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L’educazione e la mediazione nei musei: vecchi confini e nuove prospettive »

Valeria Pica, Commissione Educazione e mediazione, ICOM Italia

La mediazione museale è lo strumento principale di conoscenza sia delle collezioni sia della struttura museo ed è caratterizzata da due poli tanto com- plessi quanto complementari: i pubblici e i professionisti. Senza i suoi visitatori un museo non ha possibilità di comunicare e perde parte della sua utilità socia- le, ma senza un mediatore un museo è privo di uno degli strumenti per parlare di sé e arrivare al cuore e alla mente dei visitatori.

Negli scorsi decenni si è prestata molta attenzione ai pubblici, ai loro biso- gni, alle loro caratteristiche e alle tipologie di attività che potevano riscontrare interesse e favore per accrescere l’attrattività del museo. Definire la fisionomia dei pubblici è stato, ed è ancora, un elemento importante per riuscire a coin- volgerli e interagire nel modo più naturale e fruttuoso, facendo percepire il museo non solo come un tempio, ma come un foro dove la conversazione, la conoscenza e la partecipazione sono elementi fondamentali per la condivisione della memoria collettiva e culturale. Lo studio e l’analisi dei pubblici, quindi, hanno focalizzato l’attenzione sulle modalità e sulle attività di coinvolgimento, ma non altrettanto sui professionisti che tali modalità e attività sono chiamati a mettere in pratica.

ICOM Italia ha avviato sin dal 2005 uno studio approfondito sulle profes- sioni museali in cui si cerca di definire il ruolo e le competenze di un mediato- re, in assenza di una specifica normativa nazionale. Alla Carta nazionale delle

professioni museali1 è seguita una revisione nel 2015 che mira a esaminare le nuove esigenze e necessità del museo e dei professionisti che vi lavorano. No- nostante ciò, è ancora evidente il ritardo e il mancato dialogo tra musei, univer- sità e ministero al fine di individuare percorsi di studi e possibilità di crescita professionali per chi voglia intraprendere la strada della mediazione nei musei.

Da qui il bisogno e la volontà di conoscere le attività che possono meglio coinvolgere i pubblici e, dall’altro, la necessità di individuare politiche culturali

1 Per approfondire il tema delle professioni museali condotto da ICOM Italia e scaricare il Manuale

che possono e devono essere messe a disposizione di chi opera in questo settore. Per questo motivo mi piace riflettere sui confini della mediazione: il termi- ne confine definisce un recinto all’interno del quale ci si trova e questo confine può essere fisico, mentale, culturale, geografico; mentre la frontiera indica sì una separazione, ma un limite che può essere valicato, che non ci circonda. Una frontiera, come quella tra paesi, si supera spostandosi fisicamente; un con- fine può essere più difficile da valicare. Soprattutto quando si tratta di confini culturali, mentali, linguistici o, ciò che ritengo sia il confine più pericoloso per i musei, un confine tematico.

L’ambito disciplinare ha segnato una parte della storia dei musei ed è servi- to a creare una disciplina utile allo studio e alla comprensione dei musei stessi. Com’è noto, però, ogni categorizzazione è frutto di un lavoro di analisi fatto a posteriori per dare organicità a una disciplina; il problema è che in questo modo è stato tradito in un certo senso lo spirito insito nel luogo dedicato alle Muse in cui le arti si armonizzano e si combinano insieme. Il confine temati- co o disciplinare è quello da superare nei musei del XXI secolo per riuscire a parlare di loro stessi con i pubblici. Chi si occupa di educazione al patrimonio culturale sul campo sa che i livelli di interpretazione di un singolo oggetto o di una storia sono molteplici e la mediazione per sua natura è multidisciplinare e interdisciplinare; un racconto che faccia vivere un’opera (di qualsiasi natura e tipo) attraverso le parole necessita approcci e competenze diverse e per questo motivo è fondamentale porre l’attenzione sulla formazione e sull’aggiornamen- to professionale dei mediatori perché entrano in gioco molteplici fattori quali l’arte della narrazione, la storia culturale e sociale, ma anche e soprattutto la capacità di una trasmissione empatica dei significati.

Per trasmissione empatica dei significati intendo la predisposizione a en- trare in contatto con i pubblici adottando tecniche di comunicazione appro- priate alle specifiche necessità, attitudini all’accoglienza, approcci volti all’ac- cessibilità cognitiva, culturale e sensoriale che facilitino la comprensione dei significati specifici delle collezioni museali. Oltre tutte le informazioni scien- tificamente corrette bisogna anche trovare la modalità di comunicazione che possa ricondurre l’oggetto o il racconto alla quotidianità, all’esperienza vissuta per creare un contatto e fornire una chiave d’accesso ai pubblici. Quindi, di là della specificità del museo (artistico, archeologico, scientifico, naturalistico, ecc.), gli elementi da considerare sono multiformi e richiedono un percorso di studio e formazione dedicato che non si esaurisce con un corso triennale, ma necessita un costante approfondimento e aggiornamento.

Parlando di empatia voglio soffermarmi su un elemento fondamentale dell’esperienza museale: l’emozione. Le emozioni possono determinare o mo- dificare il ricordo che conserviamo e far vivere un momento di benessere nel museo diventa un altro elemento da prendere in considerazione. Il benessere non è da intendere o confondere con attività ricreative tout court, ma con at- tività che generino benessere intellettuale e sociale anche ponendo domande, facendo riflettere e stimolando la conversazione e la riflessione su vari aspetti

della quotidianità. In sintesi, si tratta di progettare e sviluppare attività ludifor- mi, e non solo ludiche, che portino con loro un contributo alla conoscenza in forma giocosa. La dimensione ludiforme può essere vincente sulle altre perché determina una conseguenza non marginale nell’atteggiamento dei visitatori. Infatti, alleggerendo il tono dell’esperienza museale e liberando il linguaggio da eccessivi tecnicismi si determina una maggiore apertura all’ascolto e alla condivisione del sapere. È da garantire la correttezza scientifica del messag- gio anche attraverso un ragionamento speculativo sotto forma di dialogo che verta al coinvolgimento del pubblico per arrivare a creare una nuova tipologia di visita museale che si potrebbe definire comunicazione ludiforme perché porta in sé le caratteristiche della dimensione dialogica (interazione, stimolo alla comprensione, procedimento speculativo e dimensione euristica) e quelle della dimensione ludiforme (acquisizione di nuove conoscenze e competenze attraverso forme di esperienza cognitiva partecipata e condivisa).

Da quanto scritto finora, deriva che l’esperienza vissuta dell’arte tiene in considerazione due aspetti complementari: da un lato l’emozione e dall’altro la conoscenza. Infatti, l’esperienza estetica e l’esperienza cognitiva concorrono a creare l’esperienza museale. L’esperienza estetica si configura come trasfor-

mazione che svela nuovi orizzonti in una dimensione altra rispetto alla vita ordinaria in cui la percezione si definisce nell’ambito dell’Erlebnis, esperienza vissuta2.L’esperienza cognitiva provvede strumenti di interpretazione e com- prensione fornendo gli elementi conoscitivi necessari per creare inferenze e sviluppare un gusto personale attraverso un processo di significazione. L’intrec- cio di queste due tipologie esperienziali può condurre a un arricchimento per- sonale e sociale, nell’avanzamento progressivo della costruzione dell’individuo come singolo e come parte di una comunità recuperando il valore identitario del museo.

Le arti erano in passato funzionali a uno scopo unitario, pittura e scultura erano organicamente unite all’architettura, così come quest’ultima era unita allo scopo sociale a cui servivano gli edifici. Musica e canto erano parti in- trinseche di riti e cerimonie in cui veniva celebrato il significato della vita di gruppo e la recitazione era una riproposizione vitale delle leggende e delle storie della vita di gruppo. Da qui deriva il concetto di imitazione della vita e che l’arte fin dai Greci sia stata identificata come un atto di riproduzione della vita in quanto riflessione delle emozioni e delle idee associate alle istituzioni principali della vita sociale3.

Se ne deduce che solo l’ignoranza induce a supporre che una connessione dell’arte e della percezione estetica con l’esperienza comporti necessariamente la diminuzione della loro significatività e della loro dignità. L’esperienza, nella

2 ligozzi, MaStandrea, Esperienza e conoscenza del museo, Indagine sui visitatori della Galleria Nazio-

nale d’Arte Moderna e contemporanea, Milano, Electa, 2008.

misura in cui è esperienza, è vitalità intensificata e fornisce l’unica dimostrazio- ne di una stabilità che non è stagnazione, ma è ritmica e in evoluzione. L’espe- rienza, quindi, è arte in germe perché contiene in essa la promessa di quella percezione piacevole che è l’esperienza estetica.

L’analisi di Dewey chiarisce bene come il prodotto dell’attività umana in campo artistico abbia attraversato periodi di grandi rivoluzioni teoriche, ma che sia sostanzialmente legate sempre all’esperienza che l’artista può compiere nella vita quotidiana. Dal momento in cui non c’era separazione tra utilità e artisticità al momento in cui la specificità e l’individualismo sono divenuti tratti essenziali per riconoscere un prodotto artistico tutto è sempre passato dal va- glio dell’esperienza personale.

Un’opera d’arte esposta in un museo e di conseguenza il museo stesso acquistano col trascorrere del tempo un’aura speciale che è possibile rievocare ogni volta che ci si trova in contatto con essi e coinvolti in un’esperienza di “risonanza emozionale4”. L’aura fa dell’opera un capolavoro e ciò la rende quasi avulsa dal trascorrere del tempo e soprattutto dal vissuto di chi la osser- va, ma un aspetto molto importante della mediazione culturale risiede proprio nella capacità di testimoniare l’unicità dell’opera a prescindere dalla sua aura. Prendendo spunto e ribaltando l’opera di Benjamin (1966), si potrebbe quindi individuare nella dimensione sacrale di un’opera il limite di comunicazione che può determinare una mancata comprensione e di conseguenza un apprez- zamento puramente estetico, ma non complessivo. Sarebbe possibile, invece, bilanciare gli elementi della comunicazione di un’opera mantenendo parallele le dimensioni relative all’essenza dell’arte e alla sua ricaduta nella vita quo- tidiana, considerando che la mediazione di un’opera d’arte attraversa alcune fasi di elaborazione che passano necessariamente dalla connessione tra la vita dell’artista, la vita dell’opera, la vita del museo che la ospita e la vita del fruitore con tutte le sue esperienze pregresse. La mediazione, quando operata da un operatore didattico e non da altri strumenti utilizzati dal museo, necessita di un altro elemento fondamentale, vale a dire la compartecipazione in modo tale che la visita al museo possa avere inizio da un momento empatico per giunge- re ad un livello di condivisione più articolato e gratificante. Tenendo presenti gli aspetti più rilevanti dell’esperienza estetica si può tracciare con Berruti un percorso psicopedagogico da applicare alla visita museale in cui convergano tre elementi relativi alla risonanza emozionale: accoglimento, compartecipa- zione, identificazione. Per accoglimento psicologico s’intende l’apertura e la disponibilità che il fruitore pone nell’osservazione di un’opera per giungere a comprenderla; la compartecipazione emozionale, invece, può essere istintiva o indotta e serve a destare attenzione e curiosità in modo da attrarre il fruitore su

4 Berruti, Gli aspetti neuro-pedagogici dell’esperienza estetica. In MaSini, Celani, Educare all’arte. Ri-

flessioni intorno all’esperienza estetica. Atti del corso di aggiornamento per gli insegnanti, Firenze,

aspetti specifici dell’opera; infine, l’identificazione culturale e quindi la ricrea- zione del contesto sociale dell’opera per storicizzarla e renderla concreta, più vicina all’esperienza personale. A questo punto si delinea l’esperienza estetica come primo passo verso la comprensione dell’opera d’arte che sarà poi integra- ta e completata dall’esperienza educativa e ne deriva che il museo possa costi- tuire un traino per l’apprendimento in ogni fase della vita giocando proprio sul doppio ruolo di evocatore di meraviglie e curiosità da un lato e detentore delle conoscenze e della storia dall’altro. Il museo può riuscire, quindi, nel doppio ruolo essendo capace di suscitare interesse e curiosità e al tempo stesso di sod- disfarli sia da un punto di vista emotivo che cognitivo perché «l’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile5» tutto il tessuto di esperienze, emozioni ed eventi che hanno condotto un artista a realizzare una determinata opera. Ciò di cui si necessita è la chiave di lettura più idonea al pubblico affinché tali rela- zioni vengano rese evidenti, visibili. Il passo successivo consiste, quindi, nella comprensione del “funzionamento simbolico dell’opera d’arte ovvero la sua specifica virtù di costituire [...], attraverso il medium del linguaggio estetico di volta in volta scelto dall’artista, una continua occasione di riaccendere la nostra intelligenza del mondo, di riaccenderla, appunto, esteticamente6”.

Nell’analisi dell’esperienza estetica rispetto all’esperienza educativa al mu- seo si è giunti all’osservazione che l’emozione può costituire il punto di parten- za per scaturire interesse e curiosità da colmare e appagare con la conoscenza, ma il dato emozionale è un supporto ancor più evidente quando la meraviglia del visitatore si associa e si fonde con l’entusiasmo e la passione di una me- diazione che riesca a dare voce a questi sentimenti. Tale mediazione sembra funzionare in modo più diretto e coinvolgente con la conduzione e la guida di un operatore museale esperto, che risulta ancora essere il medium più efficace per la trasmissione del significato del museo. La mediazione siffatta richiede un’adeguata preparazione e non può basarsi su un modulo precostituito da ripetere meccanicamente, affinché chi conduce la narrazione possa anche spo- stare chi segue verso nuove forme di visione e comprensione7.

Nella conduzione di una visita museale la disponibilità all’ascolto dei visitatori è direttamente collegata all’adeguatezza del linguaggio utilizzato. Una retorica eccessivamente carica di tecnicismi e termini forbiti può al tempo stesso affascinare o allontanare il pubblico, perché “la lingua può paragonarsi a una sinfonia la cui realtà è indipendente dal modo in cui la si esegue8”e proprio per tale ragione è fondamentale creare una base di conoscenza condivisa

5 klee, “Confessione creatrice”. In Teoria della forma e della figurazione. Lezioni, note, saggi raccolti

ed editi di J. Spiller, Milano, Feltrinelli, 1920.

6 deSideri, Senso e funzione dell’opera d’arte. In MaSini, Celani Educare all’arte. Riflessioni intorno all’e-

sperienza estetica. Atti del corso di aggiornamento per gli insegnanti, Firenze, Edizioni Polistampa,

2007.

7 iSaia, “La visita guidata: modelli, varianti, criticità” La Nuova Museologia, 2005, 13, 28–31. 8 de SauSSure, Corso di linguistica generale, Bari, Laterza, 2007.

che costituisca il minimo comun denominatore dei destinatari. Seguendo una suggestione di Paolo Virno9, ripresa dall’opera di De Saussure, si può ritenere che l’operatore museale in quanto parlante sia un artista esecutore dato che considerando la lingua come una sinfonia, il parlante condivide le prerogative dell’esecutore poiché l’attività linguistica nel suo complesso non è produzione o cognizione, ma azione. L’azione che ne deriva è quindi performativa, poiché non si dice solo qualcosa ma la si fa e, nel caso della descrizione di un’opera d’arte, la si rende a nuova vita e la si fa parlare, le si dà voce. In definitiva, l’azione svolta dall’operatore è quella di mediare tra le domande che il pubblico si pone e le risposte che l’opera può offrire attraverso il racconto. Tale processo può risentire di una certa ritualità che viene dalla ripetizione del racconto, ma può anche essere suscettibile di nuovi spunti comunicativi ed interpretativi se si crea il nesso emozionale tra operatore e pubblico. É decisivo, quindi, che l’approccio iniziale al museo e all’opera sia caratterizzato da un rapporto di fiducia e dalla

partecipazione alla costruzione del percorso educativo per giungere ad una reale

compartecipazione. Il mediatore, come portatore della voce del museo, dovrebbe comunque tener presente che la mente ha bisogno di essere nutrita di immagini e la sua funzione può essere paragonata anche a quella di un illustratore che ordini e riporti una serie di caratteristiche, in primis la pluralità della visione. Al tempo stesso dovrebbe riuscire a far convergere sguardi diversi rappresentando l’opera nella sua interezza senza comprometterne la storia, il messaggio e il significato. La funzione del mediatore è, quindi, di sostegno e sviluppo: sostegno nei processi di comprensione e conoscenza, sviluppo nei processi legati all’immaginazione, alla capacità di inferire e costruire nuovi percorsi tematici e formativi.

È da considerare, inoltre, la connaturata polisemia del museo in cui gli og- getti stessi che rivestono un doppio ordine di valore: autonomo o subordinato alla collezione. Autonomo perché sono oggetti polisemici indipendentemente dal museo in cui sono collocati, tant’è che continuano a esercitare il loro fa- scino e attirare l’interesse e l’attenzione del pubblico anche quando si trovano al di fuori dell’istituto (è il caso delle mostre temporanee in cui oggetti pro- venienti da collezioni diverse si trovano a dialogare tra loro attraverso nuovi codici e nuove dinamiche). Questi oggetti conservano una storia individuale, sono portatori di valore storico, culturale e materiale (per le competenze tec- niche che ne sottendono la forma e l’esecuzione) e agiscono nel museo come protagonisti o gregari nel significato più ampio della collezione. Infatti, il loro ruolo subordinato si evince nella relazione che intessono le opere tra di loro, nella capacità di instaurare un dialogo che sia tra pari sia tra ordini gerarchici differenti. In entrambi i casi, il significato che le opere acquistano nel corso del tempo è derivato dalla loro nuova contestualizzazione all’interno del museo.

L’esperienza che si matura al museo è determinata principalmente da due elementi: emozione e conoscenza. L’esperienza veicola la memoria delle espe-

rienze vissute favorendone o inibendone il ricordo cui si aggiungono altre va- riabili legate alla visita museale legate alle condizioni esterne presenti in quel momento nel muso: il rapporto tra spazio della collezione e affluenza, tempo disponibile per la visita e conoscenza pregresse del visitatore 10.

Il concetto di mediazione, quindi, implica una problematica epistemolo- gica di approfondimento delle conoscenze. Uno degli scopi dell’educazione museale è aiutare a capire le opere, ma anche e soprattutto a capire di aver capito. I sensi maggiormente interessati nella visita museale sono la vista e l’u- dito e partendo dall’elemento visivo, dall’immagine, che l’esperienza comincia ad albergare e poi svilupparsi nel visitatore. La vista è il senso più preciso, dal momento che abbraccia un campo più ristretto rispetto all’udito, risulta più sicura11 e per questo ci si sofferma su di essa.

L’elemento centrale del discorso è, quindi, l’immagine che “muove, com- muove ed emoziona12” e può comunicare di per sé anche sentimenti profondi che a volte la mediazione non è in grado di interpretare (e forse non deve neanche interpretare). È utile considerare a questo punto che la pervasività delle immagini impone una riflessione sul modo di relazionare l’esperienza visiva che si compie nel museo e il bagaglio di immagini che rappresentano il portato del visitatore; può essere molto efficace mantenere sempre costante il confronto tra questi due elementi per stimolare la comprensione avvicinandosi al pubblico. La linea di demarcazione tra esperienza estetica e cognitiva, che a volte impedisce una consapevole fruizione del museo, non dovrebbe rappre- sentare un ostacolo alla comprensione, perché non c’è una reale separazione tra i due ambiti. Nell’esperienza museale consapevole (quella in cui sia emo- zione che intelletto sono sollecitati e soddisfatti) non esiste una scissione, l’una non oblitera l’altro e viceversa.

Per giungere a una esperienza museale completa in cui si valichino le barriere conoscitive e i confini di ogni natura, bisogna dedicare percorsi spe- cialistici di formazione e aggiornamento a chi voglia avvicinarci a questa pro- fessione. È necessaria una visione comune e condivisa per la formazione degli educatori museali che metta in relazione le esigenze del museo con l’offerta dell’università e le indicazioni del ministero. Diventa così vitale il dialogo tra museo, università, accademia e ministero affinché il sapere non sia più parcel- lizzato in compartimenti isolati, ma ritorni a essere il centro dell’elaborazione e la creazione di senso. La capacità di rappresentare, raccontare, emozionare e ricreare dovrebbe essere il punto di partenza per una visione complessa e