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Gli effetti del recesso e la deroga al principio di indivisibilità

CAPITOLO III Il diritto di recesso e il diritto di revoca nelle polizze vita

3.3 Il diritto di recesso: l’art 177 cod ass e l’istituto dello ius poenitendi

3.3.3 Gli effetti del recesso e la deroga al principio di indivisibilità

Nei trenta giorni che seguono la stipulazione del contratto di assicurazione, per l’impresa di assicurazione si prospettano tre possibili eventualità: la morte dell’assicurato, che se previsto contrattualmente, obbliga l’impresa a corrispondere l’indennizzo; la decisione dell’assicurato di non esercitare il recesso, con la diretta conseguenza che gli effetti del contratto proseguano normalmente; e il recesso dell’assicurato.

Ancora una volta, l’art. 177, co. 3, cod. ass. prevedendo che, qualora il contraente decida di esercitare il diritto di recesso, l’impresa di assicurazione sia tenuta, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, a rimborsare al contraente il premio pagato al netto delle spese sostenute, si distingue nettamente dalla previsione dell’art. 176 cod. ass.224

223 In tal senso G. VOLPE PUTZOLU, Il diritto di «ripensamento» nella disciplina del contratto di

assicurazione sulla vita: una nuova forma di tutela dell’assicurato, in Dir. ed econ. assicuraz., Giuffrè,

Milano, 1997, p. 111.

224 L’art. 176, co. 2, cod. ass., stabilisce che, nell’ipotesi in cui il contraente decida di revocare la proposta

contrattuale, all’impresa spetti l’obbligo di restituire «le somme eventualmente pagate» dal contraente senza prevedere la possibilità di detrarne alcuna. Tale differenza rispetto a quanto previsto al successivo art. 177, co. 3, cod. ass. lascia spazio a varie interpretazioni. Per esempio, E. FERRANTE, op. cit., pp. 556- 557 e A. CANDIAN, G. CARRIERO, op. cit., p. 757 sostengono che tale svista non sia da imputare alla volontà del legislatore di condannare l’impresa privandola del diritto indennitario attribuitogli dall’art. 1328, co. 1, c.c., ma che, seppur non espressamente previsto, la prescrizione dell’art. 177, co. 3, cod. ass. sia «suscettibile di applicazione analogica anche nel caso in commento». G. VOLPE PUTZOLU,

Commentario breve, cit., p. 635 e P. CORRIAS, I contratti, cit., p. 346, invece, sostengono che tale

omissione sia motivata dal fatto che «non essendosi perfezionato alcun contratto, potrebbe non esserci stata nessuna spesa», e qualora ci fosse stata sarebbe da considerarsi «espressione della scelta legislativa di porre gli oneri economici relativi alla fase precontrattuale a totale carico dell’impresa».

L’art. 177, co. 3, cod. ass, infatti, stabilisce che in caso di recesso l’impresa debba rendere al contraente il premio corrisposto al netto della parte non maturata (per una detrazione massima di trenta giorni), nonché «delle spese effettivamente sostenute per l'emissione del contratto, a condizione che siano individuate e quantificate nella proposta e nel contratto».

Nonostante tale puntualizzazione sia apprezzabile rimane poco chiaro il collegamento tra le spese «effettivamente sostenute» a quelle «individuate e quantificate nella proposta e nel contratto», dal momento che dapprima si sottolinea la risarcibilità delle spese reali, per poi, però, esigerne la verifica e la valutazione nominale.

La conclusione più ragionevole è che all’assicuratore possano essere risarcite «le sole spese reali», ma a condizione della loro previa individuazione e calcolo documentale: a tal proposito nuove riserve sono state manifestate anche in relazione alla natura di tali spese.

Dato il carattere di onerosità che contraddistingue le spese di acquisizione del contratto rispetto a quelle di emissione, sarebbe logico ricondurre le prime all’interno di queste ultime, ma in considerazione che i costi di acquisizione corrispondono al premio annuale, tale possibilità risulta impensabile, altrimenti si verificherebbe la paradossale situazione che l’assicuratore non debba mai restituire niente al contraente che recede.

Per tale ragione, sembra sensato interpretare la previsione di cui all’art. 177, co. 3, c.c. in senso letterale, con la conseguenza di considerare le sole spese effettivamente sostenute per l’emissione del contratto, escludendo, invece, dal rimborso le spese di acquisizione del contratto, nonché i costi relativi all’eventuale visita medica, relativi all’analisi della convenienza dell’affare225.

Ma oltre al carattere criptico, che ha suscitato non poche problematiche nell’individuazione di quelle che sono le tipologie di costi che effettivamente rimangono a carico dell’impresa di assicurazione, l’art. 177, co.3, cod. ass. ha messo in discussione uno dei principi cardine del codice civile.

Il fatto che la norma de qua fissi, infatti, l’obbligo a carico dell’assicuratore di risarcire la somma pagata conformemente alla regola del pro rata temporis, la pone in contraddizione con il principio dell’indivisibilità del premio, secondo cui il premio resta infrazionabile per tutto il «periodo assicurativo» stabilito e gli episodi risolutivi del

vincolo non compromettono in alcun modo il diritto dell’impresa a riscuotere il premio per intero.

Addirittura, alcune disposizioni contenute nel codice civile (art. 1890, co. 3, 1892, co. 3, 1896, co. 1, 1898, co. 4, 1901, co. 3)226 testimoniano come il principio dell’indivisibilità

del premio rimanga operante anche nel caso in cui qualora la garanzia assicurativa si riferisca solamente ad una frazione del periodo contrattuale, o perfino quando non sia prestata affatto.

È evidente, quindi, che in una prospettiva in cui l’assicuratore ottiene la prestazione dell’assicurato anche se non la effettua (o se la realizza soltanto parzialmente), l’introduzione della disposizione contenuta nell’art. 177 cod. ass. si scontra con quella del codice civile, ponendosi come una vera e propria deroga al principio dell’indivisibilità del premio.

Gran parte della giurisprudenza227, addirittura ritiene che l’art. 177 cod. ass. più che

configurarsi come un intervento derogatorio ad un principio generale, si possa intendere come la conferma dell’inconsistenza dello stesso.

Se da una parte, però, il carattere dell’affermazione precedente risultava esasperare fin troppo la situazione reale, allo stesso tempo si rendeva necessario un intervento giurisprudenziale che ridimensionasse la portata del principio in questione.

La ratio da cui muoveva tale principio va spiegata alla luce del criterio di mutualità e del sistema di gestione dell’impresa assicurativa, per cui le basi tecniche utilizzate per il calcolo del premio non potevano che considerare l’intero periodo in relazione al quale era stato calcolato il premio.

Il fatto che l’impresa di assicurazione definisse le prestazioni da svolgere, in maniera da ripartire l’alea tra gli assicurati e da eliminarla, le consentiva di conformare le prestazioni alle necessità organizzative e produttive dell’impresa, e di condizionare quindi la forma e la struttura del contratto.

Tale circostanza, se ab origine veniva spiegata dal desiderio di tutelare le imprese, oggigiorno si rivela superata dal progressivo sviluppo della procedura di governo dei

226 Per esempio, nel caso specifico di scioglimento contrattuale causato dal mancato versamento del premio,

l’art. 1901, co. 3, stabilisce che l’assicuratore non è tenuto a restituire al contraente la parte di premio corrispondente al periodo di «rischio non corso», spettandogli di diritto, così, l’intero premio, compresa la parte per la quale comunque egli non sarà più vincolato a compiere la propria prestazione.

rischi e dalla solida competenza e sicurezza patrimoniale delle imprese, motivi che hanno spinto, poi, anche la giurisprudenza a pronunciarsi in merito a tale questione228.

In tempi relativamente recenti, infatti, la Suprema Corte si è pronunciata229 ridefinendo il

cosiddetto «periodo di assicurativo» e prescrivendo che, in ipotesi di risoluzione ex art. 1901, co. 3, c.c., esso sia da diminuire al minimo essenziale, ossia al periodo al quale si riferisce realmente la singola rata.

Se precedentemente questo lasso di tempo veniva contemplato con cadenza solitamente annuale per lo meno annuale, a seguito di tale pronuncia, se il premio riguardante la durata del contratto viene rateizzato, il periodo in corso non è da considerarsi annuale ma coinciderà, invece, con quello della singola rata230.

Con tale intervento, la Suprema Corte, da una parte, ha avuto il merito di riconfermare l’esistenza del principio dell’indivisibilità del premio, che parte della dottrina aveva esageratamente messo in dubbio e, dall’altra, quello di ridimensionare la portata di un criterio che ha rischiato di diventare obsoleto.