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La stanza del Conflitto »

Alla fine del 2016 il Museo Egizio di Torino lanciò una campagna dal titolo “Fortunato chi parla arabo”. Nel manifesto esposto sul sito del museo ma anche nelle vie della città compariva una coppia sorridente sotto una scritta in caratte- ri arabi e di fianco un breve testo in italiano che spiegava il senso dell’iniziativa. Alla luce delle circa 33.545 le persone di lingua araba residenti nella Provincia di Torino, di cui 4.700 egiziani soltanto nella città di Torino, Il Museo Egizio proponeva a questi cittadini di entrare in contatto con una delle collezioni più importanti al mondo, favorendone l’ingresso con una riduzione di coppia. Nel sito del Museo, si diceva che l’obiettivo della proposta era quello di “stimolare la fruizione dell’offerta culturale della città per consentire ai cittadini di lingua araba di essere sempre più parte della comunità con cui hanno scelto di vive- re e condividere il futuro”. In un’intervista alla stampa, il direttore del Museo Christian Greco aggiunse “nessuna di queste istituzioni esiste per diritto divino – dice ancora Greco – ma perché è interconnessa col territorio. Il Museo deve guardare a tutti”. Da questi primi riferimenti appare evidente che l’iniziativa del Museo Egizio potrebbe porsi tra quelle che raccolgono gli spunti delle “stanze” precedentemente visitate. Da una parte c’è un museo con una sua storia e un suo patrimonio che ha legami potenziali con dei cittadini portatori di una loro storia ed usanze specifiche. Mettere in contatto questo patrimonio con quei soggetti può significare provare ad attivare degli engrammi attraverso gli esogrammi che può offrire il museo. Dall’altra parte, il museo si propone di diventare un luogo di dialogo e di pluralità di punti di vista come proposto nella seconda stanza. Per questo motivo, insieme alla proposta di scontistica applicata alle persone “che parlano arabo”, il museo aveva avviato un program- ma di workshop dal titolo “Musei e Migranti. Gli strumenti per l’incontro” in collaborazione con l’associazione ABCittà:

[…] tre giornate di formazione, studio e ascolto reciproco fra operatori museali, cul- turali, sociali della città di Torino e di altre realtà. Ogni giornata è articolata in una

mattinata di ascolto di pratiche e sguardi, e un pomeriggio di workshop, nelle sale del museo, facilitato da ABCittà29.

Le tre tappe di questo ciclo di workshop s’intitolavano rispettivamente: 1) I bisogni dei migranti; 2) Musei e migranti: pratiche a confronto; 3) Musei e cittadinanza: strumenti di dialogo. Diversi altri sono stati i progetti speciali di questo tenore raccolti sotto la categoria: “Museo e Inclusione Sociale”. Non c’è dubbio quindi che il Museo Egizio possa essere annoverato tra le realtà più attente alla promozione del dialogo tanto che, in un punto del sito si dichiara esplicitamente che “il Museo Egizio intende promuoversi come luogo d’incon- tro e di dialogo e come intermediario nel superamento delle barriere sociali30

Come però è stato affermato alla fine della precedente stanza il dialogo è anche apertura all’imprevisto e al dissenso. Infatti, in occasione della seconda edizione della campagna “Fortunato chi parla arabo” si aprì un conflitto politi- co prima sulla legittimità dell’iniziativa, in un secondo momento sulla filosofia alla base di quella proposta. Se le obiezioni basate sulla legittimità furono facil- mente accantonate, rimasero invece le critiche sull’opportunità e la condivisi- bilità dell’iniziativa definita da alcuni detrattori come “il sintomo della malattia dell’Occidente. Un pensiero debole che distrugge la propria storia e identità a favore delle altre. Una iniziativa ideologica e anti-italiana31”.

Senza entrare nel merito della polemica, è qui interessante notare come un museo possa essere dentro un conflitto senza per questo perdere la sua speci- ficità di spazio di dialogo.

Nel senso comune così come nella letteratura specialistica i conflitti sono spesso associati alla percezione di incompatibilità di interessi opposti e frustra- ti (es. Carnevale & Pruitt 1992; DeChurch & Marks 2001). Questa tradizione ha imposto una visione negativa del conflitto inteso come minaccia all’ordine sociale. In realtà, questa visione tende spesso a confondere il sintomo del pro- blema (il conflitto) con il problema stesso (le aspettative divergenti, i bisogni non conformi, le frustrazioni, ecc.). I conflitti si basano su alcuni presupposti culturali e si perpetuano attraverso particolari azioni e discorsi in cui i parteci- panti vengono inclusi in schieramenti opposti. Questi discorsi e azioni solleva- no incertezza e dubbi, mancanza di fiducia nell’interazione e nella possibilità di fondare un terreno comune32. È in questi casi che i conflitti, se persistenti, tendono a minacciare i presupposti culturali esistenti e a bloccare l’operatività dei sistemi sociali. Il conflitto si comporta così come un parassita che erode le risorse interne del sistema sociale e lo mette in una situazione di stallo.

29 https://www.museoegizio.it/scopri/progetti-speciali/.

30 https://www.museoegizio.it/scopri/progetti-speciali/

31 https://www.corriere.it/cronache/18_febbraio_12/

32 kelMan, herBert, Building trust among enemies: The central challenge to peacemaking efforts”. In

Walter Krieg, Klaus Galler & Peter Stadelmann (Eds.) Richtiges und gutes management: vom system

È possibile però concepire dei conflitti “a bassa intensità”, quindi trattabili e non distruttivi. Tecnicamente, i conflitti possono essere descritti come con- traddizioni comunicate33, cioè rifiuti comunicati riguardanti sia le intenzioni che i contenuti dell’interlocutore. Da questo punto di vista, il conflitto può essere inteso anche come una forma di interazione in cui posizioni diverse cercano di affermare narrazioni diverse. Pertanto, i conflitti sono anche punti di partenza per il rinnovamento dei presupposti culturali. I conflitti possono rafforzare i cambiamenti dei sistemi sociali esistenti34, mettendo in discussio- ne i presupposti culturali di partenza e aprendo nuove possibilità di azione. I conflitti permettono la riproduzione della comunicazione nei sistemi sociali, in quanto perdono la loro rigidità, e permettono di ricontestualizzare i sistemi sociali in cui sorgono. La mediazione è una forma di gestione dei conflitti, che trasforma l’incertezza prodotta dai precedenti rifiuti in opportunità. La promo- zione del cambiamento attraverso la mediazione sembra essere associata prin- cipalmente alla concezione dei conflitti come occasioni per ridefinire lo scarto di senso che si produce nella “contraddizione comunicata35”.

Alla mediazione non compete il compito di stabilire una differenza tra una posizione giusta e una posizione sbagliata ma di consentire ai partecipanti di trovare insieme le proprie soluzioni, aprendo la strada a nuovi significati con- divisi. Una forma di mediazione di questo tipo può essere definita mediazione trasformativa36 in quanto favorisce il cambiamento, promuovendo l’empower- ment dei partecipanti e il riconoscimento reciproco dei loro punti di vista. Può un museo essere un luogo di conflitto e mediazione? Con quest’ultima doman- da ci avviciniamo all’uscita dell’ultima stanza, consapevoli che non si possono attribuire ai musei troppe funzioni e responsabilità, tantomeno quella di affron- tare le numerose tensioni contemporanee. Il conflitto è però qui inteso come una forma di socialità che può generarsi quando si comprende che il senso non si fonda sull’identità, ma sulla differenza “tra attualità e possibilità”. Il museo è un generatore di differenze se si concepisce come luogo di possibilità e non meramente come il deposito di un passato dato una volta per sempre.

33 luhMann, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Il Mulino, Bologna, 1990.

34 luhMann, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Il Mulino, Bologna, 1990; MoSCoviCi,

Serge, Social influence and social change. London, Academic Press, 1976.

35 deutSCh, Morton, Social psychology’s contributions to the study of conflict resolution. Negotiation

Journal, 18 (4),2002, 307-320.

36 BuSh, BaruCh, Folger, The Promise of mediation: Responding to conflict through empowerment and

IL CASO DI MUS.E FIRENZE

Giovanni Lombardo, Nader Tayser, Università degli Studi di Genova,

Federica Viganò, Libera Università di Bolzano

SoMMario: 1. L’evoluzione del dibattito sulla misurazione degli impatti della cultu-

ra. – 2. Introduzione allo S-ROI. – 3. Il caso del Social-ROI (S-ROI) di MUS.E e le