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Economia digitale e fiscalità europea 151

1. B REVE S TORIA D ELLA F ISCALITÀ E UROPEA 1

4.1. Economia digitale e fiscalità europea 151

Giunti al capitolo centrale della presente trattazione è opportuno ripercorrere brevemente le ragioni per le quali lo studio della relazione tra economia digitale e fiscalità nell’ordinamento europeo sia, in questo momento storico, una tematica meritevole di approfondimento.

Come abbiamo osservato in precedenza, le questioni di carattere fiscale sollevate, in particolar modo, dalle multinazionali dell’economia digitale, non interessano esclusivamente il territorio europeo bensì lo ricomprendono inevitabilmente in ragione del loro carattere internazionale. Da questo punto di vista, dunque, le problematiche che ne emergono non differiscono da quelle che si presentano a livello internazionale ma – ed è questa la ragione principale della nostra analisi – le possibili soluzioni differiscono sostanzialmente a seconda che gli Stati interessati da tali schemi fiscali siano nazioni del tutto “indipendenti” ovvero ordinamenti che partecipano all’Unione europea. Nel primo caso, infatti, la cooperazione sarà certamente limitata mentre nel secondo, pur non essendovi un’unione fiscale, è possibile predisporre strumenti più efficaci e onnicomprensivi in ragione di un sistema di cooperazione in parte istituzionalizzato.

Gli schemi fiscali aggressivi predisposti dalle multinazionali, digitali e non, possono essere, dunque, considerati quali propellente per un’azione coordinata ancora più penetrante da parte degli Stati europei. Come vedremo successivamente, la semplicità con cui le società eludono gli ordinamenti fiscali diminuisce con l’aumentare della cooperazione tra i diversi ordinamenti. Si pensi all’istituto dello scambio di informazioni automatico che è il primo passo per limitare i comportamenti elusivi dei contribuenti e che, pertanto, negli anni passati è stato oggetto di grandi attenzioni da parte dell’Oecd.

Anche la Commissione europea ha dovuto prendere atto della necessità di implementare soluzioni efficienti sfruttando la cooperazione già presente in seno all’Unione europea. In particolare è stata riaperta la discussione su una possibile politica fiscale europea a partire dalla Common Consolidate Corporate Tax Base al fine di permettere alle aziende di compilare una sola dichiarazione fiscale per tutti i paesi in cui operano sulla base di una cifra di ricavi consolidata. Da qui i paesi

interessati dalla presenza societaria si ripartirebbero le entrate delle imposte sulla base di una formula che tiene conto della mano d’opera presente in ciascuno di essi, degli attivi e delle vendite. Oggi, infatti, un’impresa che opera in più Paesi europei paga le imposte in ognuno di essi con lo svantaggio di avere aliquote e sistemi, anche di deduzione, diversi da una nazione all’altra. Un fardello di costi, perdite di tempo ed energie non indifferente. Allo stesso tempo i governi, così come le multinazionali, sfruttano i diversi sistemi tributari per farsi concorrenza (o dumping) fiscale e attrarre le grandi imprese facendo a gara a chi abbassa di più le aliquote, come hanno dimostrato i recenti casi di Apple, Starbucks e Amazon.

Con riferimento al caso Apple, si noti come la pianificazione fiscale aggressiva della società è stata fronteggiata facendo ricorso alla normativa relativa agli aiuti di stato, proprio a causa della mancanza di una normativa fiscale comune in seno all’Europa. Questo episodio può essere letto come la conferma che vi è una necessità reale di avere a disposizione strumenti, in seno all’Europa, adatti a contrastare i comportamenti fiscali illegittimi che vengono posti in essere dalle multinazionali appartenenti all’economia digitale. E dunque in questo senso tale nuova economia potrebbe essere la chiave di volta per ridefinire i sistemi fiscali odierni, sia che la scelta ricada sulla creazione di nuovi strumenti maggiormente adeguati rispetto alle economie attuali sia che ricada su un approccio unitario, almeno a livello europeo, di applicazione degli strumenti esistenti.

Per riprendere le parole del prof. Franco Gallo132, “In un’area economicamente

integrata, a moneta unica e nella prospettiva di una unione anche politica, il perdurare delle rilevanti diversità nella tassazione delle imprese rappresenta, infatti, un altrettanto rilevante costo del sistema produttivo europeo, costituito dal non pieno sfruttamento delle potenzialità dell’integrazione. […] non si riesce a capire come queste diversità possano ritenersi, solo perché generalizzate, coerenti con il buon funzionamento dei mercati e, quindi, non produttive di gravi distorsioni nella localizzazione delle attività di impresa e di aggravi di costi amministrativi.

132 Franco Gallo è un professore, uno dei massini esperti di diritto tributario, e giusrista. È stato nel

È evidente che per evitare ciò bisognerebbe sviluppare, in senso direi quasi oggettivo ed economico, il concetto di concorrenza fiscale dannosa – che il Codice di condotta basa su giudizi di valore opinabili e su singole ipotesi normative – per giungere gradualmente a una definizione che prenda in esame anche quella operata attraverso sistemi nazionali nel loro complesso.

Mi rendo conto che nell’attuale stato di realizzazione dell’Unione europea è molto difficile affrontare questo problema nel “concerto” di ventisette Stati. Bisognerebbe, però, almeno riconoscere che esiste, che la sua soluzione è strettamente funzionale a una maggiore integrazione dell’Ue e che è necessario porre, fin d’ora, le basi per risolverlo, evitando di accogliere inaccettabili definizioni “politiche” della concorrenza dannosa.

Per portare a termine l’integrazione si dovrà, perciò, recuperare a livello europeo una diversa idea di fiscalità, anche come strumento di raccolta delle risorse finanziarie essenziali per lo sviluppo e la sussistenza di una collettività secondo giusti principi distributivi”133.

Tale proposta, peraltro, si accompagna alla concreta possibilità da parte dell’Unione di assumere un ruolo decisivo e più penetrante nel campo dell’imposizione fiscale. In particolare il TFUE contiene alcune previsioni che limitano, disciplinandolo, il raggio di azione dell’Unione nel campo della fiscalità. Si fa riferimento, in particolare, agli articoli 113 e 115 TFUE che determinano la base legale su cui l’Ue può legiferare nel campo della tassazione diretta e indiretta.

Specificamente, l’art. 113 recita che “The Council shall, acting unanimously in accordance with a special legislative procedure and after consulting the European Parliament and the Economic and Social Committee, adopt provisions for the harmonisation of legislation concerning turnover taxes, excise duties and other forms of indirect taxation to the extent that such harmonisation is necessary to

133 Gallo F, L’europa ha bisogno di un’unione fiscale, Il sole 24 ore, 5 giugno 2017.

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-06-04/l-europa-ha-bisogno-un-unione-fiscale- 173513.shtml?uuid=AEmy35WB.

ensure the establishment and the functioning of the internal market and to avoid distortion of competition”.

L’art. 115, parimenti, sancisce che “Without prejudice to Article 114, the Council shall, acting unanimously in accordance with a special legislative procedure and after consulting the European Parliament and the Economic and Social Committee, issue directives for the approximation of such laws, regulations or administrative provisions of the Member States as directly affect the establishment or functioning of the internal market”.

Il requisito di tali formulazioni è che necessariamente tutte le misure che l’Unione europea voglia adottare in campo tributario debbono possedere una dimensione transnazionale che abbia, quale conseguenza, un beneficio per il funzionamento del mercato interno. In questo senso, dunque, è possibile dedurre che tale potere appartiene a quelle competenze cd. “concorrenti” in capo all’Ue per le quali è prevista un’elencazione non esaustiva.

Si noti, inoltre, che la richiesta di un beneficio per il funzionamento del mercato interno onde adottare provvedimenti in materia tributaria ben si relaziona all’espandersi dell’economia digitale. Una tassazione più razionale e coordinata, finanche centralizzata, renderebbe certamente più giusta la concorrenza in ambito europeo e, con la semplificazione delle procedure tributarie, il vecchio continente assumerebbe senz’altro una maggior attrattiva rispetto agli investimenti esteri che spesso, ad oggi, vengono scoraggiati a causa di sistemi tributari non allineati i quali, come naturale, comportano un aumento dei costi di compliance.

A ciò si aggiunga che, in ogni caso, nell’eventualità di un’iniziativa legislativa in materia da parte dell’Unione dovrebbero comunque essere rispettati i principi di sussidiarietà e proporzionalità134 garantendo sostanzialmente le prerogative dei

singoli Stati.

134 Cfr. articolo 5 TUE il quale sancisce che “1. La delimitazione delle competenze dell'Unione si

fonda sul principio di attribuzione. L'esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità. 2. In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. 3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista

Il principio di sussidiarietà prevede che l’Unione può agire solo se gli obiettivi dell’azione proposta non possono essere raggiunti adeguatamente dagli Stati Membri separatamente ma possono finalizzarsi più efficacemente a livello unionale tenendo in considerazione la loro portata e i conseguenti effetti. In poche parole, le Direttive in materia fiscale emanate sono legittime al fine di contrastare gli ostacoli al commercio internazionali all’interno dei confini europei. In mancanza di questa dimensione transnazionale vi sarebbe una violazione del principio di sussidiarietà così come delineato in precedenza nonché della normativa delineata dal TFUE.

Infatti, solo un’iniziativa armonizzata in questo settore permette di migliorare il funzionamento del mercato interno mentre le iniziative separate e indipendenti di ciascuno Stato membro spesso comportano un incremento della disparità concludendosi in una distorsione e frammentazione dell’ambito fiscale in senso al mercato comune.

Il principio di proporzionalità si delinea invece quale obbligo in capo all’Unione di non spingersi oltre, con la propria azione, rispetto a quanto necessario per raggiungere gli obiettivi dei Trattati. Ciò significa, dunque, che il corretto funzionamento del mercato unico, anche dal punto di vista fiscale, non può essere utilizzato come “cavallo di Troia” per implementare normative fiscali che eccedano quello che è strettamente necessario al suo funzionamento. Così evitando che l’Unione possa arrogarsi una competenza esclusiva in materia fiscale che non le compete.

Tali principi, dunque, alla base dell’apparato normativo europeo sono la garanzia per poter procedere ad un ravvicinamento dei sistemi fiscali europei anche in questo momento storico. Non vi è, infatti, possibilità alcuna di incidere

non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo. 4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità”.

negativamente sulla sovranità fiscale dei singoli Stati che non si vedrebbe ridotta in alcun modo bensì esclusivamente armonizzata rispetto a quella degli altri Paesi Membri. La normativa, inoltre, se correttamente applicata, eviterebbe ogni possibile vantaggio selettivo che potrebbe ingenerarsi a livello di concorrenza tra Stati nel senso che, un ravvicinamento sostanziale, più pregnante e condiviso da tutti in materia eviterebbe altresì quello che in precedenza abbiamo individuato come “dumping fiscale” tra Stati Membri.

4.2. L’orientamento europeo sulle multinazionali dell’economia digitale