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Educazione letteraria ed educazione linguistica

3.1 Educazione linguistica

In questo paragrafo forniamo una sintetica presentazione del concetto e delle finalità dell’educazione linguistica, rimandando alla bibliografia di riferimento per ulteriori approfondimenti44.

3.1.1 Il concetto di educazione linguistica

Il concetto di educazione linguistica ha origini più antiche di quello di educazione letteraria ed è probabilmente utilizzato per la prima volta nella seconda metà dell’Ottocento dal filologo Francesco d’Ovidio (Lo Duca 2003). Con certezza si può affermare che questo concetto è introdotto agli inizi del Novecento dal pedagogista Giuseppe Lombardo Radice ed è poi riformulato nella metà degli anni Settanta con la distinzione tra la lingua ordinaria, focus dell’educazione linguistica, e la lingua letteraria, determinando così la nascita della disciplina dell’educazione letteraria (par. 2.1).

44 Il paragrafo 3.1 è tratto e adattato, con le opportune integrazioni, da Caon e Spaliviero (2015a). Per approfondire gli

studi sull’educazione linguistica più recenti rimandiamo, ad esempio, a Balboni (2008, 2009, 2011, 2012, 2014a, 2017,

2018a); Lo Duca (2003); Giscel (2007); Cardona (2010a); Mezzadri (2015); Caon (2016a); Serragiotto (2016); Santipolo e Mazzotta (2018).

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Rispetto alla struttura della scuola italiana, fino alle Dieci Tesi per l’educazione linguistica

democratica del GISCEL (1975) il concetto di educazione linguistica si riferisce esclusivamente

all’insegnamento dell’italiano come lingua nazionale (per la maggior parte degli studenti non è ancora la lingua materna). Con la riformulazione degli anni Settanta, invece, passa a significare l’educazione generale di tutte le lingue presenti a scuola, che in quegli anni sono l’italiano come lingua nazionale/materna, le lingue straniere, le lingue classiche e, in alcune province, anche le lingue minoritarie (l’italiano come seconda lingua non rappresenta ancora una necessità, poiché dall’Italia si emigra e non ci sono immigrati). In alcuni casi, come nei Nuovi programmi della

scuola media del 1979 (testo che sancisce la rivoluzione glottodidattica in Italia), l’educazione

linguistica è proposta anche nell’accezione di educazione ai linguaggi (verbali, artistici e musicali). Sul piano specificatamente glottodidattico, il riferimento al concetto di ‘educazione’ in ordine alla lingua determina il superamento dei modelli formalistici (grammatico-traduttivi) e neo- comportamentisti (strutturalistici) e conduce alla nascita della glottodidattica moderna, ovvero della disciplina che si occupa della didattica delle lingue, di cui l’educazione linguistica rappresenta il principale oggetto di studio (Balboni 2012).

Ad oggi, pertanto, con educazione linguistica si intende:

[…] l’azione che mira a far emergere la facoltà genetica caratterizzante del homo loquens, la facoltà di linguaggio – cioè la capacità spontanea di acquisire non solo la lingua nativa e le altre lingue presenti nell’ambiente in cui si cresce, ma anche altre lingue nel corso della vita – acquisizione piena o parziale che sia (Balboni 2012: 5).

Alla base del concetto di educazione linguistica c’è quello di ‘educazione’, che rappresenta il punto di partenza per la definizione delle sue principali mete.

3.1.2 Le finalità dell’educazione linguistica

Con ‘educazione’ ci si riferisce ad un processo formativo e significativo finalizzato al raggiungimento delle tre mete educative di:

a. culturizzazione: riguarda il rapporto tra la persona e i gruppi linguistico-culturali con cui le vicende della vita personale la conducono ad interagire. La culturazione riguarda sia l’inculturazione nella propria cultura materna sia l’acculturazione negli ambienti culturali non nativi, per poter essere accettati come membri di quei gruppi. A partire dagli anni Novanta si è definita progressivamente la dimensione di studio della comunicazione

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interculturale (cap. 4), dedicata specificatamente all’interazione tra persone appartenenti a culture diverse che molto spesso usano una lingua franca totalmente deculturalizzata per comunicare (il greco e il latino delle due macroaree dell’Impero Romano, il latino nel Medioevo, il francese nel Sette-Ottocento, i vari creoli e l’inglese internazionale oggi); b. socializzazione: si rivolge alla relazione tra la persona e i propri simili. Ogni persona

consapevole dei principi culturali della propria e delle altrui culture può sviluppare con maggiore efficacia il processo di socializzazione, che le consente di realizzare i propri obiettivi umani e di interagire in modo autonomo nella società in cui vive;

c. autopromozione: si riferisce al rapporto tra la persona e se stessa ed è finalizzato alla realizzazione di sé. Come affermano Colombo e Guerriero (2001: 44), a livello emotivo la padronanza linguistica “arricchisce la consapevolezza di sé attraverso il confronto con le esperienze altrui e la capacità di esprimere le proprie, contribuendo così alla maturazione dell’individuo”.

Per sintetizzare le sopraccitate finalità, a continuazione riportiamo uno schema tratto e adattato da Balboni (2012: 65), basato sugli studi di Titone e Freddi degli anni Sessanta e Settanta e riferito alla prospettiva italiana.

Relazione di ogni persona

ne derivano la finalità educative di:

ne deriva un insegnamento linguistico che permette alla persona di:

io e il mondo, gli ‘altri’

culturizzazione essere accettata nei gruppi linguistici e culturali non nativi dove vuole o deve vivere. Possono corrispondere alla comunità italiana del Paese straniero, all’Italia, alle aziende o alle istituzioni italiane nel mondo.

io e i diversi ‘tu’ con cui convivo, collaboro e con- sento

socializzazione stabilire dei rapporti con italiani e/o oriundi delle comunità italiane nel mondo e perseguire i propri fini affettivi, sociali, culturali e professionali senza problemi linguistici né comunicativi nelle lingue diverse da quella nativa.

io con me stesso autorealizzazione,

ovvero realizzare il progetto di sé, e autopromozione, che include anche il ri-progettarsi, nella logica dinamica del ‘muovere in avanti’.

realizzare il proprio progetto di vita senza che la mancata padronanza della lingua italiana rappresenti un ostacolo.

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Oltre all’attenzione ai codici verbali della lingua, la disciplina dell’educazione linguistica corrisponde alla più ampia conoscenza di un “complesso di strumenti comunicativi, verbali e non verbali, che agiscono in uno spazio culturale e secondo regole non solo linguistiche ma anche sociali” (Balboni 2008: 13).

Per ciò che concerne la lingua come ‘complesso di strumenti comunicativi verbali’, esistono diverse accezioni riguardanti la sua conoscenza ed il suo insegnamento, corrispondenti ad altrettanti settori della glottodidattica. La lingua può identificarsi con un ‘mezzo per raggiungere scopi’ (pragmalinguistica), indicare un ‘rapporto di ruolo sociale’ e l’‘appartenenza a un gruppo’ (sociolinguistica), essere ‘forma’ (nei diversi piani formali di fonologia, grafemica, morfologia, sintassi, lessico e testualità), definirsi ‘espressione di una cultura’ (etnolinguistica) e, infine, rappresentare uno ‘strumento del pensiero’ (nei termini di concettualizzazione) e uno ‘strumento di espressione’ (a livello estetico).

Per quanto riguarda la lingua come ‘complesso di strumenti comunicativi non verbali’, con questa espressione si indica l’insieme dei codici usati per integrare, rafforzare, contraddire o sostituire il contenuto verbale della comunicazione. I linguaggi non verbali appartengono a quattro differenti dimensioni: la cinesica (le espressioni visive, i gesti, i movimenti corporei), la prossemica (la distanza interpersonale), la vestemica (la scelta dei capi d’abbigliamento da indossare), l’oggettemica (il ruolo degli oggetti da utilizzare come status sociale).

Infine, per quel che attiene allo ‘spazio culturale’ e alle ‘regole sociali’ in cui e secondo cui si utilizzano gli strumenti comunicativi verbali e non verbali della lingua, l’educazione linguistica si occupa anche della lingua in uso, ovvero della lingua come strumento d’azione, che agisce in determinate situazioni sociali e in precise circostanze culturali con il fine di realizzare gli scopi di chi parla.

L’educazione linguistica, pertanto, si connota come una disciplina complessa che analizza la lingua sotto diverse prospettive. Al di là della riflessione strettamente formale, infatti, la pragmalinguistica e la sociolinguistica approfondiscono la natura pragmatica e sociale della lingua e la sociolinguistica e l’etnolinguistica si focalizzano sul rapporto tra la lingua e le realtà sociali e culturali in cui essa si utilizza, fornendo tutte un rilevante contributo alla disciplina.

Gli strumenti di comunicazione, riguardanti la conoscenza dei codici verbali, non verbali e della lingua in uso, definiscono la conoscenza della lingua in senso più ampio e rappresentano le competenze mentali necessarie per raggiungere la macro-finalità dell’educazione linguistica. Oltre alle tre mete educative sopraindicate, infatti, il principale obiettivo glottodidattico dell’educazione linguistica corrisponde allo sviluppo della competenza comunicativa, il cui modello sarà successivamente presentato (par. 5.1).

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Per concludere, a partire dal concetto di educazione linguistica come abilità naturale di acquisire molteplici lingue (materne, seconde, straniere, etniche e classiche) e dalle principali mete di culturizzazione (io e il mondo), socializzazione (io e te) e autopromozione (io e me stesso), l’educazione linguistica si può intendere come sinonimo di “educazione alla pace” (Dolci 2018: 33). Sulla base della lezione di Freddi, secondo Dolci (2018) l’insegnamento delle lingue comporta delle implicazioni etiche riguardanti la diplomazia culturale, la promozione dell’immagine di un Paese all’estero e la formazione dell’individuo come cittadino del mondo e sono mirate alla comprensione e al rispetto tra i popoli, in particolare nei contesti di coesistenza tra diverse lingue e culture.