della Fonseca Pimentel è assai attraente per la impressione diretta che se ne trae dell'ardente ingenuo disinteressato spirito che animava gli uomini del 1799. Non mancano le discussioni economiche, come quella sulla legge dei banchi (pa­ gina 128 e segg.) dove si legge la proposta, rinverdita recentemente ad altri scopi, di assegnare un termine di validità ai biglietti (polizze di Banco), entro il quale essi debbono essere im­ piegati nell'acquisto di beni (allora si trattava dei beni nazionali * offerti in vendita a rin­ sanguar l’erario). La Pimentel, sebbene repubblicana, è contraria alla vendette ed alle confi­ sche. A chi proponeva di attribuire alle truppe repubblicane parte dei beni confiscati agli insorgenti (sanfedisti o borbonici), osserva che non bisogna mettere « l'interesse della repubblica, ch'è di distinguere esattamente il pacato cittadino daU'insurgente, in contrapposizione coll'in­ teresse della truppa, la quale per assicurare ed accrescere il suo premio è obbligata a desiderare insorgenti da per tutto ed il generale per contentar la truppa fosse obbligato a trovarne di fatto.... E questa legge quasi una intimazione di guerra, e condanna anticipata di privati benestanti cittadini delle comuni rivoltose, i quali ognun sa che formano sempre la classe pacifica, e vorrebbero, ma non possono slanciarsi verso la repubblica per tema degli insorgenti, quasi tutti, se se n'eccettuano pochi prepotenti o ex-nobili, gente che nulla possiede e fa dell'in- surgenza il pretesto della rapina» (pp. 159-160). La Pimentel vuole che non con giudizio sta- tariOi ma con sentenza di tribunale si giudichi della appartenenza alla nazione dei beni dei privati insorgenti. Quello pone la rapina privata al luogo della legge; questa fonda la rivo­ luzione sulla giustizia.

Antonio Fo s s a t i, Problem i m onetari liguri e piem ontesi. D alla riform a d el 1755 al con­ guaglio d ella tariffa d elle m onete nel 1826. Giappichelli, Torino, 1942. Un voi. in 8° di pp. 197. Prezzo L. 40.

Il succinto volume è consacrato sovratutto ai problemi sorti, dopo la restaurazione, quando il rifluire di numerose varietà di monete piemontesi, sabaude, liguri, napoleoniche,

62 RECENSIONI

conformate le une al vecchio sistema duodecimale e le altre a quello decimale, producevano di­ sordine nella circolazione e lagnanze dei popoli contro i cosidetti corsi in abusivo.

Taluni studi del marchese Raggi e del conte Corte, ministri delle finanze, e più quelli del conte Villa, amministratore capo delle regie zecche, mettono in luce lo scarto nelle varie monete tra il prezzo assegnato dalla tariffa vigente e quello che effettivamente avrebbero dovuto avere in ragione del loro peso legale. Particolari problemi bisognava risolvere nel Genovesato per modificare la proporzione allora esistente tra l'oro e l'argento, tenendo conto delle fra­ zioni risultanti dal ridurre le monete genovesi in lire decimali e della perdita per la popola­ zione minuta.

Uno schema di editto elaborato dal marchese Raggi nell'ottobre del 1826 incontrò viva opposizione da parte del controllore generale, marchese Comune del Piazzo, al quale pareva sconveniente, fra l'altro, che l'erario si accollasse l'onere della diminuzione arrecata al valore nominale di alcune monete straniere, che già da tempo non erano accolte nei pagamenti pub­ blici; eccessivo il ribasso dello scudo antico di Piemonte da L. 7,11 a J-. 7 ,0 6 ; « d i perni­ ciosissima conseguenza » la disposizione che determinava la proporzione delle monete divi­ sionarie (eroso-misto) che dovevano entrare nei pagamenti; non opportuna la fabbricazione di monete di rame da 5,3 e un centesimo, preferibile essendo una moneta divisionaria di eroso- misto, meno costosa di quella di rame, date le necessarie operazioni di « affinamento » delle divisionarie vecchie per traine il rame e più gradite alla popolazione.

Obiezioni del controllore e controbiezioni del Raggi sul valore della moneta di Pie­ monte nonché delle doppie di Genova, sulla questione dell’eroso-misto e sul valore della mo­ neta fiduciaria in genere, sulla preferenza dell'eroso-misto al rame puro, si prolungano fino alla fine di gennaio 1827 e confermano la perizia dei saggiatori e magistrati piemontesi e l’im­ portanza da questi attribuita ai problemi, anche minuti, di tecnica monetaria. Dopo laboriose discussioni varata la riforma il 26 ottobre 1826, essa fu pubblicata solo il 4 febbraio 1827 in seguito alle successive analisi e critiche sagaci cui venne sottoposta prima della promul­ gazione della legge.

Il volume conferma la nota perizia dell'auture nel trarre da non esplorate fonti d'archi­ vio argomento a discussioni erudite su rilevanti problemi di storia economica in campo arduo, come quello monetario.

• E.

N. G. Pierso n, L. von Mi s e s, G. Ha l m, E. Barone, L ’économ ie dirig¿e en régim e coliteli-riite. (Etudes critiques sur les possibilités du Socialisme). Introduction et conclusión de F. A. von Hayek. Librairie de Médicis, Paris, 1939. Un voi. in 8° di pp. 303, S. i. p. D i fronte a questo libro, in cui il professore von Hayek ha riunito quattro importanti studi a itic i sulle possibilità economiche del regime collettivista inquadrandoli in una sua in­ troduzione e in una sua conclusione, chi ha già da tempo rivolto a tali questioni il proprio pensiero potrà trovare il mezzo di chiarire e ampliare certe sue posizioni non ancora svolte, chi invece per la prima volta se ne avvicina si sentirà avvinto dalla proposizione chiara e schietta delle prime difficoltà; ma ancora chi avverte in sé un senso di insodisfazione di fronte a tali problemi, o per essere in una posizione di compromesso, o per aver intraveduto l'in­ completezza e l'ingiustificatezza delle proprie conclusioni, troverà nel rigore del metodo gli elementi vitali che prima gli mancavano.

Non per niente gli autori nelle loro premesse e nelle loro conclusioni ritornano con insistenza particolare e concorde sul fatto che essi non vogliono fissare decisioni nette o po­ sizioni risolutive, ma sopratutto, attraverso uno studio rigoroso, dare un indirizzo scientifico

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