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Vantaggi e criticità legati all’implementazione degli standard per gli stakeholder del settore agroalimentare

2.2 Effetti sulle imprese della Moderna Distribuzione

Gli standard privati rappresentano strumenti ormai irrinunciabili per le imprese della Moderna Distribuzione, che ha messo in campo iniziative e strategie che ne hanno favorito la rapida ascesa. La tutela della reputazione e immagine aziendale è stato, secondo Fulponi (2006), l’elemento più importante che ha incentivato le insegne della GDO ad iniziare ad adottare standard nelle proprie politiche sulla qualità e sicurezza degli alimenti. Conquistare i consumatori offrendogli prodotti con caratteristiche superiori rispetto ai parametri minimi di legge è stato percepito come un’opportunità da sfruttare e su cui pianificare le proprie strategie presenti e future. La transizione che ha spostato progressivamente la responsabilità legale verso gli operatori a valle ha fornito un ulteriore impulso verso l’affermazione di questi strumenti (Fulponi, 2006).

Il primo beneficio associato alla loro affermazione è riuscire ad omogeneizzare i prodotti acquistati attorno a parametri predeterminati. Infatti, l’avvio di relazioni economiche con fornitori che si conformano a standard indicati (e talvolta creati) dalla GDO aumenta la certezza, al netto di comportamenti opportunistici, che i prodotti acquistati rispettino un set specifico di requisiti, primi tra tutti quelli

relativi alla sicurezza e salubrità, semplificando, quindi, i rapporti lungo la filiera, riducendo il peso dei costi di transazione e accrescendo la fiducia complessiva tra gli operatori. Uniformare l’offerta attraverso l’utilizzo di standard come criterio su cui basare la propria politica di referenziamento garantisce ai retailer di poter selezionare i fornitori da un bacino ampio ed omogeneo, aumentando quindi la competizione tra le aziende a vantaggio del potere contrattuale della GDO, i cui riflessi positivi ricadono sui costi di approvvigionamento.

La standardizzazione e la normalizzazione delle caratteristiche delle forniture sono un prerequisito necessario per poter accrescere la possibilità di ottenere un migliore coordinamento all’interno della filiera, secondo elemento che ha sicuramente promosso e favorito la diffusione e l’utilizzo degli standard privati, grazie al quale è possibile operare in modo più sicuro su aree geografiche sempre più ampie (Henson e Reardon, 2005). Il problema delle relazioni con fornitori operanti in paesi in via di sviluppo è un tema molto sentito dalle imprese della GDO (Fulponi, 2006). Infatti, la presenza di lacune legislative o la disattenzione della legge è mitigata dall’impiego di standard, che garantiscono così l’opportunità di intessere rapporti commerciali con fornitori che altrimenti resterebbero esclusi. Oggetto di attenzione non sono soltanto i requisiti relativi alla qualità e sicurezza degli alimenti, ma anche altri aspetti, la tutela dei lavoratori in primis, il cui mancato rispetto da parte delle aziende fornitrici potrebbe avere rilevanti ripercussioni per la reputazione dei retailer. Inoltre, il miglior coordinamento della filiera contribuisce a semplificare i rapporti tra i vari stakeholder coinvolti, producendo una riduzione dei costi di transazione e del rischio legato agli approvvigionamenti, in particolare quando è richiesto un elevato livello di supervisione per garantire specifici attributi di qualità e sicurezza.

La tutela ed il rafforzamento dell’immagine aziendale rappresentano un ulteriore beneficio legato all’impiego di questi strumenti. La sicurezza degli alimenti è la priorità per le imprese della GDO, dato che un fallimento comprometterebbe il rapporto di fiducia instaurato con i clienti, mettendo a repentaglio il livello di vendita ed i guadagni complessivi (Fulponi, 2006).

Dall’indagine condotta da Fulponi (2006) su un campione di aziende della Moderna Distribuzione del Nord Europa è emerso come molti ritengano che il fallimento di una singola insegna della GDO rischi di avere ricadute negative anche per gli altri retailer concorrenti, a causa della riduzione complessiva della certezza delle loro capacità di tutela nei confronti dei consumatori. Richiedere ai fornitori l’implementazione di uno standard garantisce i retailer sul rispetto di requisiti specifici predeterminati, verificati poi attraverso ispezioni dirette. Questo modus operandi permette alla GDO di aver un controllo maggiore sui propri fornitori, riducendo, quindi, i rischi dell’insorgenza di criticità, che avrebbero pesanti ricadute non soltanto sull’immagine aziendale, ma sul business complessivo. La scelta di impiegare standard propri o di parte terza influisce sull’intensità del beneficio. Infatti, i primi garantiscono in modo più efficace la tutela dell’immagine, grazie al controllo diretto svolto dai retailer sui propri fornitori, anche se i costi associati risultano essere piuttosto rilevanti. I secondi, al contrario, assicurano costi decisamente più contenuti, ma la tutela risulta essere più mediata, dato che verifiche e controlli sono affidati a soggetti terzi. Inoltre, l’adozione di standard permette di tutelare ed accrescere non soltanto la fiducia nei retailer, ma anche la loro reputazione. Infatti, questi strumenti offrono la possibilità di qualificare la propria immagine agli occhi dei consumatori, fornendo loro quel senso di affidabilità e sicurezza, venuto meno a causa delle ripetute situazioni di crisi verificatesi all’interno del settore agroalimentare. Fornire assicurazioni al consumatore riguardo alle caratteristiche del prodotto e dei processi utilizzati per ottenerlo è necessario per riuscirne a conquistare la fiducia e per fidelizzarlo, con l’opportunità per l’impresa di consolidare o aumentare le proprie quote di mercato, e/o di entrare in nuove nicchie.

Infine, adottare uno standard privato come strumento di selezione comporta richieste superiori rispetto ai parametri minimi indicati dall’autorità pubblica. L’opportunità di differenziarsi rappresenta, quindi, un ulteriore beneficio legato agli standard, ampiamente sfruttato dalle imprese leader della GDO. Infatti, in molte hanno colto i vantaggi che ne potevano scaturire sotto il profilo sia del consolidamento della propria reputazione (brand name capital), sia

dell’anticipazione degli sviluppi normativi (Jaffee e Henson, 2004). Ormai, i consumatori considerano molti degli attributi di qualità dei prodotti (come odore, colore, sapore, ecc.) importanti tanto quanto la sicurezza degli alimenti (Fulponi, 2006). Pertanto, le imprese della GDO adottano standard sempre più stringenti rispetto ai requisiti di legge, ancor più nel caso di linee a marchio proprio per prodotti di alta qualità. Inoltre, in mercati caratterizzati da una competizione sempre più incentrata sulla differenziazione attraverso la qualità, è emerso maggiormente il ruolo degli standard privati come strumenti di segnalazione e di garanzia delle caratteristiche dei prodotti commercializzati, in grado di presentare ai consumatori un’offerta coerente di attributi di sicurezza e qualità, con particolare attenzione per quelli di tipo credence (Bergès-Sennou, et al., 2004). Se gli obiettivi di differenziazione erano solitamente perseguiti facendo leva sulle caratteristiche superiori dei prodotti, negli ultimi anni questa tendenza ha incluso anche parametri più affini alle tematiche della sicurezza. Infatti, come sostenuto da Brazzini e Marescotti (2014), l’accresciuta sensibilità e attenzione dei consumatori alla sicurezza dei prodotti alimentari ha portato i retailer a spostare la competizione anche su questo terreno, iniziando a segnalare informazioni solitamente non pubblicizzate.

A fianco dei numerosi benefici per le imprese della GDO legati all’utilizzo degli standard per referenziare i propri fornitori, emergono anche alcune criticità, la cui influenza, al momento, risulta essere piuttosto marginale. Richiedere ai fornitori l’implementazione di uno standard per poter essere accreditati, rappresenta una potenziale fonte di rischio, laddove il prodotto commercializzato sia altamente specifico. Infatti, tanto più un prodotto è dotato di caratteristiche particolari, riconosciute ed apprezzate dai consumatori, tanto più sarà difficoltoso per la GDO richiedere alle aziende produttrici l’implementazione di particolari standard, con il rischio di veder ridotto il bacino dei potenziali fornitori, magari a vantaggio di altri competitor. In altre parole, la presenza di caratteristiche difficilmente riproducibili e apprezzate dai consumatori, come metodi di produzione o provenienza geografica, non consente ai retailer di poter ricorrere a fornitori alternativi, e l’imposizione di standard può estromettere dal sistema

alcuni produttori, a causa degli alti costi, limitando quindi l’offerta di prodotto. La contrazione dell’offerta, o meglio il suo ricollocamento su mercati alternativi, è un fenomeno che può verificarsi in aree produttive caratterizzate da produttori di modeste dimensioni, sia in termini di produzione che di fatturato, per i quali l’incidenza del costo di implementazione di uno standard può rappresentare un ostacolo impossibile da oltrepassare.

Un secondo elemento di criticità è il crescente ruolo che gli standard stanno assumendo nelle politiche di differenziazione. Le singole imprese della distribuzione richiedono ai fornitori il rispetto di requisiti sempre più stringenti e ben al di sotto delle soglie previste dalle legislazioni più avanzate per catturare l’attenzione dei consumatori, molto sensibili alle tematiche concernenti la sicurezza e la qualità degli alimenti. Questa competizione di per sé non arreca ai retailer nessuno stress sotto il profilo economico, in quanto i costi addizionali legati al rispetto di requisiti più performanti ricadono sui fornitori. Proprio quest’ultimi risultano essere i soggetti maggiormente colpiti da questa tendenza, con il rischio per le imprese della GDO di vedere assottigliarsi, anche in questo caso, il numero di fornitori referenziabili, incapaci di sostenere i crescenti costi di implementazione.

Anche la scelta tra adottare un proprio standard, piuttosto che uno di parte terza, determina l’insorgere di criticità diversificate, così come evidenziato in precedenza, per i benefici legati alla tutela dell’immagine. Infatti, decidere di basare le politiche di referenziamento su un proprio standard genera elevati costi per il retailer, dovendo in prima persona sostenere prima lo sforzo economico dell’ideazione e progettazione e successivamente il suo costante aggiornamento, oltre ai controlli e le verifiche presso i fornitori. Al contrario, appoggiarsi ad uno standard di parte terza espone si le imprese della distribuzione a limitati sforzi economici, ma accresce, quantomeno in parte, i rischi dell’immagine aziendale, dato che i controlli e le verifiche non vengono effettuate direttamente dal retailer. Sebbene sia l’immagine stessa dello standard a dover “proteggere” quella del retailer, assumendosi la responsabilità dei controlli, resta alto il rischio che i consumatori non riescano a percepire questa distinzione, facendo ricadere

direttamente sull’impresa della GDO la responsabilità, con tutte le implicazioni i termini commerciali che ne scaturirebbero.