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Educazione interculturale e comunicazione interculturale

Educazione letteraria, educazione interculturale e comunicazione interculturale

4.1 Educazione interculturale e comunicazione interculturale

In questo paragrafo presentiamo sinteticamente le nozioni e le finalità dell’educazione interculturale e della comunicazione interculturale, rinviando alla bibliografia di riferimento per eventuali approfondimenti53.

Entrambi i concetti di educazione interculturale e di comunicazione interculturale poggiano sulla distinzione introdotta dal Consiglio d’Europa nel 1989 tra i termini ‘multiculturale’ e ‘interculturale’, spesso considerati erroneamente come sinonimi. Con l’aggettivo ‘multiculturale’ si intende una situazione statica in cui coesistono persone o gruppi di diverse etnie e culture. Questo concetto si può associare alle immagini di un “sistema di vasi fra loro non comunicanti” (Favaro 2002a: 42) o di un “insieme delle parti che compongono il mosaico” (Luatti 2009: 55). Con l’aggettivo ‘interculturale’, invece, ci si riferisce ad una situazione dinamica in cui persone o gruppi di diverse etnie e culture si relazionano e interagiscono tra loro. Per tali ragioni, Sales e García (1997) distinguono il carattere descrittivo del termine ‘multiculturale’, circoscritto alla

53 Il paragrafo 4.1 è tratto e adattato, con opportune integrazioni, da Caon e Spaliviero (2015a). Per approfondire gli

studi sull’educazione interculturale e sulla comunicazione interculturale rimandiamo, ad esempio, a Demetrio e Favaro

(2002); Tassinari (2002); Santerini (2003, 2013); Favaro e Luatti (2004); Portera (2006); Rossetti (2006); Balboni (2007); Caon (2008a); Luatti (2009); Balboni e Caon (2015); Serragiotto (2016).

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presentazione di una situazione oggettiva, dalla valenza normativa del termine ‘interculturale’, che riguarda gli interventi tesi a favorire l’incontro e lo scambio tra le persone.

Questa distinzione comporta “due modi alternativi di pensare alla pluralità delle “culture”, da cui partono due strade diverse sul piano educativo” (Mantovani 2009: 59). La visione multiculturale concepisce le culture come entità univoche, rigide e impermeabili che ciascun individuo possiede in modo inalterabile. Di conseguenza, “la concezione reificata della cultura porta a considerare le persone in qualche modo “agite” dalla loro “cultura”. Per la concezione multiculturale ogni persona “appartiene” a una “cultura” e ha una sola “identità culturale” (Mantovani 2009: 61). La visione interculturale, invece, identifica le culture come realtà in divenire, aperte alla condivisione e al cambiamento da parte di coloro che le rappresentano all’interno di processi di costante evoluzione e adattamento. In questa prospettiva è possibile collocare la riflessione di Baumann (1999, citaz. dalla trad. it. 2003: 33) secondo cui “la cultura fa l’uomo, ma sono gli uomini, le donne, i giovani che fanno la cultura. Se cessassero di farla e di rifarla, la cultura cesserebbe di esistere; e ogni fare la cultura, per quanto possa essere un atto di conservazione, è anche un rinnovamento”. Sulla stessa scia, Favaro (2002b: 111-112) descrive la cultura come “viva e dinamica, inserita in un processo di cambiamento continuo che si origina dagli scambi, dagli incontri, dall’accoglienza di altri apporti e anche dalla difesa dei propri principi” e afferma che essa è “una mappa che ci viene consegnata e che ci serve per esplorare la realtà; (…) si arricchisce grazie alle relazioni con gli altri e alle differenze che incontriamo sul nostro cammino”.

4.1.1 Il concetto di educazione interculturale

Il concetto di educazione interculturale si introduce in Italia negli anni Novanta, quando entra nella normativa a fronte dell’inserimento crescente degli studenti non italofoni nelle scuole di diverso ordine e grado. I primi documenti con cui si pongono le basi dell’educazione interculturale in Italia, e a partire dai quali si emanano le successive indicazioni ministeriali in sostanziale continuità, sono le Circolari Ministeriali n. 205 del 26 luglio 1990 e n. 73 del 2 marzo 1994.

Nella Circolare Ministeriale n. 205 del 26 luglio 1990 (La scuola dell'obbligo e gli alunni stranieri:

l’educazione interculturale) compare per la prima volta la nozione di educazione interculturale in

associazione al tema dell’integrazione degli studenti non italofoni. Essa è definita come la “condizione strutturale della società multiculturale” (parte VI, comma 1) e riguarda la totalità delle discipline e degli studenti, a prescindere dalla loro origine, al fine di ricercare il dialogo, la mediazione e il confronto. La finalità dell’educazione interculturale, infatti, corrisponde allo

153 sviluppo di relazioni umane significative:

[…] l’obiettivo primario dell'educazione interculturale si delinea promozione delle capacità di convivenza costruttiva in un tessuto culturale e sociale multiforme. Essa comporta non solo l'accettazione ed il rispetto del diverso, ma anche il riconoscimento della sua identità culturale, nella quotidiana ricerca di dialogo, di comprensione e di collaborazione, in una prospettiva di reciproco arricchimento (parte VI, comma 2).

A livello didattico, l’educazione interculturale si concretizza nella proposta di rinnovamento interdisciplinare e si dirige a tutti i discenti, italofoni e non italofoni, per combattere l’insorgere di visione etnocentriche, stereotipate e pregiudiziali:

Ogni intervento che si colloca su questo piano tende così, anche in assenza di alunni stranieri e nella trattazione delle varie discipline, a prevenire il formarsi di stereotipi e pregiudizi nei confronti di persone e culture ed a superare ogni forma di visione etnocentrica, realizzando un’azione educativa che sostanzia i diritti umani attraverso la comprensione e la cooperazione fra i popoli nella comune aspirazione allo sviluppo e alla pace (parte VI, comma 4).

Nella Circolare Ministeriale n. 73 del 2 marzo 1994 (Dialogo interculturale e convivenza

democratica: l’impegno progettuale della scuola) si insiste sulla promozione del dialogo, della

cooperazione e della valorizzazione di tutte le tradizioni culturali:

[…] i valori che danno senso alla vita non sono tutti nella nostra cultura, ma neppure tutti nelle culture degli altri: non tutti nel passato, ma neppure tutti nel presente o nel futuro. Essi consentono di valorizzare le diverse culture, ma insieme ne rivelano i limiti, e cioè le relativizzano, rendendo in tal modo possibile e utile il dialogo e la creazione della comune disponibilità a superare i propri limiti e a dare i propri contributi in condizioni di relativa sicurezza (parte I, paragrafo 1, comma 4).

Il tema dell’educazione interculturale è sviluppato in una prospettiva europea e mondiale in accordo con i temi della società multiculturale, della prevenzione al razzismo e all’antisemitismo e del valore interculturale di tutte le materie scolastiche. Riguardo a quest’ultimo aspetto, si evidenzia anche il contributo della letteratura (italiana) all’educazione interculturale:

L'insegnamento dell’italiano consente, secondo le possibilità dei vari livelli scolastici, una considerazione interculturale delle vicende della lingua (origini latine, scambi con altre lingue moderne, rapporti con i dialetti), un approccio (con letture antologiche ed esemplificazioni) alle altre culture, europee ed extraeuropee, e una riflessione sui loro rapporti. Anche la lettura degli autori italiani può offrire contributi all’approfondimento delle tematiche di maggior rilievo per l'educazione interculturale (parte II, paragrafo 5, comma 3).

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considerata è possibile affermare che “l’educazione interculturale disegna (…) un processo e delinea un progetto” (Favaro 2002a: 42), poiché riguarda una serie di decisioni e di strategie d’azione politiche, organizzative e metodologiche che mirano a favorire la comprensione oggettiva del mondo (piano cognitivo) e l’apertura emotiva agli altri (piano emotivo) da parte di tutti gli studenti. Pertanto, l’educazione interculturale non si deve considerare “uno specialismo, una disciplina aggiuntiva che si colloca in un momento prestabilito e definito dell’orario scolastico”, ma “un approccio per rivedere i curricoli formativi, gli stili comunicativi, la gestione educativa delle differenze e dei bisogni di apprendimento” (Favaro 2002a: 47). La sua componente trasversale e inclusiva, che permea tutte le materie e si rivolge alla totalità degli studenti, è sottolineata da Aguado (2003: 63)54 che con educazione interculturale intende:

La reflexión sobre la educación, entendida como elaboración cultural, y basada en la valoración de la diversidad cultural. Promueve prácticas educativas dirigidas a todos y cada uno de los miembros de la sociedad en su conjunto. Propone un modelo de análisis y de actuación que afecte a todas las dimensiones del proceso educativo. Se trata de lograr la igualdad de oportunidades (entendida como oportunidades de elección y de acceso a recursos sociales, económicos y educativos), la superación del racismo y la competencia intercultural en todas las

personas, sea cual sea su grupo cultural de referencia.

Sul piano didattico, l’educazione interculturale si può realizzare su quattro livelli (Favaro 2002a: 46-47), diversi e paralleli, che hanno come focus:

a. la relazione: con la creazione di un clima di apertura e dialogo nella realtà scolastica;

b. i saperi: con la revisione e l’integrazione della componente interculturale nei curricoli, sia nelle singole discipline (storia, matematica, italiano ecc.) sia con la creazione di nuovi percorsi interdisciplinari;

c. l’interazione: con la promozione di interventi da parte di altri enti o istituzioni e l’organizzazione di eventi interculturali;

d. l’integrazione: con la realizzazione di attività didattiche specifiche per gli studenti non italofoni, come i laboratori di italiano L2.

4.1.2 Il concetto di comunicazione interculturale

Con comunicazione interculturale si intende ‘lo scambio di messaggi efficaci’ tra persone dotate di ‘software mentali’ diversi (riprendendo la metafora di Hofstede), legati non solo alle caratteristiche

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individuali ma anche alle diverse lingue e culture (Balboni e Caon 2015). Nello specifico, il termine ‘scambiare’ si associa all’azione di mettere in comune (radice etimologica di ‘comunicare’) dei ‘messaggi’ (composti da linguaggi verbali e non verbali) che devono risultare ‘efficaci’ affinché ogni interlocutore possa raggiungere il suo obiettivo.

L’interesse per la dimensione interculturale della comunicazione si deve al fatto che gli eventi comunicativi (la riunione di lavoro, la telefonata informale, la cena formale ecc.) si sviluppano all’interno di contesti situazionali ben precisi. Questi ultimi sono caratterizzati da ‘grammatiche’ comportamentali implicite, riguardanti le azioni agite e le aspettative sulle azioni altrui, che facilitano la comunicazione se la cornice culturale è condivisa, invece se non lo è rischiano di creare dei problemi interculturali. Se le interpretazioni errate dei comportamenti toccano la dimensione valoriale (legata al rispetto, alla cortesia e alla ‘buona educazione’) il rischio è che si crei un distanziamento profondo e spesso irrecuperabile che conduce al fallimento della comunicazione. Per evitare l’insorgere di questi conflitti è necessario allenare la capacità di osservare le dinamiche comunicative nelle situazioni in cui sono presenti persone di lingue e culture diverse e sviluppare le abilità ‘relazionali’ (descritte nel paragrafo seguente), finalizzate ad incrementare l’efficacia della comunicazione. La comunicazione interculturale, infatti, non si può né insegnare, poiché è una disciplina in costante cambiamento per ragioni interne ad ogni cultura e per gli scambi sempre più frequenti tra le culture (Balboni e Caon 2015), né valutare, perché si tratta di processi ampi e lenti e riguardanti una quantità di potenziali conflitti interculturali di difficile misurazione (indicazioni specifiche sulla valutazione della competenza interculturale si possono trovare in Serragiotto 2016).

4.1.3 Le finalità dell’educazione interculturale e della comunicazione interculturale

In accordo con D’Annunzio (2008: 233), le principali finalità dell’educazione interculturale coincidono con lo sviluppo:

a. delle abilità sociali e dell’intelligenza relazionale;

b. della “transitività cognitiva”, ovvero della capacità di “conoscere e rappresentare segmenti del sapere conosciuti in modo diverso o di conoscere saperi diversi”;

c. della capacità di decentramento;

d. della capacità di comunicare in modo empatico; e. dell’abilità di ascoltare attivamente;

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Queste mete non costituiscono una conoscenza ‘dichiarativa’ legata all’insegnamento e all’acquisizione di contenuti linguistici e culturali, ma una conoscenza ‘procedurale’ relativa alla capacità di comprendere le differenze culturali e di negoziare i significati (Gonçalves Matos 2014). Dalla normativa esaminata sull’educazione interculturale emergono, infatti, i concetti cardine di dialogo, arricchimento reciproco, accoglienza, riconoscimento e valorizzazione della diversità, responsabilità condivisa. In base ad essi è possibile considerare la conoscenza dell’‘altro’ come il punto di partenza per osservare con occhi più consapevoli la propria storia personale, la società in cui si vive e i valori che la caratterizzano. A questo proposito, Tassinari (2002: 14) sostiene che il compito dell’educazione interculturale è quello di promuovere “una capacità di pensiero critico verso la conflittualità fra le culture” e “atteggiamenti, conoscenze e capacità necessarie per essere partecipi di quelle molteplici aperture in direzione interculturale che sono già presenti e che è auspicabile si diffondano più estesamente e con più profonda efficacia formativa”. In totale accordo, Demetrio (2002: 16) ritiene che l’educazione interculturale si basi su una “visione reciprocativa dell’apprendimento”, in quanto “un tema, pur riguardante un destinatario specifico, deve servire a sviluppare saperi, interrogativi, attività didattiche in tutti e per tutti. All’insegna del principio che la conoscenza di chi non conosciamo ancora bene è sempre un’occasione per conoscere di più noi stessi”.

Le sopraccitate finalità si possono realizzare grazie allo sviluppo e al potenziamento delle abilità ‘relazionali’, proprie del modello di competenza comunicativa interculturale (par. 5.2) e mirate ad “aiutare ad evitare equivoci e fraintendimenti comunicativi dovuti alle diverse “grammatiche culturali” e a gestire più efficacemente le situazioni problematiche” (Balboni e Caon 2015: 145). Queste abilità consentono di avvicinare le dimensioni dell’educazione interculturale e della comunicazione interculturale, dato che le finalità della prima convergono nel principale obiettivo della seconda, ovvero lo sviluppo della competenza comunicativa interculturale. Nella precedente definizione di Aguado (2003: 63) (par. 4.1.1), infatti, si evidenza come uno dei principali propositi dell’educazione interculturale sia “lograr (…) la competencia intercultural en todas las personas”. Come indicato da Balboni e Caon (2015), le abilità relazionali che permettono di realizzare gli obiettivi dell’educazione interculturale e della comunicazione interculturale sono:

a. saper osservare (decentramento, straniamento): acquisire la consapevolezza di osservare gli altri attraverso dei ‘filtri’ culturali intra- o interpersonali (pregiudizi e stereotipi) che possono inficiare la comunicazione e sviluppare la capacità sia di decentrarsi, distaccandosi dagli atteggiamenti quotidiani, sia di straniarsi, distogliendosi emotivamente dalla situazione, per poter interpretare l’evento che si osserva da un ‘terzo’ luogo, diverso sia dalla

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propria posizione sia da quella dell’interlocutore. Fondamentale è la restituzione di quanto si è osservato e/o si ha avuto l’impressione di vedere mediante espressioni ‘neutre’ (come “ho visto …”, “mi è sembrato di vedere …” ) affinché gli interlocutori possano relativizzare la propria visione;

b. saper relativizzare: diventare coscienti della lente personale, influenzata dalla formazione valoriale e culturale ricevuta, attraverso la quale si osserva il mondo e della conseguente incompletezza del proprio sguardo sulla realtà per ricercare nuove opportunità di confronto e chiarire il significato dei comportamenti che inizialmente non si è in grado di decifrare. In questo modo è possibile non assolutizzare il relativismo, tipico delle situazioni multiculturali, e aprirsi al cambiamento, che contraddistingue invece i contesti interculturali; c. saper sospendere il giudizio: acquisire la capacità di resistere alla tendenza umana di classificare rapidamente oggetti, persone ed eventi, per non essere esposti a circostanze che possono mettere in crisi le certezze, e di sopportare il dubbio, per contrastare le visioni semplicistiche e pregiudiziali a favore di riflessioni approfondite sulle esperienze vissute; d. saper ascoltare attivamente: abbandonare la dicotomia ‘giusto/sbagliato’ e usare le strategie

comunicative come il riassunto, la riformulazione e la parafrasi per chiarire i significati dei messaggi trasmessi e ascoltati, con la consapevolezza degli impliciti culturali che caratterizzano la comunicazione e con la volontà di capire le ragioni dei pensieri e delle azioni altrui che inizialmente possono sembrare irrazionali o inaccettabili (Sclavi 2005); e. saper comunicare emotivamente (empatia, exotopia): diventare consapevoli della proprie

emozioni e sviluppare l’abilità di decentrarsi emotivamente attraverso l’empatia, ovvero la partecipazione allo stato emotivo dell’interlocutore mediante la ricerca interiore di esperienze di vita simili grazie alle quali potersi immedesimare, e l’exotopia, ovvero il riconoscimento della propria diversità rispetto agli altri;

f. saper negoziare i significati: acquisire la capacità di confrontare i propri significati con quelli dell’interlocutore a livello razionale ed emotivo per valutare se e come accoglierli pienamente, accettarli parzialmente o rifiutarli tout court.

Considerate le finalità dell’educazione interculturale e della comunicazione interculturale, la negoziazione dei significati appare come la dimensione privilegiata dell’interculturalità. Come scrive Luatti (2009: 51), “le culture non orientano in maniera deterministica il contatto tra gli individui. Cultura e identità sono (…) costituzionalmente entità relazionali”. Grazie all’esercizio delle abilità relazionali è possibile acquisire una consapevolezza più approfondita su se stessi dalla prospettiva degli altri e sugli altri dalla prospettiva personale per la maggiore attenzione agli

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impliciti culturali che rischiano di compromettere la comunicazione. A tal proposito, Favaro (2002b: 112) afferma:

Noi comprendiamo noi stessi – la nostra cultura – solo entrando in relazione con gli altri. Come ciascuno di noi è costruito dallo sguardo di coloro che ci circondano, così la storia della nostra società è illuminata dalla storia delle società con cui essa è entrata in contatto. La consapevolezza delle nostre appartenenze diventa dunque esplicita nell’interazione con gli altri che ci sollecitano a definirci e a confrontarci.

In totale accordo, Frabboni e Pinto Minerva (2013: 355) sostengono che “l’identità (singola e dei gruppi) (…) è sempre un evento intersoggettivo e interculturale, nel senso che si costruisce e si struttura nell’interazione con l’alterità. L’altro, infatti, ci aiuta a riconoscerci nella nostra unicità e, pertanto, nella nostra stessa differenza”.

Centrale è la nozione di “cultura di appartenenza” (Balboni e Caon 2015: 157), in base alla quale la cultura di ciascun individuo corrisponde alla reinterpretazione soggettiva delle norme, dei valori e dei costumi della società in cui si nasce e si cresce, non si può definire in modo univoco e concluso ma si struttura e ristruttura continuamente attraverso le relazioni con gli altri. A tal riguardo, Luatti (2009: 51) ritiene che “l’intercultura insiste, non sulle “culture” che sono in gioco e sulle supposte differenze degli altri, ma sul prefisso inter, sullo spazio che sta nel mezzo, che si colloca nel territorio dell’incontro e delle possibilità di interazione”.

Poste le definizioni di educazione interculturale e di comunicazione interculturale e l’indicazione delle relative finalità, dato che in molte realtà scolastiche le due discipline si tendono a confondere per i numerosi punti di contatto sopradescritti, riteniamo necessario ribadire la differenza basilare che le caratterizza. Da un lato, l’educazione interculturale rimanda all’educazione, corrisponde ad un processo caratterizzato dalle tre mete educative riguardanti la cultura, la società e la persona (par. 3.1.2) e mira a creare forma mentis. Dall’altra, la comunicazione interculturale rimanda alla comunicazione, corrisponde ad un fenomeno inserito in un evento comunicativo e mira ad insegnare ad osservare la comunicazione tra persone di lingue e culture diverse. Un corso di comunicazione interculturale, pertanto, può avere dei risvolti educativi, ma il suo scopo non è quello di ‘aprire la mente all’intercultura’ (nonostante questo possa rappresentare un sottoprodotto molto positivo), bensì di insegnare ad evitare i punti critici nella comprensione, nella produzione e nell’interazione.

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4.2 Le intersezioni tra educazione letteraria, educazione interculturale e comunicazione