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Gli edulcoranti di sintesi sono composti aventi un potere edulcorante maggiore rispetto a quello del saccarosio (da 30 a 500 volte superiore), mentre il loro apporto energetico è pressoché nullo. Vengono anche de- finiti dolcificanti intensivi. I fattori limitanti l'uso di questi edulcoranti sono la presenza di retrogusto amaro e metallico e la potenziale tossicità, tali problemi possono essere limitati utilizzando associazioni di dolcificanti in modo da ottenere un buon effetto dolcificante mantenendo basse le dosi di ciascuna sostanza, e rispettando le dosi giornaliere accettabili, così come ha stabilito l'EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Ali- mentare). E' comunque consigliabile non utilizzare i dolcificanti di sintesi in gravidanza, allattamento e sotto i tre anni di età.

Gli edulcoranti di sintesi più diffusi sono l'aspartame, la saccarina, l'a- cesulfame K e i ciclammati, i quali vengono impiegati dall’industria ali- mentare nella produzione di alimenti e bibite “light”.

Caratteristiche generali degli edulcoranti di sintesi

Proprietà dei principali edulcoranti intensivi (Melis, 2012).

Edulcorante Retrogusto Solubilità in acqua Stabilità in solu- zione Stabilità al calore Acesulfame K Leggermente a- maro

Buona Buona Buona

Aspartame Dolce prolungato Scarsa a 20°C Buona a pH 3-5 Scarsa

Ciclammati Amaro, metallico Buona Buona a pH 2-8 Buona

Saccarina Amaro, metallico Buona Buona a pH 3,5-8 Buona

Taumatina Persistente, liqui- rizia

Buona Buona a pH 2-10 Buona a pH

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Aspartame: edulcorante noto con la sigla E 951. E’ l’estere metilico di un dipeptide: L-aspartil-L-fenilalanina. L'aspartame (Figura 2) è un di- peptide artificiale composto da due aminoacidi: l'acido aspartico e la fe- nilalanina (la cui estremità carbossilica viene esterificata con metanolo). Si presenta sotto forma di polvere bianca granulare, inodore, dal sapore dolce privo di retrogusto e in grado di conferire una sensazione dolce simile a quella del saccarosio e di intensità da 80 a 250 volte superiore al saccarosio.

│________________│ │________________││________│ Acido aspartico Fenilalanina Metanolo

Figura 2: Formula chimica dell’aspartame (Immagine presa dal web).

E’ stato scoperto casualmente nel 1965, quando il chimico James Schlatter, lavorando alla produzione di un farmaco contro le ulcere allo stomaco, combinò i due aminoacidi e si accorse che il miscuglio era dolce.

L’aspartame tende a esaltare il sapore di frutta quali l’arancia e il limo- ne.

La sua solubilità in acqua dipende dalla temperatura (è massima a 25°C) e dal pH (è massima a pH 5,2). La soluzione acquosa è partico- larmente stabile a valori di pH compresi tra 3,6 e 4,5 e poco stabile alla alte temperature, perché l’aspartame è termolabile, degradandosi a di- chetopiperazina con conseguente perdita o diminuizione dell’effetto e- dulcorante; perciò non è adatto nei prodotti da forno e nelle fritture (Me-

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lis, 2012). Benchè abbia un contenuto energetico equivalente a 4 Kcal/g, come il saccarosio, le quantità utilizzate nella formulazione di a- limenti dietetici e ipocalorici sono talmente esigue che il suo apporto ca- lorico è irrilevante. Trova impiego nella preparazione di bevande ipoca- loriche, yogurt, dessert, gelatine, bibite istantanee, succhi di frutta, con- fetteria e prodotti farmaceutici.

I prodotti alimentari contenenti aspartame devono riportare in etichetta la dicitura “contiene una fonte di fenilalanina”, a tutela dei soggetti affetti dal difetto genetico nel metabolismo fenilalaninico. Alcuni individui, non possedendo l’enzima per convertire la fenilalanina in tirosina non sono capaci di metabolizzare l’aminoacido, producendo fenilchetonuria. Il sintomo più importante è il ritardo mentale, generalmente grave, che si verifica nella gran parte dei pazienti non trattati.

Diversi studi su animali da laboratorio hanno evidenziato la comparsa di tumori al cervello a seguito dell’assunzione orale di questo edulcorante (Humphries et al., 1986), epilessia, sindrome di affaticamento cronico, morbo di Parkinson, morbo di Alzheimer, ritardo mentale, linfoma, fi- bromialgia e diabete, che possono essere favoriti o peggiorati dalla sua assunzione elevata e cronica, ma nessuno studio ha dimostrato un rap- porto causa effetto tra questi fenomeni, né è riuscito a definire il mec- canismo d'azione di una eventuale tossicità. Il dibattito sull'aspartame si è riacceso successivamente nel 2005, in seguito alla pubblicazione di uno studio promosso dalla California Environmental Protection Agency, che ha individuato un aumento dell'incidenza di linfomi e leucemie nei topi femmina a seguito di assunzione di bassi dosaggi di aspartame (Melis, 2012). Inoltre uno studio pubblicato sull’European Journal of Oncology nel 2005 ha ulteriormente segnalato questi effetti e ha ipotiz- zato un legame tra la formaldeide rilasciata dal metabolismo dell’aspartame e l’aumento dell’incidenza di tumori cerebrali (Melis, 2012). A tal proposito l'EFSA ha confermato la dose giornaliera ammis- sibile, sebbene non abbia riconosciuto la relazione fra l'insorgenza di tumori e il consumo di aspartame. La sicurezza dell'aspartame è stata riaffermata anche negli Stati Uniti dal National Cancer Institute a segui- to di un’indagine su mezzo milione di persone durata 5 anni, da cui non

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è emerso nessun aumento significativo nell’incidenza di linfomi, leuce- mie, né tumori al cervello (Melis, 2012).

Saccarina: edulcorante noto con la sigla europea E 954 (Figura 3). Venne sintetizzata nel 1879 accidentalmente da Ira Remsen, un pro- fessore della John Hopkins University, e Costantin Fahlberg, un suo ri- cercatore (Melis, 2012).

Figura 3: Formula chimica della saccarina (Immagine presa dal web).

La scoperta fu resa pubblica solo nel 1880 e brevettata da Fahlberg nel 1884.Nonostante fosse stata commercializzata poco dopo la scoperta, la saccarina non divenne popolare fino al razionamento dello zucchero imposto dalla prima guerra mondiale. La sua diffusione crebbe nel 1960-1970 tra le persone sottoposte a diete ipocaloriche, in quanto l’apporto energentico è nullo. La saccarina è stata fondamentale, so- prattutto per le persone diabetiche: infatti, non altera i livelli sanguigni di insulina.

Tuttavia fin dalla sua introduzione, la saccarina è stata al centro di pre- occupazioni per la sua potenziale cancerogenicità. Nel 1960 alcuni dati sperimentali mostrarono che il prodotto, a dosi molto elevate, induceva un aumento nell’incidenza del cancro alla vescica nei ratti da laboratorio (Melis, 2012). Nel 1977, infatti, l’FDA bandì la saccarina sulla base di tali studi e questa posizione è stata successivamente rivista negli anni novanta, attraverso specifici dati epidemiologici, per cui oggi la saccari- na è stata pienamente riconsiderata come edulcorante (Melis, 2012).

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Essa è in commercio tal quale o come sale sodico, calcico o potassico. Ha una dolcezza di 250-500 volte più elevata del saccarosio, la sua dolcezza è accompagnata da un retrogusto amaro/metallico; tale effet- to tuttavia, è più o meno marcato secondo la sensibilità del consumato- re. Per mascherare questo sapore sgradevole, è possibile miscelarla con altri composti come il ciclammato, il fruttosio, l’aspartame.

A causa della sua capacità di attraversare la placenta, deve essere usata con prudenza, se non del tutto evitata, in gravidanza. Inoltre è sconsigliato l’utilizzo nei bambini di età inferiore a 3 anni.

Acesulfame K: chiamato anche acesulfame potassico, e conosciuto con la sigla europea E 950. Esso ha una struttura chimica che in parte ricorda quella della saccarina (Figura 4), di cui condivide anche diverse particolarità chimico-fisiche, ma la sua dolcezza è decisamente più gra- devole ed è diffusamente impiegato (Melis, 2012).

L’acesulfame K si presenta come una polvere bianca cristallina, inodo- re, molto solubile in acqua e poco solubile in etanolo, stabile alle tempe- rature elevate; infatti, ha il vantaggio di rimanere stabile durante i pro- cessi di lavorazione e ha un potere dolcificante fino a 200 volte superio- re a quello del saccarosio. E’ idoneo anche, essendo termostabile, per i prodotti dolciari che devono essere sottoposti a cottura.

Figura 4: Formula chimica dell’acesulfame k (Immagine presa dal web).

Possiede un sapore dolce deciso e netto, e conferisce agli alimenti un retrogusto amaro solo nel caso in cui sia utilizzato ad alte concentrazio-

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ni, comunque per ovviare a questo inconveniente è frequentemente im- piegato in sinergia conaltri edulcoranti intensivi (Tabella 5).

Così, ad esempio, viene associato all’aspartame negli yogurt alla frutta e in varie bibite.

E’ una sostanza priva di rischi per la salute, infatti non sono stati evi- denziati problemi legati ai suoi prodotti di degradazione, dal momento che viene assorbito a livello intestinale ed escreto immodificato per via urinaria. Non bisogna trascurare però il fatto che, come tutti i dolcificanti di sintesi, tranne l’aspartame, va a toccare i delicati meccanismi di con- trollo dell’insulina, causando un aumento della sua produzione (azione insulinotropica) (Melis, 2012). Acesulfame-dolcificante associato Sinergia Acesulfame-Aspartame >40% Acesulfame-Sciroppo ad alto titolo Fruttosio >20% Acesulfame-Ciclammato >25% Acesulfame-Sciroppo di glu- cosio >15% Acesulfame-Neoesperidina >25% Acesulfame-Saccarosio >13%

Tabella 5: Potere sinergico dell’acesulfame in associazione (Melis, 2012).

Ciclammati: edulcorante con la sigla europea E 952. I ciclammati sono dolcificanti intensivi di sintesi che derivano dai sali di sodio e di calcio dell’acido ciclammico (Figura 5).

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Figura 5: Formula chimica dell’acido ciclammico (Immagine presa dal web).

Si presentano come polvere bianca, cristallina, con potere edulcorante 30- 80 volte superiore a quello del saccarosio, che risulta relativamente modesto se confrontato con quello di altri edulcoranti intensivi ma che può essere esaltato in relazione alla concentrazione di impiego, al valo- re di pH, alla presenza di aromatizzanti e alla natura della matrice ali- mentare (Melis, 2012).

In seguito a ricerche condotte in campo tossicologico in cui sono stati riscontrati effetti cancerogeni e disturbi di assorbimento in animali da esperimento, l’uso dei ciclammati come edulcoranti è stato limitato (Bopp et al., 1986). Studi successivi dimostrarono che tale canceroge- nicità è specifica solo per il ratto, ma la dose massima di utilizzo è stata ridotta. Il ciclammato attraversa la barriera del tratto digerente e viene assorbito, una piccola parte di questo può subire una trasformazione da parte della microflora intestinale. L’escrezione avviene soprattutto per via urinaria, in quanto l’acido ciclammico e i suoi sali sono molto solubili in acqua. Anche le feci partecipano all’eliminazione. Sono stati fatti mol- ti studi sulla cancerogenicità, mutagenicità e teratogenicità del ciclam- mato ma non ci sono ancora risultati definitivi (Melis, 2012).

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3.3- GLI EDULCORANTI NATURALI O DERIVATI DA

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