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Rivista di storia economica. A.08 (1943) n.1-2, Marzo-Giugno

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(1)

RIVISTA

DI S T O R I A

ECONOMICA

DIRETTA DA LUIGI EINAUDI

G I U L I O E I N A U D I E D I T O R E • T O R I N O

Anno V ili - N . 1-2 - Marzo-Giugno 1943-XX: Pubblicazione trimestrale

(2)

OPERE DI LUIGI EINAUDI

Sono in programma per ora quattro serie, i cui volumi compariranno man mano che saranno pronti :

I. - SCRITTI D I ECONOMIA E D I FINANZA

1. Saggi sul risparmio e l’imposta, 1941. U n voi. in-8° di pp. X I-4 2 3 , L . 30. 2. L a terra e l’imposta. U n voi. in-8° di pp. X X III-310, L . 4 0 .

3. L ’ottima imposta.

4 . Miti e paradossi della giustizia tributaria, 1940. U n voi. in-8° di pp. VII-3 0 8 , L . 21.

5-6. Saggi teorici diversi.

II. - SCRITTI STORICI

Saranno raccolti in questa serie scritti, sparsi in riviste e pubblicazioni acca­ demiche, intorno alla storia della scienza e dei fatti economici.

III. - LE CRONACHE ECONOMICHE ITALIANE

Saranno raccolti in questa serie, distribuiti per ordine cronologico di mate­ ria, gl( articoli pubblicati in riviste e in giornali (principalmente nel «C orriere della S e ra » , dal 1 9 0 0 al 19 2 5 ) su problemi di attualità. Sarà quasi una storia ed un commento giorno per giorno dei principali avvenimenti economici italiani per un lungo tratto di tempo. N on essendo pensabile, a causa della gran mole, una pubblicazione compiuta, saranno esclusi gli articoli di mero riassunto o dove si ripetano cose già dette altrove.

IV . - VARIA

GI UL I O E I N A U D I , E DI T OR E - T ORI NO

\

(3)

RIVISTA DI STORIA ECONOMICA

D I R E T T A D A L U IG I E I N A U D I

D irezione: Via Lamarmora, SO (già 60) (1), Torino. — Amministrazione : G iulio Einaudi editore,

Via Mario G ioda, 1, Torino. — Abbott, annuo per l'Italia L. 70. Estero L. 100. Un numero L. 20

No.n.MAitio

i

»

k i

, x. 1-2 . >ivic/.o-<nr<;\o uu:t

G. P

adovan

:

L ’attività commerciale di mi patrizio veneziano del

Q uattrocento

... P a g . 1

Note e rassegne.

L

uigi

E

inaudi

:

Lei scoperta dell’America ed il rialzo dei prezzi

in Italia

... » 2 3 ---

La paternità della legge detta di K in g

... » 3 3 ---

Economia di mercato e capitalista servo sciocco

. . . . »

38

---

Tommaso Moro e la rivoluzione agraria del tempo suo

. . »

46

---

Piccola e media proprietà in un comune del Duecento

. . »

50

A

mi

-

duo

G

ambino

:

Il paradosso ricard ¡ano e l’infelice critica

del P areto

... »

55

Recensioni.

L. E. , A. B. , ed R.

su libri di E. De Ponseca Pimentel, A. Fossati,

N. G. Pierson, L. von Mises, G. tìalm , E. Barone, P. Me fi­

gurini, Enciclopedia bancaria, F. Vinci, Acta Seminarii, L.

Fabbri n i

... . » 6 1

Tra riviste ed archivi.

G. P .:

Storia economica innanzi al 1700

... »

68

A

ntonio

F

ossati

:

Storia economica a partire dal 1700

. . . »

71

(1) Essendo la sede di Torino, a causa delie note ciicostanze, divenuta inabitabile, si prega di inviare tutto ciò che attiene alla direzione (manoscritti, libri, riviste in cambio) al

senatore Luigi Einaudi, Dogliani (provincia di Cuneo).

(4)

questo fascicolo che, in ossequio alle disposizioni ministeriali in argo­

mento, comprende i due quaderni del primo semestre, l’articolo di fondo è

dedicato ad una suggestiva esposizione redatta da

G . Padovan

della attività

commerciale di Guglielmo Querini (1400-1468), patrizio veneziano apparte­

nente alla categoria intermedia fra i maggiori nobili e gli infimi. Uomo bene

informato nelle cose commerciali, fornito, specie negli ultimi anni, nei quali

fu Savio alla guerra e fece parte del consiglio dei dieci, di notizie precise

pertinenti al commercio, voglioso di negoziare e trafficare, ma riluttante ad

allontanarsi dalle logge di San Marco e dal mercato di Rialto, fu in realtà

un mercante quasi completamente mancato. Valeva la pena di farlo rivivere

in pagine efficaci.

N elle

n o te e rasseg n e

il direttore della rivista si occupa di taluni pro­

blemi di storia economica medievale e moderna, sui quali recenti pubblica­

zioni hanno richiamato l’attenzione degli studiosi. Ecco

Pa r e n t i,

il quale in

dotto accurato volume tratta ancora una volta il tema noto sotto il nome di

rivoluzione dei prezzi; e lo tratta su dati dell’archivio di Siena per il tempo

dal 1546 al 1765. Il Parenti conferma ed integra le conclusioni alle quali altri

studiosi erano giunti per l ’Europa in genere e per l’Italia in particolare. Il

recensente insiste su taluni punti, ad esempio sulla singolare

intercomunìca-bilità dei mercati europei e sul compito del mercato di Livorno come media­

tore di prezzi universali. E poiché il Parenti aveva ricordato la cosidetta legge

di King,

Lu ig i .Ein a u d i

offre su di essa un manipolo di notizie tratte dai

libri da lui posseduti.

Ad occasione di una recensione del noto libro del

Br e sc ia n i

introdut­

tivo alla politica economica, il direttore pone il quesito della novità storica

del fatto ritenuto modernissimo della separazione tra le due figure teoriche

del capitalista e dell’imprenditore-dirigente e del compito residuo rimasto al

capitalista. Quesito non nuovo, ma tale che ancora attende, prima di potervi

rispondere, una attenta indagine. Dopo essersi, in seguito, intrattenuto sulla

inadeguatezza della spiegazione data da

Tom m aso Moro

alla rivoluzione

agraria, che ancora continuava nel tempo in che egli scrisse

/'U to p ia

e conti­

nuò poi, il direttore della rivista riassume i risultati di una indagine con­

dotta dal

Donna

sul catasto di Chieri del 1253 ed illustra la rassomi­

glianza, che ai maniaci delle rivoluzioni apparirà sorprendente ed è invece

ovvia, tra la distribuzione delle culture e della proprietà sette secoli or sono

ed oggi. L ’analisi dei catasti, specie se condotta per un seguito di anni, po­

trebbe riservare altre sorprese; e il recensente augura le indagini siano con­

tinuate.

Seguono la rubrica delle

recen sion i

e quella

tra riv iste ed a rch iv i,

que­

st’ultima estesa alla materia solita di due quaderni.

■v

(5)

---N O V I T À E I ---N A U D I

N ARRATO RI STRAN IERI TRA D O TTI

H EN RY JAM ES

R I T R A T T O D I S IG N O R A Un volume in-8° di pp. IX-574 - L. 60. Questo romanzo delio scrittore che, per il suo gusto del meandro psicologico e della sottigliezza evocativa, meritò di es­ sere detto precursore di Proust, si svolge in Italia. Una giovane donna, curiosa del­ la vita e di generose esperienze, vi è studiata sul ricco sfondo della società fiorentina e romana con una cordialità di penetrazione che trasforma la sua sto ria in un indimenticabile paesaggio di anime.

RO BERT LOUIS STEVENSON

L ’IS O L A D E L T E S O R O Un volume in-8° di pp. X II-220 - L. 30. È il grande libro di avventura e di mare, che per la sua semplicità fu detto omerico. La traduzione, dovuta al poeta di Con ine e con gli Alpini e Ragazzo,

l'ha finalmente conquistato alla nostra letteratura.

GOETH E

L E A F F I N I T À E L E T T I V E Un volume in-8° di pp. XII-228 - L. 30.

È questo senza dubbio il piu vivace e attuale dei romanzi di Goethe, e costi­ tuisce una pietra miliare sulla via del romanzo psicologico ottocentesco.

C O R R E N T E

A G O STIN O VILLA

P A L U D I E M O N T A G N E Un volume in-8" di pp. 1260 • L. 70. Narrazione vasta, organica, viva, in uno stile personalissimo, che con ardi­ tezza e pudore senza esempio scende nelle piu sacre intimità di un'anima, illumina le piu delicate giunture di una intensa vicenda spirituale, evoca l'incan­ to d'un Lazio primitivo, che ha ormai il fascino della leggenda.

ERN ST V O N SALOMON

I P R O S C R I T T I

Un vulume in-81' di pp. 498 - L. 40. Guerriglia nelle regioni baltiche, sabo­ taggi nella Ruhr, attività settaria nella Germania di W eim ar: l'Autore di que­ sto romanzo, uno degli assassini del Can­ celliere Rathenau, partecipò a tutto que­ sto e testimonia di quella «generazione bruciata » che trasse le conseguenze del­ la sconfitta del 1918.

CARLO ALIANELLO

L ’A L F I E R E

Un volume in-8” di pp. 636 • L. 40. £ un romanzo di guerra, che della guerra studia un momento eterno. In es­ so la spedizione dei Mille è veduta dal­ l'altra parte, attraverso gli entusiasmi, le prove e le delusioni di un combattente borbonico.

(6)

N O V I T À E I N A U D I

S A G G I

LU IG I SALVATORELLI

P E N S I E R O E D A Z I O N E N E L R I S O R G I M E N T O Un volume in-8° di pp. XII-232 - L. 30. In duecento pagine, una interpretazione per­ sonale, criticamente positiva, del Risorgimento, ricca di punti di vista suggestivi, attraverso un rapido, incisivo tratteggio dei suoi momenti principali, una impostazione netta, radicale, dei suoi problemi etico-politici, e una reazione ri­ soluta e motivata a ogni tendenza reazionaria o cortigiana.

M ON TESQUIEU

R IF L E S S IO N I E P E N S I E R I I N E D I T I

Un volume in-8" di pp. XII-253 - L. 40. Pagine scintillanti d'ingegno e d'arguzia, affa­ bili e segrete, quasi un diario: i cahiers inediti dove il grande scrittore annotava idee e capric­ ci, letture e malignità.

FJO D O R D O STO JEV SK IJ

D I A R I O D I U N O S C R IT T O R E Un volume in-8* di pp. XXXVI-242 - L. 35.

Il « Diario di uno scrittore » è il pensiero dostojevskiano nel suo divenire, è, oseremmo dire, il denudarsi del pensiero stesso mentre si forma nell'animo dell'artista, con le sue convul­ sioni e insieme le sue tregue di silenzio.

LEV TO LSTO J

C A R T E G G I O C O N F I D E N Z I A L E C O N A L E K S A N D R A A N D R É J E V N A T O L S T À J A Un volume in-8° di pp. X1I-224 - L. 30. « Chi cerca la mia autobiografia legga le let­ tere a Aleksandra Andréjevna, se un giorno verranno pubblicate. Tutto ciò che è possibile esprimere con parole intorno alla propria ani­ ma, io l'ho confessato a questa donna ». Lev To l s t ò j.

U N I V E R S A L E

T IT O LIV IO

R O M A C O N T R O C A R T A G I N E Un volume in-l6° di pp. XVI-411. Delle Storie liviane, la terza Deca è certo la più epica. I secoli trascorsi non hanno can­ cellato l'attualità del primo conflitto per la supremazia nel Mediterraneo.

CAM ILLO BENSO D I CAVOUR

D IS C O R S I

Un volume in-16° di pp. XVII-295. Una scelta, accuratamente illustrata e anno­ tata, che presenta ai lettori la visione com­ pleta della politica interna di Cavour, meno nota ma non per questo meno importante di quella più propriamente diplomatica.

V IC TO R HUGO

C O S E V I S T E Un volume in-16° di pp. XIII-320. La storia della Francia dall'esecuzione di Luigi XVI all'assedio di Parigi, da Talleyrand a Napoleone III in una eloquentissima serie di testimonianze e ritratti dal vero.

EDGAR LEE MASTERS

A N T O L O G I A D I S P O O N R IV E R Un volume in-l6° di pp. XII-147. Un libro di poesia che fin dal 1915 espresse e giudicò la società nordamericana — quella che popola il romanzo e il cinematografo con­ temporanei.

H EINRICH V O N TREITSC H K E

I L C O N G R E S S O D I V I E N N A Un volume in-16° di pp. XI-148. La più penetrante analisi degli uomini e delle forze che a Vienna imposero un ordine destinato a reggere l’Europa per mezzo secolo. Un grande storico rintraccia in questo grovi­ glio di interessi e di aspirazioni le fondamen­ tali direttrici della storia contemporanea.

Ogni volume Lire DODICI

G I U L I O E I N A U D I , E D I T O R E - T O R I N O

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(7)

L’ATTIVITÀ COMMERCIALE DI UN

PATRIZIO VENEZIANO DEL QUAT­

TROCENTO.

Le carte delle amministrazioni delle « Commissarie », tenute dai Procuratori di San Marco, ci hanno conservato, nell’Archivio di Stato di Venezia, fra altri do­ cumenti e conti della liquidazione testamentaria di Guglielmo Querini, un interes­ sante quaderno comprendente le copie delle lettere e dei memoriali in materia di commercio, scritte dal nobil'uomo ai suoi soci, commessi e corrispondenti fra il marzo 1428 ed il dicembre 1461 (1).

Il copialettere non è del tutto sconosciuto, perché, una quarantina d'anni or sono, ne diede una breve notizia un valente studioso di storia veneziana (2), il quale però rivolse quasi esclusivamente la sua attenzione alle notizie, offerte dalle lettere del Querini, sopra un lato meno noto e non molto brillante della vita di Francesco Filelfo, tenace nel resistere ad ogni tentativo del patrizio veneziano per ottenere la restituzione di un suo vecchio credito. A noi invece quella raccolta in­ teressa, nella sua integrità, per la luce ch’essa può gettare sulla vita economica ve­ neziana in un periodo in cui si era iniziata per essa una profonda trasformazione in seguito alla conquista della terraferma ed alla minaccia sempre più grave dei Turchi, e sopra il tipo, assai comune, del patrizio di media fortuna, che pur non essendo un mercante nel senso più completo e — potremmo dire — professionale della parola, non si adatta a rinunciare ad ogni partecipazione agli affari di com­ mercio ed anela anzi costantemente a dare a questa partecipazione una ampiezza maggiore di quella che gli sia consentita dalle sue forze.

D i Guglielmo Querini, nato intorno al 1400 e morto, celibe e senza figli, nel 1468, noi sappiamo che discendeva da un ramo della potente famiglia di antica nobiltà, che al principio del Trecento aveva avuto una parte direttiva nella famosa congiura di Baiamonte Tiepolo e che, solo dopo lunghi anni, era stata riammessa ad esercitare nel governo della Repubblica le funzioni che le spettavano

(1) Archivio di Stato, Venezia, Procuratori d i San Marco, D e d ira . Busta 271. (2) Giu s e p p e Dalla Santa, D i un patrizio mercante veneziano e d i Francesco F ilelfo

suo d ebitore (in «Nuovo Archivio V eneto», N . S. T . X I, 1906, pp. 63-90). 1

1. I-II.

(8)

2 G. PADOVAN

per il suo rango sociale (3). Come discendente di quella famiglia egli aveva ere­ ditato una quota dell’ampio feudo che i Querini possedevano, fin dal secolo X III, sulla sinistra del Po, a breve distanza da Adria, in località Papozze, in territorio compreso nella giurisdizione dei signori di Ferrara : feudo su cui alcune altre buste dello stesso archivio dei Procuratori di San Marco ci hanno conservato numerosi documenti, che gli assegnano una notevole importanza per le opere di difesa contro le acque e per la combinazione che vi si incontra tra il semplice sfruttamento delle scarse ricchezze naturali (specialmente pesca) dei corsi d’acqua e dei terreni vallivi, e la coltivazione dei terreni asciutti, seminativi e vitati, per i quali si hanno i primi espliciti accenni a lavori di bonifica (4).

D all’appartenenza al potente ceppo famigliare gli deriva pure la partecipa­ zione ai possessi che i Querini avevano ottenuto nell'isola di Candia e particolar­ mente alla proprietà esclusiva dell'isoletta di Gozi. Ma, tutto sommato, quelle pro­ prietà dovevano essere una modestissima fonte di rendita. Nelle numerose lettere al cugino Filippo Querini, rappresentante a Candia gli interessi dell'intera famiglia, 10 vediamo lamentarsi ripetutamente che il solo frutto ottenuto in 14 anni dalla sua partecipazione a quelle proprietà sia stato una botticella di vino, e rallegrarsi dei ten­ tativi fatti dal cugino per stabilire degli uomini nell'isoletta di Gozi per ricominciarne 11 dissodamento, dopoché era stata per lunghi anni completamente abbandonata per il terrore delle continue scorrerie dei pirati.

Un po’ maggiori dovevano essere le entrate provenienti dalle terre del Polesine, dove il Querini tenne sempre un fattore e dove predominavano a quel tempo almeno nella sua quota, i terreni seminativi. Legumi, frutta e qualche animale da cortile erano spediti a Venezia per i consumi familiari. Se si deve credere alle pa­ role che il fattore scriveva al padrone nei suoi ultimi anni di vita, quelle terre, di cui solo nel 1428 egli era entrato in possesso per la morte di una zia, dovevano essere assai ben fornite di ortaggi e di frutta: mandandogli una cesta di pere ed una di susine, gli scrive che si tratta di prodotti del suo brolo, che merita di essere veduto : « se verrà, gli resterà voglia di restare. L’ orto è fornito di ogni cosa e maxime di melloni ve n e più di duemila ». G li altri prodotti invece che si trovano ricordati, frumento, orzo e vino, devono essere venduti dal fattore oppure dal proprietario stesso, che li fa talvolta trasportare a Venezia a scopo commerciale. Il raccolto più importante e redditizio sembra essere quello del frumento, al quale il Querini dedica un’attenzione speciale, seguendone i prezzi correnti a Venezia e Ferrara, e cercando, per quanto gli sia possibile, di controllare le cifre dategli dal fattore. In un appunto del 20 luglio 1443, ch’egli dev’essersi fatto dare da un competente, si fa il calcolo che, avendo seminato 8 moggia di frumento, si dovrebbe

avere un raccolto di 80 moggia, da cui, dedotto l/9 per i mietitori, */ „ per il fat­ tore, ed 1/ao per un’altra spesa, di cui ci resta inafferrabile lo scopo, resterebbero nette per il proprietario, esclusa la semente, moggia 63 staia 1 (corrispondenti a

(3) Cfr. Vittorio Lazzarini, A neddoti d ella congiura Q uirini-Tiepolo («N uovo Ar­ chivio Veneto », N . S. T . X, 1905, pp. 81-96); id. id., L e insegne antiche d e i Quirini e dei

T iepolo ( ibid. T . IX, 1904, pp. 221-231).

(9)

L'ATTIVITA COMMERCIALE DI UN PATRIZIO VENEZIANO 3 hi. 445 circa, se si tratta di moggia e staia veneziani; a hi. 411 circa, se si tratta di misure ferraresi) (5).

Oltre a queste proprietà terriere il Querini possedeva alcune case in città, di una delle quali, situata a San Salvador sulla Riva del Vin, egli riscuoteva, nel 1441, da un Giovanni dalla Torre d a l sa v o n , sensale a Rialto, il fitto di 22 ducati, di cui però soltanto un terzo spettava a lui, possedendola egli in comproprietà con un nipote ed un cugino (6).

Ma complessivamente il suo patrimonio doveva essere assai modesto. Nel testamento, rogato 1*11 maggio 1457, undici anni prima della morte, egli dispone un grande numero di legati per una somma complessiva di poco inferiore ai 1000 ducati; crea, a scopo religioso, due fondazioni, alle quali destina in perpetuo gli interessi di 2000 ducati (nominali) dei suoi prestiti, dunque un capitale che poteva oscillare, a seconda dei prezzi di mercato, fra i 480 laicati nel momento in cui fu rogato il testamento, ed i 400 ducati nell'anno in cui egli morì, e che fruttava un interesse — quand'era possibile riscuoterlo — di 60 ducati l'anno (7). Per tutti gli altri prestiti, che residuassero dopo detratta questa somma, dispone che gli interessi siano dispensati ogni anno a frati e monache di osservanza in Venezia e Murano. Vuole che le sue case siano tenute sempre in buone condizioni locative, e che il ricavato degli affitti, dedotte le spese di restauro e manutenzione, sia dispensato ai poveri bisognosi.

L'indeterminatezza di queste notizie, del tutto negative per quel che riguarda le rendite delle proprietà terriere e le somme impiegate in affari di commercio, po­ trebbe essere compensata dalle dichiarazioni fatte dal Querini stesso agli ufficiali deputati alla revisione dell'estimo nel 1439 e nel 1448, se. a queste dichiarazioni si potesse riconoscere un’attendibilità che esse non hanno che in misura minima. Esse servono tuttavia, assai meglio del testamento, a determinare, non il valore as­ soluto del patrimonio e del reddito, ma la loro composizione.

All'attivo, nella dichiarazione presentata il 16 febbraio 1438 (more veneto) egli denuncia: prestiti, per la somma nominale di ducati 5726 = al prezzo corrente ducati 1448 interessi arretrati dal settembre 1436 » 570 valutati » 285

merci in magazzino (valutate secondo una tariffa ufficiale); profitti ot­ tenuti (p r o b a b i I m e n t e c o m p r e s o i l c a p i t a l e i n ­ v e s t i t o ) da colleganze o da altre forme di partecipazione ai

viaggi di Siviglia e di Romania » 4000

reddito delle terre nel Ferrarese, in media ducati 48 l'anno, a cui se­ condo le norme più recenti fissate per l'estimo delle proprietà fon­

diarie, dovrebbe corrispondere un capitale imponibile di ■ » 436 fitto annuo delle case in San Zulian e San Salvator: ducati 25, a cui

corrisponde un valore capitale . » 227

Totale ducati 6396 (5) Il moggio veneziano era = litri 666,40; lo staio = 83,31;

» ferrarese » » » 621,86 » » 33,16

(10)

4 C. PADOVAS

Dall'altro lato si registra il passivo, costituito da alcuni debiti per una somma di ducati 1140 c dalla spesa per il fitto della casa di abitazione per ducati annui 50, che im­ porterebbero, secondo l'interessato, una diminuzione di estimo di ducati 500.

Esposte le cifre dell’attivo c del passivo, il dichiarante non tira le somme, e non fa il calcolo, riservato evidentemente ai savi estimatori, di quello che dovrebbe essere il suo patrimonio imponibile. Da una notizia posteriore risulta però che fu allora fissato in Lire a grossi 4900, alle quali dovrebbe corrispondere secondo le norme vigenti per l’estimo, un patrimonio effettivo (valutato) di ducati d’oro 4900.

La seconda dichiarazione, presentata il 28 febbraio 1447 (m. v.), riguarda sol­ tanto le variazioni subite dal patrimonio nell’intervallo compreso fra i due estimi.

All'attivo il Querini comprende il prezzo ottenuto dalla vendita di

2900 ducati (nominali) di prestiti ducati 628 gli interessi dei prestiti riscossi dal 16 febbraio 1438 al 9 luglio 1446 » 801 le rendite delle sue terre nel Polesine in anni 5 a ducati 48 l'anno,

perché per due anni non ebbe nulla, avendo rotto il Po sulle sue

proprietà » 240

fitti' di case per anni 7 a ducati 21 è l'anno » 150 Ufficio di auditore alle sentenze (meno la trattenuta straordinaria di un

terzo sugli stipendi per le necessità di guerra) » 130

Utili nel viaggio di Siviglia » 135

» di seta Stravai » 45 » » » Lezi » 2è » » tcnture » 24 » » guadi » 10 » » Romagna » 6è » » vallonea » 6 » » veli » 9

Attivo totale ducati 2065 Al passivo invece egli denuncia:

Imposte straordinarie pagate negli otto anni ducati 2790

Fitto della casa d'abitazione » 362

Spese di vitto e vestiario » 1200

» per acquisto di uno schiavo » 48

Danni avuti da soci o commessi » 479

Spese per riparazione alle case e scavo dei canali » 20 Passivo totale ducati 4899 Perciò egli conclude di aver avuto una diminuzione patrimoniale di 2833 du­ cati, e domanda una corrispondente riduzione nell'estimo. I savi accolgono quasi integralmente la sua domanda e riducono l'estimo da 4900 a 2800 lire a grossi.

Qualunque sia il valore che si possa assegnare ad una valutazione dei pa­ trimoni, fatta sulla base delle dichiarazioni degli interessati, con criteri cosi rudi-II prezzo di mercato dei prestiti era di 24 lire per 100 nominali nel luglio 1458; di 20 nel settembre 1467.

\

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I

(11)

L'ATTIVITÀ COMMERCIALE DI UN PATRIZIO VENEZIANO 5

mentali e con scarsissimi mezzi di controllo da parte degli estimatori, è certo tut­ tavia che le due cifre concordate nel 1439 e nel 1448, ed in particolare la seconda, collocano il Querini nella categoria dei patrizi di modesta fortuna, che è forse la più numerosa, a cui era assegnato un estimo tra le 1000 e le 5000 lire, e al disotto della quale non v'è che la categoria infima tra le 300 e le 1000 lire (8).

Ma più che per la valutazione del patrimonio complessivo quelle dichiarazioni hanno una importanza notevole in quanto ci dimostrano la parte preponderante che avevano, nel formare il reddito del Querini, i profitti commerciali. Nella di­ chiarazione del 1439, di fronte ad una proprietà immobiliare, valutata 663 ducati e che gli dà una rendita annua di 69 "'/ì ducati, le merci in magazzino ed il ca­ pitale investito in commercio si valutano 4000 ducati.

Diverso invece è il rapporto che compare nelle variazioni dello stato patri­ moniale, denunciate per il periodo 1439-1448: gli utili commerciali (che si rife­ riscono quasi esclusivamente ai primi due anni di quel periodo) non ammontano che a 236 ducati, mentre le rendite delle terre e i fitti delle case salgono, complessiva­ mente a 390 ducati, e gli interessi dei prestiti ad 801.

Si deve dunque concludere che la rilevazione del 1439 fu compiuta in un momento nel quale il Querini, come vedremo anche dal suo carteggio, aveva ancora grossi capitali investiti in commercio; la revisione del 1448 fu invece compiuta quando egli, almeno temporaneamente, si era quasi del tutto ritirato dagli affari.

è vero che una lettura un po' affrettata della corrispondenza commerciale del Querini potrebbe indurre, da molti segni esteriori, ad attribuirgli le qualità del mercante di grande stile. Fra questi indici si possono segnalare:

1) la vastità del suo campo d'azione, dove a fianco di Costantinopoli, di Trebisonda e della Tana, noi vediamo ricordata Candia, i porti della Siria e della Barberia, Siviglia, Aigues-Mortes, Bruges, Londra, e — più vicino a V e­

nezia — la Bosnia, l'Albania, Bologna, Ravenna, Forlì;

2) la varietà delle merci trattate, fra le quali accanto ai ricchi broccati di seta e d’oro, accanto ai panni, noi troviamo le materie tintorie (guado, grana, indaco), le materie concianti (vallonea), l'allume, il muschio, il frumento e sopratutto le pietre preziose, che in ogni epoca sembrano essere stato il ramo preferito dalla sua attività commerciale;

3) le persone con cui egli si vede in rapporti daffari, tra cui, accanto ad un grande numero di patrizi e popolani veneziani, si trovano Cosimo e Lorenzo dei Medici, Jacopo de’ Lamberti, la compagnia dei Bardi, Bernardo e Giovanni Portinari, Giovanni Panciatichi, Filippo Borromei;

4) i magazzini e le volte che egli prende in affitto a Rialto per depositarvi le sue merci;

5) le cognizioni ch’egli possiede, o che si procura da competenti, in materia di tenuta di libri, di tecnica commerciale, di geografia, la tendenza ch’egli manifesta in varie occasioni di mettere in relazione i suoi programmi di affari con la situazione

politica, di cui si mostra esattamente informato.

(12)

6 G. PADOVAN

Ma una lettura più accurata del copiario e delle poche altre lettere sciolte che si sono conservate, ci dà un'impressione assai meno ottimistica, o piuttosto assai più incerta e complessa, sul carattere dell’attività commerciale del Nostro.

£ questi indubbiamente un uomo che ha la passione degli affari; ne conosce la tecnica, segue con grande attenzione il variare della situazione del mercato ve­ neziano e degli altri mercati vicini e lontani per cogliere le occasioni propizie e fare acquisti o vendite, che gli promettano larghi profitti, o — al contrario — per seguire e consigliare le vie della massima prudenza, quando la situazione si pre­ senti allarmante. Il desiderio di entrare in rapporti commerciali con mercati nuovi o meno battuti, di estendere la rete dei suoi affari e di aumentarne la mole si manifesta costante per tutto il trentennio, anche negli anni in cui egli sembra più bersagliato dall'avversa fortuna. Essa si rivela in particolare nella corrispon­ denza con ser Ferondo de' Ferondi, che dopo aver lavorato, in società o alle di­ pendenze del Querini, a Venezia ed in altre città del Veneto, si trasferisce a Ra­ venna, dove sembra che egli sia andato con un incarico temporaneo del Querini stesso e con molte merci di sua proprietà (ferro, pepe, lana) che avrebbe dovuto vendere per acquistare poi guado, frumento e vino. Il risultato poco brillante di un grosso affare di guado induce il Querini ad invitare il Ferondi a ritornare a Venezia e ad aprirvi, in società con lui, una tintoria; ma tramontato, nonostante le ripetute insistenze, questo suo progetto, egli si rallegra dell'intenzione, manifestatagli dallo stesso Ferondi, di aprire, sempre in società con lui, un fondaco a Ravenna, per lo scambio delle merci importate dal Levante e dalla Spagna coi prodotti dell'agricol­ tura locale e gli promette anzi di attendere soltanto a questo traffico, perché es­ sendo stato allora nominato, per due anni, all’ufficio di Auditore alle sentenze, non vede la possibilità di poter attendere, con suo onore, a molte cose. Ed anche quattro anni dopo, quando erano più tesi i suoi rapporti col ravennate per la reni­ tenza di questi a rendergli i conti delle merci vendute, non rinuncia alla speranza di poter concludere per mezzo suo qualche affare vantaggioso, e lo prega di av­ visarlo se può mandare a Ravenna qualche partita di merci, in cambio di quella ch’egli avesse comperato su quel mercato o nei mercati vicini. « Così, egli conclude, si potrebbe attuare finalmente il programma a cui aspiro da sette anni ».

Nel giugno del 1442, scrivendo per la prima volta a ser Girolamo Malipiero, che viaggia per ragioni di commercio in Bosnia c in Albania, ed a cui ha affidato per la vendita alcune pietre preziose, gli domanda informazioni sulla possibilità di collocare in quei luoghi pepe, altre spezie, o mercerie d'ogni sorta, e di dirgli quale somma gli sarebbe necessaria per dare inizio ad un tale commercio.

Il 10 novembre 1444, si lamenta con Piero Zantani, suo nuovo fattore a Costantinopoli, di non essere stato informato in tempo del prezzo dei grani di cui avrebbe potuto mandargli un grosso carico. " Se v’è qualche affare, che gli sembri buono, lo avverta subito, ché lo farà allegramente, e sarà contentissimo se lo Zan­

tani vorrà starne in parte con lui ».

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racco-L'ATTIVITÀ COMMERCIALE D I UN PATRIZIO VENEZIANO 7 manda ai suoi fattori di Costantinopoli di non comperare le spezie che a prezzi bassissimi, date le condizioni attuali del mercato veneziano e il perdurare della mi­

naccia di Tamerlano.

Tre anni dopo, scrivendo ad un suo corrispondente alla Tana, lo incoraggia ad acquistare, dovunque è possibile, del rabarbaro; ma esclude ogni acquisto di pepe, perché è sceso a 35 ducati il carico e ve ne è tanta quantità in Levante e alle ma­ cine che « l ’abissa il mondo ».

Cosi, nel luglio 1445, mette in guardia il suo fattore Giovanni da Scarpanto dal fare acquisti di seta a Trebisonda, perché le grandi quantità di tale prodotto che si trovano ora su quel mercato faranno una « mala fine » se verranno a Vene­ zia, « p e r essere quasi disfatto il mestiere della seta».

La posizione politica ch’egli occupa a Venezia, non mai tale da farlo salire alle più alte cariche (soltanto negli ultimi anni della sua vita egli entrò in Collegio, come Savio alla guerra, e fece poi parte del Consiglio dei Dieci), gli permette tut­ tavia, come membro del Senato, di trovarsi in uno dei migliori osservatori del­ l’Europa di allora e di mantenere contatti frequenti con la Cancelleria ducale e con le magistrature, che più particolarmente si occupano di affari commerciali. Perciò, come già si è accennato, gli avvertimenti e i consigli, che egli dà ai suoi fattori e corrispondenti, si appoggiano quasi sempre, non su semplici induzioni, ma su notizie positive che egli ha potuto procurarsi da fonte sicura, sulla situazione in­ ternazionale o sull’andamento dei traffici.

Nel 1438, in una sua lettera al cugino Carlo Morosini a Siviglia, esprime il suo rammarico di avere spedito in Spagna il suo guado, perché ora a Venezia se ne lamenta la mancanza e non se ne può importare per la guerra che si combatte in Lombardia, in Romagna e nella Marca, « per aver tolto Niccolò Piccinino, Ra­ venna, Bologna e quasi tutti gli altri luoghi della Chiesa ».

L'11 settembre 1454, a pochi mesi dalla pace di Lodi e dalla costituzione della Lega Italica, egli scrive al fattore delle sue terre in Polesine, preavvisandolo che il frumento dovrà calare di prezzo, perché non solamente vi è pace dappertutto, ma si è fatta anche la lega. G li aggiunge però che sarà meglio aspettare qualche giorno a comperare per vedere come i prezzi si muoveranno in seguito alla pace e alla lega.

La conoscenza degli ingranaggi amministrativi della Repubblica gli permette di ricorrere alle fonti ufficiali per assumere informazioni — del resto perfettamente lecite — che gli possano servire di norma nell’intraprendere un affare. Il 2 mag­ gio 1435, in una lettera diretta a Bruges a Benedetto Soranzo, che egli prega di ri­ cevere in consegna 4 sacchi di semenzina e di interessarsi alla loro vendita, ag­ giunge a titolo di incoraggiamento di aver guardato i registri degli s t r a o r d i ­ n a r i (gli ufficiali che sopraintendevano al carico delle galere e alla riscossione dei noli) e di aver trovato che sulle galere di Fiandra dell’attuale viaggio non erano stati caricati che quattro colli di quella merce, in modo che era da sperarsi che i suoi non dovessero temere alcuna concorrenza.

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8 G. PADOVAN

che dovevano tener nota di tutti i contratti stipulati con la loro mediazione, se­ gnando i nomi dei contraenti, la qualità c il prezzo della merce venduta) e aver constatato che i prezzi del guado negli ultimi tempi non avevano mai superato i 22 ducati il migliaio di libbre.

Un'osservazione, che egli fa in una lettera del 19 aprile 1436 ai suoi fattori di Costantinopoli, dimostra che egli ha perfettamente inteso quello che, dal Trecento in poi, è uno dei canoni fondamentali del grande commercio veneziano. Per esortarli a vendere tutta la roba sua che ancora tengono presso di sé, li avvisa che farà tutto il possibile per barattare le robe che essi hanno mandato « massimamente ora che sono giunte le galere di Fiandra e per buona somma ». è noto infatti che il viaggio di Fiandra era stato istituito ed era mantenuto, spesso con grave carico dell'erario, allo scopo di stabilire un maggiore equilibrio del mercato veneziano e di meglio valorizzare le importazioni dal Levante, facilitandone lo scambio coi prodotti di Ponente, importati per via di mare.

Cosi egli si mostra esperto in materia cambiaria e monetaria. Una prima volta, il 9 agosto 1431, in una lettera al fratello Bartolomeo a Trebisonda, gli dice che, se trova da guadagnarvi bene, venda le sue investite (le merci aquistate laggiù con quello che egli gli aveva mandato) sulla piazza e gli rimetta i suoi denari a Venezia a tanti aspri il ducato, avvantaggiandolo quanto più sia possibile (cioè guadagnando anche sul cambio degli aspri in ducati). Se non fosse possibile fare così, faccia il cambio denaro per denaro (cioè senza guadagno sul cambio di valuta). Un anno dopo, per altre merci, gli ripete le stesse istruzioni, aggiungendo che, se non potrà trovare a Trebisonda un cambio per Venezia, lo faccia per Costantinopoli, di dove è sempre facile trovar cambi per Venezia.

Scrivendo invece, cinque anni dopo, ai suoi fattori di Costantinopoli, coi quali evidentemente non aveva la stessa confidenza, fa lo scrupoloso e li invita a mandargli per cambio la parte dei suoi crediti che non potranno investire. Ma il cambio de­ v’essere « denaro per denaro », perché « non vojo vadagnare de simel caxon, perché mai lo feci, perché men che honesto ».

In materia monetaria la sua esperienza si palesa nella contestazione mossa nel marzo 1450 a messer Antonio Azzolino da Ravenna, vicario del Podestà di Vicenza, che doveva versargli il prezzo di una proprietà che il Querini gli aveva venduto a Ravenna. Poiché l’Azzolino gli aveva mandato un acconto di 60 ducati in tanti grassetti d'argento, glieli rifiuta perché il contratto stabiliva che il pagamento do­ vesse esser fatto a Venezia e qui « noi facciamo i nostri pagamenti in ducati (d ’oro) o in banco ».

La sua esperienza in fatto di tenuta di libri la dimostra chiaramente nelle istruzioni che manda, il 20 settembre 1449, a ser Desiderio di Sperti, suo procu­ ratore a Ravenna, per la liquidazione della lunga controversia con Ferondo de’ Fe- rondi. Sebbene io non voglia, o meglio non possa invadere il campo degli storici della ragioneria, credo utile di offrir loro integralmente, anche nella forma dia­ lettale, il testo di queste istruzioni, che non mi sembrano prive di interesse:

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l a t t i v i t a c o m m e r c ia l e d i u n p a t r i z i o v e n e z ia n o 9

vi mandai, c far Ferondo debitor de quest’amontar e chussi subcessive dele spexe havete facte die lui sia debitor. Deinde fatilo crededor del'amontar dei tercni ve sum sta dadi in pagamento e fate una posta de tercni, e meté soto quela partita de tereni tute spexe a mi tocha a pagar. E poi fate i tereni dè aver e misser Azolino debitor per quelo li havete vendudi, e dite el tempo el comenza e el modo del pagamento da esser fato e el nome del nodaro celebra l’instrumento; poi fateme e rededor de tuti i dener havete havuto da mi e similiter del trato dei mie vini in una partita sola aziò non habiate tanta fatiga. E se havete fata alchuna spesa che a mi aspcta a pagar, fatemene debitor e diteme quanti bolognini metete per ducato, perché in farò el simel ».

Ma sopratutto gli otto capitoli che egli manda, il 14 ottobre 1452 al nipote Giovanni Querini, che ha intrapreso, giovanissimo e inesperto, il viaggio di Fiandra e d'Inghilterra, sono un piccolo manuale di pratica commerciale. Dopo avergli spe­ cificato, con la più minuta precisione, le merci che egli può acquistare, i prezzi massimi, a cui può pagarle, i porti in cui può venderle con maggiore vantaggio nel viaggio di ritorno, egli lo ammonisce : — Bisogna saper comperare, e se a questo non basti tu solo, prenditi qualche persona fidata. E compera più o meno a seconda dei denari di cui disponi. Ma bisogna anche saper vendere e non lasciarsi montare la testa. Anzi, quando si trovano dei prezzi onesti, bisogna vendere, perché è meglio vendere e pentirsi piuttostoché tenere e pentirsi. —

a Bisogna accordarsi soprattutto coi doganieri, e così non pagherai tanto dazio; e se tu facessi altrimenti, la tassa sarebbe troppo cara....

« Potrà darsi che al ricevere di questa mia lettera tu abbia venduto a Bruges tutto quello che hai di mio ovvero la maggior parte. Se fosse altrimenti.... è bene vendere a r e m o b a g n a t o , perché più volte succede che chi ha venduto prima ha fatto bene, e chi ha aspet­ tato gli son rimaste le cose sul collo e poi gli è convenuto buttarle via, cioè darle per un prezzo assai minore ». « Quando però si fosse soli ad avere una merce, di cui non ne potesse arrivare finché si rimane in quel luogo, si può indugiare a vendere a propria volontà. T i ricordo tuttavia che, dopoché sarai giunto a Bruges, potrai indugiare a vendere per 15 o 20 e fino a 30 giorni, ma niente di più, perché quelli del paese si trattengono poi dal comprare, di­ cendo che sono merci rifiutate.... ». « Prima di decidersi a barattare merci con merci si deve tentare di vendere a contanti, poiché con questi si può trafficare per le scale (porti intermedi) più volte e con grande utilità ».

Ma di fronte a questi elementi che potrebbero fare del Querini un commer­ ciante intraprendente e avveduto, stanno delle debolezze assai più gravi, che troppo spesso paralizzano o frustrano la sua attività e la sua velleità di agire. Prima de­ bolezza, l’eccessiva sedentarietà : dal 1428, quando egli doveva essere nel fiore degli anni, fino alla morte noi lo vediamo spingersi fino alle sue tenute in Polesine ed al massimo — una sola volta — fino a Ravenna. D i viaggi che egli abbia compiuto per mare per ragioni di commercio non è rimasta la minima traccia.

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Costan-IO G. PADOVAN

tinopoli (di un terzo, Giacomo, che anch'egli, nel 1431, era in Levante, si perde poi ogni ricordo). E sono questi infatti gli anni migliori, in cui egli ha potuto in­ vestire nel commercio di Levante delle somme abbastanza considerevoli, concludendo anche affari molto proficui. Cosi il 20 luglio 1428 egli consegna a ser Giovanni da Scarpanto, che si imbarca sulle galere di Romania, 200 ducati d'oro, perché a Salonicco li investa in argento e lo consegni a Trebisonda al fratello Bartolomeo, che alla sua volta dovrà servirsene per acquisti di seta. L’anno dopo, alla stessa data, l'investimento è più che raddoppiato: egli consegna allo stesso Giovanni, che evi­ dentemente faceva la spola tra Venezia e il Bosforo, 450 ducati d’oro coi quali avrebbe dovuto comperare per 100 ducati di tele sottili ed investire gli altri 350 ducati in argento, con la medesima destinazione dell'anno precedente.

Nel 1430 la somma investita dev’essere stata anche maggiore, se al fratello Bartolomeo, che nel frattempo era rimpatriato e ritornava allora in Levante, imbar­ candosi sopra una nave privata in partenza per Costantinopoli tre o quattro mesi prima della muda d'estate, egli affida quattro balle di panni, che dovrà vendere subito, acquistando argento che porterà a Trebisonda al solito scopo.

In questo periodo l’attività del Querini in Levante, favorita dalla presenza dei fratelli, non si limita però ai soli affari che egli conclude per mezzo di questi : il 18 agosto 1431, egli incarica ser Bernardo Navagero, in partenza per la Siria, di investire 5100 grossi di zecca ( = 2 1 2 1/2 ducati d’oro) in filati di cotone, ag­ giungendo la solita condizione, intesa forse a dare ad un semplice affare di com­ missione la forma di un contratto di società, che il Navagero investisse una somma uguale di denari propri. L'affare dev’essere stato abbastanza fortunato se, un anno dopo, in un memoriale consegnato allo stesso Navagero che ripeteva lo stesso viaggio, può dirgli: « V o i avete del mio contanti L. 28 soldi 12 denari 4 de grossi ( = grossi 6868), come appare per il conto che mi avete dato „. Dunque il profitto di quel solo affare, in un periodo di pochi mesi, sarebbe stato superiore al 30 % , tanto da indurlo non solo a reinvestire l’intero capitale e profitto, ma ad aggiun­ gervi anche 25 braccia di velluto, che gli costa ducati 2 1/2 il braccio, perché lo venda t col ricavato acquisti cotone.

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L ’ATTIVITÀ COMMERCIALI: DI UN PATRIZIO VENEZIANO II che egli, fin dal 1436, attraversi un periodo di gravi strettezze e preferisca esigere i crediti vecchi piuttosto che affrontare l'alea di nuovi affari commerciali. Ma que­ sta spiegazione, vera per gli anni posteriori al 1441, è meno sicura per il periodo precedente, quando il Querini, a brevissima distanza dalla morte dei fratelli, con­ segna — nel 1437 — a Giovanni Negro, in viaggio per la Siria, 400 ducati d'oro

perche li investa in perle ed altre merci non precisate; e l’anno successivo egli estende la sua attività commerciale a due campi del tutto nuovi : a Siviglia e in Romagna.

L'occasione agli affari di Siviglia gli fu offerta dalla presenza in quella piazza del cugino Carlo Morosini, che intraprende nel luglio 1437 con la galera comandata da un altro Morosini, ser Girolamo, quello che è designato appunto col nome, ben poco frequente, di viaggio di Siviglia: probabilmente una galera aggiunta, per quella sola destinazione, alle galere annuali di Fiandra.

L'affare più importante è costituito da una grossa partita di guado (30812 libre veronesi), che il Querini aveva comperato in buona parte a Venezia da un forli­ vese (9), e che il Morosini porta a Siviglia in società, a parti uguali, con lui. Era questo del guado un commercio che il Querini esercitava abitualmente in que­ gli anni, e per cui, ancora nel dicembre 1441, egli teneva in affitto un magazzino apposito a Rialto, come altri magazzini egli teneva per altre materie tintorie, per l’allume e per la vallonea (10).

L'affare era stato intrapreso con grandi speranze, tanto che il Querini se non v’è un errore di cifre — raccomandava di non vendere a meno di 165 du­ cati il migliaio (di libre) la stessa merce che, a brevissima distanza di tempo, era comperata a Forlì per 9 ducati.

Ma alla fine, dopo alcune difficoltà per gli assaggi, la vendita dev'essere av­ venuta, perché nelle lettere posteriori al giugno 1438 il Quetini parla bensì di altre merci di sua proprietà rimaste a Siviglia in attesa di un compratore, ma non fa più parola del guado. Assieme a questo egli aveva infatti spedito laggiù per proprio conto sette panni di seta ed oro e un rubino di grandissimo pregio, di cui — dice lui — non ha visto il più bello in nessuna bottega di orefice. Vorrebbe che il ricavato di queste vendite fosse investito sopratutto in olio, e poi in cera, in mercurio e cinabro, in lana. Fu accontentato subito per quel che riguarda l’olio, di cui una partita rilevante (un centinaio almeno di zare) fu spedita nel 1438 con le galere di Fiandra a Bruges ed a Londra. Per il resto, in luogo delle merci de­ siderate dal Querini, il Morosini, in questo primo affare, preferisce acquistare g r a n a , ch’egli manda a Venezia e probabilmente per un valore considerevole. Lo induciamo sicuramente da due fatti : che il Querini in due lettere successive, del 29 marzo e del 6 giugno 1438, gli ripete la raccomandazione che, tutte le volte in cui egli spedisca delle merci a Venezia per un valore superiore ai 100 ducati, siano esse di proprietà dell'uno e dell’altro, le faccia assicurare a Siviglia, oppure,

(9) Archivio di Stato, Venezia, Procuralia d e citta, Busta 271 cit., Pergamena sciolta, 1437, mag. 24. Venezia: « I o Iachomo di Andrea di maestro Bonuzo da Forlì me chiamo con­ tento et pagado da messer Guglielmo Querini de l'ammontare di sacchi 18 di guado, el quale io gli ho venduto ».

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12 G. PADOVAiV se questo non fosse possibile, gli scriva in tempo in modo che egli possa farle assicurare a Venezia. D ’altra parte, nella stessa lettera del 29 marzo, egli esprime l'augurio di poter vendere a contanti le merci che ha ricevuto da Siviglia in modo da rimettergli con le galere del prossimo viaggio, la somma necessaria per fare nuove investite.

In un quaderno di prima nota il Querini intercala, sotto la data 5 agosto 1438, la notizia di aver denunciato ai Provveditori di Comun, d'ordine della Signoria, il danno subito sulla galera Morosini, presa dai Catalani, per merce sua e di ser Carlo Morosini.

balle 2 di grana, diffalcati i noli, dazi e altre spese, p. il valore di ducati 83-1 barili 2 di argenti vivi, diffalcati i noli, dazi e altre spese, p. il valore di » 7-1 Totale ducati 908 Di questo sinistro non si fa parola nel copialettere; ma in ogni caso esso non impedì che gli affari con Siviglia continuassero anche nell'anno successivo, sempre per il tramite di ser Carlo Morosini. Il 9 aprile 1439, il Querini versa a ser Tizi di Andrea 20 ducati d’oro di zecca, tratti dal banco dei Soranzo, perché 10 faccia assicurare, con un premio del 2 y 2 per cento, sulla galera Quirina, da Pisa a qui, per ducati 500, e Carlo Morosini per ducati 300.

Strettamente connesso col commercio di Levante e con quello di Siviglia si ma­ nifesta il commercio con Bruges e con Londra, che raggiunge qualche importanza, sempre però assai modesta, soltanto in questo breve periodo dal 1436 al 1439. Le merci infatti che egli manda in quelle città nel 1436 sono le 93 zare di olio, già ricordate, provenienti direttamente da Siviglia, o piccoli quantitativi di muschio, di scamonea e di qualche varietà di spezie di origine levantina. All'affare dell'olio per cui egli stentava a realizzare il suo credito, si riferisce uno dei casi già accen­ nati di rapporti cambiari, in cui egli entra con Cosimo il vecchio e Lorenzo dei Me­ dici, allora residenti a Venezia. Il 14 gennaio 1439, egli scrive a ser Gabriel Soranzo a Bruges che, non avendo mai avuto risposta alla lettera con cui lo pregava di rimettergli per cambio la rata spettantegli sulla vendita delle 100 zare d’olio, lo avvisa che « g li manda a pagare a ser Bernardo Portinari (il capo ben noto della filiale dei Medici a Bruges) la valuta di ducati 100 all'usanza, i qual ho avuti di qua da ser Cosmo e ser Lorenzo dei Medici a grossi 54 * / 2 (di Bruges) per ducato, pregandovi chiaramente tutti li azetate » (anche se il suo credito gli risultasse minore).

Connesso in parte col commercio di Siviglia, assai più che con quello di Le­ vante, ormai, di fatto, quasi completamente interrotto, è il movimento di affari che 11 Querini, dopo la fine del 1438, tenta d’intraprendere con Ravenna e Forlì per il tramite del già ricordato Ferondo de’ Ferondi e di qualche suo corrispondente, prendendo probabilmente occasione dall’estensione del dominio veneziano sul ra­ vennate, avvenuta appunto in quegli anni, e sui rapporti d’amicizia in cui egli poteva

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l’a t t i v i t à c o m m e r c ia l e d i u n p a t r i z i o v e n e z ia n o. 13

trovarsi coi pubblici ufficiali di quella città, dov'egli stesso — se avesse accettato — avrebbe potuto andare come podestà. Il Querini manda al suo socio o fattore (la figura non è ben definita) lana, proveniente da Siviglia, ferro e pepe; e l’altro deve comperare per lui guado, destinato in parte all'esportazione, in parte minore ai bisogni dell’industria veneziana della tintoria. Ma lo scopo principale dell'invio di Ferondo a Ravenna era stato quello di esercitare in società con lui il commercio del grano, di cui, quasi in tutte le lettere, egli incoraggia l’acquisto, insistendo perché nello stesso tempo siano ottenuti i permessi d’esportazione sia per Venezia, sia — in qualche caso — per Mantova e — talvolta — per paesi più lontani. Questo del grano sembra esser diventato — dopo il 1440 — il ramo più importante del­ l’attività commerciale del Querini, che in certi momenti ne acquista quantità assai rilevanti.

Ma dal 1441 in poi, a giudicare almeno dalle lettere conservateci dal suo copiario, che purtroppo non è affatto completo, anche questa attività commerciale in Romagna, come da più di un anno quella esercitata sino alla fine del '39 a Siviglia, in Fiandra e in Inghilterra, e già dal 1336 in Levante, sembra arrestarsi quasi to­ talmente.

L’attività del Querini, per quanto almeno riguarda gli affari di commercio, sembra concentrarsi tutta sopra un solo problema: quello di esigere i grossi crediti arretrati che egli ha, o presume di avere verso la maggior parte di quelli che sono stati con lui in rapporti d’affari, o come soci, o come fattori od anche come sem­ plici contraenti. La tenacia con cui il Querini insiste nei tentativi di ricupero di questi crediti ha qualche cosa di.... eroico e di inverosimile. Nel caso dei debitori dei suoi fratelli defunti ed in quello delle persone che, a Costantinopoli ed a Trc- bisonda, egli ha incaricato della liquidazione delle loro pendenze, i tentativi, non coronati mai da successo, continuano per 12 anni. Fra i mezzi escogitati troviamo quello di mandare a pagare al debitore lontano una tratta per una somma effet­ tivamente riscossa dal Querini a Venezia (11), oppure di spiccare una tratta fittizia, emessa al solo scopo di indurre i debitori a pagare per il timore del discredito in cui sarebbero caduti nel caso di mancata accettazione (12). Altra volta per indurre 11

(11) Vedi sopra il caso già ricordato dei 100 ducati che il Querini si fa dare a Venezia da Lorenzo e Cosimo de' Medici e per i quali manda a Bruges a Gabriel Soranzo una tratta perché egli la paghi a Bernardo de' Portinari. Il ¡pagamento avrebbe dovuto esser fatto dal Soranzo coi denari ricavati dalla vendita dell'olio di proprietà del Querini.

(12) D i tali lettere di cambio fittizie e dello scopo per cui esse sono tratte si parla ripetutamente nelle lettere e memoriali del 4 maggio e 3 agosto 1437 a Giovanni da Scarpanto; ma anche più esplicita è la dichiarazione rilasciata dai Querini allo stesso Giovanni e che si conserva fra i documenti sciolti della Commissaria : « Sia manifesto a chi vedrà questo scritto come io Zian de sharpanto ho avuto una lettera di cambio da ser Vieimo Querini fo de misser Andrea de perperi 650, la qual me diè pagar ser Zian de Prioli e ser Tomaso Beniventi, so commessi in Costantinopoli; e appresso ho avuto un’altra lettera de cambio dal detto ser Vieimo, la qual me diè pagar ser Gabriel Valaresso in Trabesonda de ducati 100 over la valuta de quelli; le quali due lettere sono fittizie, e confesso non aver dato alcuno denaro al detto ser Vieimo, né altri per mio nome. Ma il detto Vieimo vuole io scuoda i detti denari e comperi argenti e porti con me a Trabesonda etc. ».

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14 G. PADOVAN

a. pagare un tal Samuele, medico ebreo, che risulta poi fallito, il Querini stimola il suo fattore Beniventi a farlo arrestare, perché in tal caso la madre pagherà subito per lui, e se ’1 dovesse costar qualche piccola cosa de m a n z a r 1 a , seria con­ tento,,. Ma questa fiducia nei risultati miracolosi delle mancie agli amministratori della giustizia orientale non dura m olto: quattro anni dopo egli non aveva ancora ottenuto nulla e si dimostra spaventato delle grandi m a n z a r i e che bisognerebbe dare ai giudici per far sentenziare Samuel giudio e teme che « non saria altro che buttar el manego drio la manera ».

Per un credito verso un genovese, Giovanni della Torre, che nel marzo 1433 aveva avuto da Bartolomeo Querini « a utel e danno » (in colleganza) una partita di panno d'oro cremisi, addebitatagli, per il suo costo a Venezia, ad iperperi 1417 ( = ducati d’oro 406 circa), che nel 1437 si era accordato col Beniventi per pagare il 50 per cento in tre anni, ma che poi non aveva pagato nemmeno questo, il Querini propone, nel 1442, a Giacomo da Scarpanto di comperare dal Dalla Torre qualche merce, e poi, all'atto del pagamento, trattenersi il credito. Se riuscirà ad ottenere anche gli interessi, gliene promette la metà.

Ma il mezzo preferito è sempre il medesimo, che si ripete con monotonia costante nelle numerosissime lettere che il Querini scrive fra il 1436 ed il 1447 pei quella eterna e disgraziata liquidazione: interessare cioè i suoi fattori o qualche altra persona, ch'egli incarica in vece loro, ad assicurargli la riscossione dei suoi crediti, invitandoli ad investire i denari così ricuperati, assieme ad altrettanti dei propri, partecipando per metà agli utili e ai danni. Chi leggesse una o due soltanto di quelle lettere potrebbe avere l'impressione che in quei dodici anni l'attività com­ merciale del Querini sul Bosforo e sul Mar Nero si mantenesse ancora intensa; ma continuando la lettura per gli anni successivi, si vede che i crediti non sono mai stati esatti e che nessuna di quelle investite, progettate spesso con grande lusso di parti­ colari, ha potuto trovare nemmeno un principio di attuazione. In realtà, per dodici anni, il Querini non investe un solo ducato e non conclude alcun affare né a Co­ stantinopoli, né a Trebisonda o alla Tana. Non si può escludere che questo suo totale ritiro dal campo preferito del commercio veneziano, che seguitava ad esser tale no­ nostante le minacce che gravavano sopra di esso, dipenda effettivamente da mancanza di disponibilità liquide, com'egli lamenta in una lettera del 7 aprile 1441 : « Io sono in tanta necessità di moneta da far pietà, per le molte e grandi fazion ». £ vero in­ fatti che dal 2 dicembre 1439 al 31 marzo 1441 erano stati imposti ben 17 prestiti obbligatori per l'importo complessivo del 59 ’ /2 per cento dell'estimo.

Ma, a giudicare dagli investimenti fatti dal Querini pochi anni dopo, quando la pressione tributaria non era molto diminuita, non risulta probabile che le difficoltà di denaro siano state la causa principale della rinuncia al commercio di Levante. In misura maggiore può avervi contribuito la situazione creata dalla minaccia dei Turchi e di Tamerlano, ma la ragione decisiva dev’essere stata appunto quella a cui si è suffagio e quanto incremento v'è divenuto in b o r s a l'aver avuto i fatti miei nelle mani ». Questa frase può far sorgere qualche dubbio sulla tesi, universalmente accettata, dell'Ehrenberg, che fa derivare il nome di borsa dalla località in cui i mercanti italiani si riunivano a Bruges per le loro contrattazioni, nella loggia del palazzo van der Beurse.

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L'ATTIVITÀ COMMERCIALE D I UN PATRIZIO VENEZIANO 15 .

accennato or ora: di non abbandonare la speranza di ricuperare i propri crediti, e di valersi di questi come capitale da investire in nuove imprese commerciali, asso­ ciando a queste i propri soci o fattori per indurli al ricupero dei crediti stessi. Questa tenacia, che si avvicina spesso ad una forma di ostinazione impotente e che il Querini dimostra anche di fronte ad altri suoi debitori in Fiandra, in Inghilterra e nel- Tltalia stessa, può denotare in lui le qualità dell'oculato amministratore del proprio patrimonio, ma non certo la mentalità del mercante di razza il quale, di fronte alla possibilità di riprendere ed ampliare la rete dei suoi affari, non perde certamente le buone occasioni per correre dietro a dei crediti inesigibili o di esazione difficilissima.

In un solo caso gli sforzi del Querini per far valere i suoi diritti contro un debitore insolvente risultano coronati da successo : nel caso già ricordato di Ferondo de’ Ferondi da Ravenna, il Querini, valendosi evidentemente della sua influenza po­

litica, riesce, dopo inutili tentativi di composizione amichevole ad ottenere contro il suo debitore una sentenza di espropriazione di una proprietà, appartenuta a messer Ostasio da Polenta, che il Querini vendeva poi, nel marzo 1449, per L. 1400 di bolognini.

Ma se dal 1436 al 1449 l'attività del Querini, in materia di affari, sembra li­ mitata, prevalentemente, alla riscossione dei suoi crediti, non si può inferire da questo che, assorbito dalle funzioni pubbliche, egli si sia completamente ritirato dal commercio. Ch'egli seguitasse ad occuparsene risulta anzitutto dalla prima nota, a cui già si è accennato, in cui registra fra l’altro i pagamenti fatti nel 1439 e nel 1144 per fitto di magazzini (14).

D ’altra parte, sempre nello stesso quaderno, lo vediamo registrare l'acquisto fatto sul mercato di Rialto di 40 moggia di vallonea il 12 ottobre 1438; di cui, nel settembre 1440, egli vende la metà ad un tal Giovanni da Imola, abitante a Ferrara, per ducati 2 e denari 166 al moggio. Tutto il resto della vallonea egli vende, sempre sul mercato di Rialto, a ser Giovanni Zancana della Giudecca a condizioni molto migliori, cioè a ducati 3 denari 6 il moggio (del peso di 650 libre). Nello stesso tempo egli conclude, sempre sulla piazza, delle vendite per somma minore, di allume, di grana, di indaco, di grano, di fuste da balestre. Nel dicembre 1441 egli teneva ancora in fitto da Cha Lion sulla riva del Ferro il magazzino d ei guadi.

Ma il commercio più grosso che il Querini continua in quegli anni è il com­ mercio dei grani. Oltre alle prove del suo interessamento a tale genere di traffico, che abbiamo tratto dalle sue lettere ai corrispondenti di Ravenna, di Forlì ed al suo fattore delle Papozze, egli ci ha lasciato un conto sommario degli acquisti di frumento, fatti in società (a parti uguali) con Nicolò Businelli dal 7 settembre al 21 ottobre 1446. Sono poco meno di 2200 staia, provenienti dal Ferrarese, dal Po­ lesine, da Chioggia e da altre località non specificate. Il prezzo di quasi tutte le partite è uniforme: 48 soldi (di piccoli) lo staio. Soltanto la partita maggiore, di

(14) In data 4 novembre 1439 egli registra: «U n magazzino di ser Zian Iuda per Lire 4 (di piccoli) al mese, il quale è pieno di vallonea. Lo tenni fino al 12 ottobre 1444;

in data 10 ottobre 1444 : « un altro magazzino dello stesso ser Zian Iuda per Lire 4 al mese, nel quale ho vallonea e guado sacchi 39. E se '1 tegnirò più de un anno, dezo

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16 C. PADOVAS

727 staia, di cui non si dichiara la provenienza è acquistata parte a 50 c parte a 53 soldi; mentre un'altra partita di 300 staia, dal Ferrarese, si è avuta per 47 soldi.

Dei due soci il Businello, che dev'essere del mestiere, e probabilmente è un mugnaio, s'incarica della vendita ai fornai a piccole partite, mentre più tardi, come risulta da un appunto senza data, il Querini aveva fatto preparare, con farina propria, da un fornaio di Cannaregio 20 staia e 3 quarte di biscotto, e glielo aveva lasciato in custodia finché egli trovasse il compratore.

Un altro ramo di commercio che il Querini ha sempre seguitato ad esercitare anche negli anni in cui sembra essersi ridotta al minimo la sua attività nei mercati d’oltre mare, è quello delle pietre preziose. Sono per lo più rubini e solo qualche diamante, legati quasi sempre in anelli d'oro, ch'egli spedisce di volta in volta, in Bosnia, a Milano, a Roma, a Ginevra, in Francia, in Fiandra, a Londra, quando gli si presenti l’occasione di affidarli a persona di sua piena fiducia che li porti con sé, e quando le probabilità di vendita siano aumentate da qualche matrimonio principesco. Dall'interesse che il Querini dimostra, scrivendo a ser Giovanni Malipiero in Bosnia, di cambiare le sue pietre preziose con modesti quantitativi d'oro « pa- gliuola » e di argento fino, e da altri accenni delle sue lettere, si può argomentare ch'egli fosse in rapporti con alcuni orefici di Venezia in un periodo in cui l'indu­ stria dell'oreficeria ed il commercio delle gioie assurgevano in quella città a grande

floridezza. Ma sebbene egli facesse salire qualcuna delle pietre preziose da lui spedite per la vendita al prezzo di 200 ducati, si tratta di semplici eccezioni, e in generale si può calcolare che anche questo commercio non richiedesse una immobilizzazione molto considerevole di capitali.

Comunque, l'attività commerciale del Querini, che per più di quindici anni dopo la morte dei fratelli è andata restringendo il suo campo di azione ed ha finito per ridursi, dopo il 1441, a ben piccola cosa, rivela dopo i primi mesi del 1552 una improvvisa ripresa, che si accentua dopo il 1457.

L'occasione a questa ripresa fu offerta dal fatto che l'unico parente stretto di Guglielmo, Giovanni Querini, figlio del fratello Bartolomeo morto nel 1435, ha raggiunto ormai l’età di poter entrare negli affari, e si imbarca nel giugno 1452, come scrivano, sulle galere di Fiandra. Finalmente lo zio, ormai avanti cogli anni e che ha esperimentato a proprie spese il danno di dover affidare i propri affari a persone estranee senza alcun mezzo di controllarne e guidarne l'attività, che non sia l’invio di lettere e memoriali che impiegano uno, due, tre mesi a raggiungere la mèta, finalmente egli può contare sulla collaborazione di persona sicura, per quanto ancora inesperta.

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