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Pedagogia del patrimonio e sviluppo locale »

Un bene culturale può essere un attrattore turistico e quindi essere un’opportunità economica, ma è fondamentale il processo di valorizzazio- ne, ossia se questo riesce ad essere elemento di un progetto socialmente condiviso di un modello di turismo relazionale20. Questa forma di turismo, in essenza differente dal turismo di massa, mordi e fuggi, si regge sulla consapevolezza di un territorio, della peculiarità delle sue risorse culturali, che, proposte in forme opportune al mercato, riescono ad attrarre un’utenza interessata a vivere un’esperienza culturale a tutto tondo, che voglia entrare in contatto con la comunità quale espressione di qualità umane, valori e sim- boli specifici. La comunità stessa, nel suo complesso, diventa risorsa, poiché si propone alla relazione con il turista, che è chiamato a integrarsi, sia pure provvisoriamente, con l’ambiente che lo ospita, in un confronto-incontro (al limite in uno scontro), che sicuramente crea opportunità di apprendimento sia nella comunità che nel turista.

Si coglie abbastanza facilmente l’importanza di un intervento di pedago- gia di comunità nel sostenere un processo per il quale la comunità diventa competente e capace di gestire un progetto di sviluppo locale, che nel mentre lavora sul rafforzamento dell’identità locale, le offre le ragioni di uno scambio produttivo con l’esterno, ricavando da ciò anche significative ricadute econo- miche. C’è sviluppo locale se la comunità incrementa le sue capacità di auto- organizzazione. L’innovazione tecnologica può ausiliare tali processi di auto-or- ganizzazione. Per agevolare i processi, c’è bisogno di sostegno educativo, che, aiutando la comunità a prendere consapevolezza delle proprie potenzialità, promuove empowerment, senza il quale non può prodursi auto-organizzazione.

Affinché un territorio possa essere fatto oggetto di attenzione da parte di individui non appartenenti alla comunità, è indispensabile che esso si comu- nichi, cioè trovi il modo di dirsi, raccontarsi appropriatamente. Ciò è possibile se si instaura nella comunità un processo di riflessione sulla memoria, sulle peculiarità, sulle potenziali ragioni di interesse per gli eventuali interlocutori, è indispensabile un’operazione di delocalizzazione del punto di vista. Questo

motivazione più propria. La ricerca-azione ha una sua deontologia che consiste nella necessità di pre- vedere le conseguenze delle azioni messe in atto e nella derivata esigenza di mettere sotto controllo il processo attraverso opportuni sistemi di monitoraggio e valutazione. La ricerca-azione è inoltre un’attività di ricerca fondata sul gruppo, nel senso che è messa in atto da un gruppo con lo scopo di incidere sui processi culturali e sociali. “Attraverso la formazione di un gruppo particolare, qual è quello della ricerca-azione, e le dinamiche che esso pone in atto, si sviluppano sistemi di discorsi e di condotte i quali sono il risultato di variegati e complessi fenomeni sociali che le stesse persone elaborano al proprio interno. In tal modo il conoscere e il capire qualcosa non è soltanto il risultato di un percorso individuale, bensì è in parte la conclusione di un percorso frutto delle aspirazioni, dei

desideri, dei progetti, della ricerca di strumenti per progettare e per controllare l’azione” (troMBetta

& roSiello 2011, 10-11).

processo è il primum del lavoro di ristrutturazione culturale della comunità: è un salto logico indispensabile.

Spesso la valorizzazione di un territorio è operazione che avviene per una decisione che lo investe ab-aesterno, per decisione dell’attivismo di un politico, che a tavolino, col concorso di agenzie di comunicazione e di marketing, porta quel territorio sul mercato del turismo di massa, bisognoso di novità da consu- mare e quindi ben disposto ad accogliere offerte che solleticano la sua curiosità

vouyeristica21. In cambio la comunità riceve tutto sommato molto poco: l’orgo- glio di essere al centro dei flussi comunicativi della società globale (si bea che tutti parlino dei suoi usi, dei suoi monumenti, della sua musica…), la nascita di attività economiche a stretta misura del turista. Gli effetti distorcenti sullo svi- luppo della comunità sono notevoli: si disegna a misura dell’ologramma pro- posto dal marketing a stretta misura delle aspettative dell’utenza da attrarre, si verificano effetti di super-adattamento, che addomestica l’identità, la memoria, incrementa il conformismo e la manipolabilità. La crescita economica maschera gli effetti di decrescita culturale che investe la comunità.

Un progetto che voglia produrre effettivo sviluppo comunitario promuove processi di apprendimento comunitario, radicato nell’antropologico, investito però di un’energia di cambiamento, che non è imposta alla comunità da fuori, ma nasce dal suo stesso interno, come risultato della maggiore consapevolezza della realtà che si produce quando sia innescato un percorso di animazione

sociale22, che valorizza la comunità in quanto comunità educante, realizza em-

powerment comunitario, ponendosi nella prospettiva teorico-pratica definita

dal costrutto di learning city23.

Un tale percorso parte da un assunto fondamentale:

la comunità è competente, è portatrice di un sapere, che, se portato a pie- na consapevolezza, può approfondirsi, arricchirsi, modificarsi acquisendo maggiore spessore ed utilizzato per creare relazionalità tra i suoi membri e tra i suoi membri e l’esterno.

All’assunto fondamentale sono collegati due corollari:

a) la comunità è partecipazione e la partecipazione è condivisione, cioè co- costruzione di conoscenze, di simboli, di valori;

b) la tecnologia odierna può aiutare a rendere la comunità più coesa, coadiu- vando i processi di partecipazione. Si può utilizzare la tecnologia informa- tica per rafforzare le reti sociali, per aumentarne la complessità, creando ridondanze di percorsi, favorendo la nascita di nuovi nodi, per incremen- tare il senso della comunità, la consapevolezza dei suoi elementi culturali costituenti, per favorire il dialogo all’esterno della comunità, secondo i presupposti dell’e-democracy.

21 d’eraMo, Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo, Feltrinelli, Milano, 2017. 22 CaMarlinghi, regoSa, Animazione sociale e impresa sociale, Paravia, Torino, 2000. 23 longworth, Città che imparano, trad.it. Raffaello Cortina, Milano, 2007.

Immaginando che la comunità si impegni, quale esito di un percorso così disegnato, alla realizzazione di un museo di comunità, cioè di un’istituzione creata dal basso che possa effettivamente funzionare da strumento di promo- zione della comunità, esso deve avere alcune caratteristiche:

a) essere capace di valorizzare e mettere a sistema le iniziative esistenti rela- tivamente alla valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immate- riale, in un’ottica di sostenibilità;

b) diventare generativo di relazioni sociali, rafforzando le reti già esistenti e creandone di nuove;

c) essere intrinsecamente polifonico, cioè deve essere il risultato di diverse prospettive, di diversi saperi e conoscenze, formali e informali, codificati o tacitamente incorporati nelle pratiche e nei discorsi ordinari delle persone, fatti emergere grazie a processi, con l’applicazione di specifici strumenti; d) costituire la narrazione della comunità intesa come il concorso di una plu-

ralità di culture locali, tutte con diritto di rappresentanza, affinché non di- venti l’istituzione del museo il sanzionamento delle convinzioni dominanti, che tendono a ontologizzare il loro punto di vista;

e) essere il luogo di sviluppo di nuove idee, in cui possono maturare prospet- tive inedite grazie all’apertura ad esperienze che non siano strettamente locali, ma costituiscano apertura ad altre esperienze, allargamento dell’im- maginario.

Qualsiasi progetto sociale che voglia essere condiviso è insieme causa ed effetto di una comunità competente, di una comunità cioè in cui gli sforzi dei singoli e dei gruppi sono orientati a migliorare la vita in comune e a rafforzare il senso di solidarietà e aumentare la possibilità di dialogo fra i cittadini.

Il museo quale esito, strumento e luogo di partecipazione ha caratteristi- che diverse dal museo tradizionale: è un catalizzatore di memorie e narrazioni che fanno emergere come la comunità nel suo insieme possegga (e sia) un patrimonio, che è destinato a variare nel tempo. Meglio se consapevolmente, a seguito di un processo costante di riflessione sugli usi dei beni comuni, su come manutenerli, salvaguardano l’esigenza vitale della sua trasformazione.

Il museo, in quanto luogo di condivisione, non possiede beni da blindare e difendere ad oltranza, ma beni da condividere, resi fruibili, diventati condensati di vita comune, connessi con altri beni ed altre narrazioni, beni di un contesto, portatori dei valori della comunità che li ha prodotti. Nodi di reti conoscitive.

Impegnare una comunità nel recupero, comunicazione, valorizzazione e rilancio della propria cultura è il corretto punto di incontro fra politica e pe- dagogia. Non ha niente di regressivo o di ripiegamento su un municipalismo asfittico, ma è, invece, a pieno titolo un progetto emancipatorio, poiché porta al riconoscimento dell’esistenza di un patrimonio a cui una comunità può attinge- re per alimentare un processo creativo di rinnovamento di sé e della tradizione. Nell’attuale fase storica, in cui si è creata una dialettica fra locale e globale, in cui ritorna prepotente il bisogno di identificazione culturale degli individui e dei gruppi, lavorare per potenziare il senso identitario della comunità, dando

ad essa la possibilità di letteralmente “prendere la parola” su di sé, significa compiere una opzione che consente per davvero di cogliere appieno le oppor- tunità della globalizzazione.

Giddens24 ha detto che non esiste una pregiudiziale contrapposizione tra locale e globale nell’era della comunicazione generalizzata. Affinché però il locale possa entrare a far parte del gioco deve essere forte e coeso. A renderlo tale può contribuire il consolidamento delle reti sociali territoriali. La scuola, l’associazionismo, l’ente locale nel suo complesso, i singoli individui, che sono portatori preziosissimi di conoscenza, possono dare un importante contributo al recupero della specifica identità dei luoghi, dei loro confini, in modo da aumentare la resistenza ai flussi deterritorializzanti della globalizzazione. Per cogliere appieno le opportunità della globalizzazione ci si deve orientare a riconoscere e potenziare quelle situazioni che, irrobustendo le reti relazionali reali, consentono di vivere in modo non espropriante il processo della comuni- cazione generalizzata. Solo così può realizzarsi propriamente il glocale.

La nostra ipotesi scommette sul fatto che un museo quale autentica espres-

sione del territorio è espressione di un ecosistema che integra risorse culturali

reali e digitali. Esso può funzionare da potente catalizzatore dell’identità della comunità, favorendo una sinergizzazione di sforzi di istituzioni, associazioni, individui e una convergenza di competenze su un obiettivo che per la sua natu- ra può agevolare la messa in rete di nodi territoriali, favorendo il rafforzamento di relazioni esistenti e consentendone la nascita di nuovo. Ciò sarebbe dare contenuto a quello che noi diciamo lavorare sul “locale”. Le istanze comunali- stiche e partecipative costituiscono un indispensabile contrappeso alla demo- crazia rappresentativa, che troppo spesso esita in forme di eterodirezione tec- nocratica. La vera cittadinanza si esercita in un definito territorio, da intendersi questo come luogo dell’identità collettiva, formatasi attraverso la stratificazione del tempo. Una meno superficiale considerazione del “locale” consente quella riduzione di scala che porta ad una ri-territorializzazione del sociale, la quale legittima ipotesi politiche di federalismo, sussidiarietà, et simila.

La rete di attori chiamati a sorreggere un’iniziativa come quella ipotizzata di un museo comunitario è quella costituita dall’amministrazione, dalla scuo- la, dai gruppi – più o meno organizzati – esistenti, dalla mediateca, da singoli cittadini. Essa trae dalla formazione linfa vitale, in quanto ad essa è demanda- to il compito di formare figure idonee a implementare l’idea progettuale e a mantenerla viva nel tempo, contribuendo peraltro a contribuire ad offrire gli strumenti per amplificare in una dimensione virtuale il locale, culturalmente elaborato.

Una rete siffatta realizza il concorso di prospettive diverse, ma interdipen- denti: soggetti con interessi, mission e vissuti diversi possono incontrarsi a partire da un obiettivo. Questo fa identità.

La scuola potrebbe trarre straordinario giovamento da un simile progetto. Verrebbero esaltate le dimensioni di service learning e community engage-

ment25 della progettazione didattica. Un museo comunitario è un museo vivo, che ha degli spazi in cui è possibile realizzare delle attività di laboratorio di- dattico e gioco-lavoro, che consentono di attuare forme di interazione tra com- prensione teorica e manipolazione, favorendo con ciò l’assimilazione completa dell’esperienza vissuta. Accoglie i suggerimenti che gli provengono dal mondo della scuola, come di qualsiasi altra istanza della comunità, documenta tutte le attività che esso compie a partire dal museo e rilancia il gioco, offrendo alle scolaresche che lo frequentano materiale didattico preparato dai suoi operatori per creare uno scambio reciproco e continuo.

Noi crediamo fermamente che oggi sia un’epoca di grandi opportunità, ma è indispensabile che esista una forte consapevolezza che sappia rendere acces- sibile la dimensione della possibilità. In ciò la responsabilità della politica e della pedagogia che devono mettere gli individui nella condizione di conosce- re ed agire il presente, affinché le comunità locali si avvantaggino, attraverso un’azione cosciente e politicamente efficace, delle possibilità insite nel nuovo corso che ha preso la storia.

Il bene culturale è flusso di comunicazione, messaggio. Rivela aspetti della vita e della mentalità del passato, aiuta a riflettere sull’oggi e le sue problemati- che, consente di assumere a consapevolezza i valori della propria comunità e i significati del territorio in cui si vive. Grazie ad un’animazione socio-culturale appositamente progettata e adeguatamente realizzata, i soggetti possono riap- propriarsi dei contenuti culturali veicolati dai beni culturali, imparando a recu- perare le briciole di sapere in loro possesso per metterle in comune e creare valore aggiunto.

L’attività intellettuale può e deve intrecciare strettamente riflessione teori- ca e attenzione alla realtà, attitudine scientifica ed impegno civico, essa deve pensarsi “in situazione”, non temendo di compromettersi col reale, che deve fecondare con la sua carica di speranza.

25 cfr: Colazzo, ellerani, Service learning tra didattica e terza missione, e-book, Università del Salento,

Vittorio Iervese, Università di Modena e Reggio Emilia